Insegnare a trasgredire. Provare a salvarsi – anche dalla Dad – leggendo bell hooks (1954-2021)

Insegnare a trasgredire

Insegnare a tragredire. L’educazione come pratica della libertà (Meltemi Editore). Clicca per leggere la scheda del libro.

di plv *

La notizia della morte di bell hooks cade nei giorni della chiusura delle scuole.

Non mi riferisco alla chiusura natalizia, ma allo stillicidio di chiusure per quarantena che in realtà già da parecchio tempo accompagnano la scuola italiana, riportando in auge la Dad e il malessere che questa produce. Chi è nelle chat dei genitori, degli insegnanti, dei vari movimenti, sa che questo è un problema rilevante da più di un mese. La differenza rispetto all’anno scorso è che le chiusure sono frammentate e non stabilite da un organo centrale. Ma di chiusure si tratta e sono destinate a fare danni.

Negli ultimi due anni abbiamo visto discutere di Insegnare a trasgredire di bell hooks in moltissimi ambiti, non solo tra insegnanti. Nel corso dell’estate anch’io ho letto il libro e quando l’ho chiuso mi è rimasta addosso una forte voglia di discuterne. In realtà, la voglia non mi veniva tanto dal libro in sé, ma dalla necessità di riadattare quelle riflessioni al contesto scolastico che stiamo attraversando.

Mi viene da citare Wolf Bukowski, che in un articolo pubblicato in questi giorni, più di parlare del Green Pass, ragiona sul tanto discusso «ritorno alla normalità»: «Avevo iniziato questi appunti in ottobre…».

Perché quest’anno scolastico fa così schifo?

Anch’io avevo scritto questo articolo mesi fa e, convinto ci fosse tempo per capire meglio l’avevo lasciato ristagnare, per capire meglio. Eccola qui la nuova normalità: non quella della mezz’oretta di Ottobre, in cui ci si raccontava – sulla base di cosa non è chiaro – che il problema era alle spalle, ma quella in cui l’instabilità, l’incertezza e la sensazione che tutto possa crollare all’improvviso dettata dall’alto è pane quotidiano. E chi attraversa il mondo della scuola dovrebbe sapere a cosa mi riferisco: a scuola oggi ci si va, ma domani?

bell hooks autrice di Insegnare a trasgredire

bell hooks

Non sono un esperto di bell hooks, tantomeno un suo studioso, ma riprendere alcuni nodi di quel testo è oggi più necessario che mai. Per farlo occorre forse ripartire da una domanda che serpeggia più o meno a bassa voce nel corpo docente: perché finora l’anno scolastico è stato così devastante? Emotivamente, fisicamente, mentalmente devastante.

Per quanto mi riguarda, la situazione sarebbe più tollerabile se ci fosse una reazione. Ci sono le occupazioni studentesche, ci sono gli scioperi sindacali, ma non basta, è evidente. Si sono affievolite le – complicatissime e contraddittorie – lotte degli anni scorsi, quelle che hanno tenuto le scuole aperte ottenendo tracciamenti, tamponi gratuiti, riaperture delle scuole. Oggi i tamponi costano 15 euro, i tracciamenti nessuno sa cosa siano, classi e istituti richiudono, spesso in maniera discrezionale.

Basterebbe questo per far capire che smettere di andare in piazza non è una scelta geniale di questi tempi.

Problemi di traduzione

Nella scuola che conosciamo il punto di partenza dell’analisi di hooks, il «margine», esiste eccome, ma è più variegato rispetto a quanto viene descritto nel libro. La riflessione di hooks descrive aule universitarie vissute da studenti – nella traduzione il termine è usato anche al femminile – bianche e bianchi. Nelle aule che frequento, su 25 componenti delle mie classi, si contano persone provenienti da 13 nazioni differenti! Spesso in questi contesti ci sono persone con disabilità, altre con disturbi lievi ma che diventano giganti se compressi insieme a quelli di altre studenti. Spesso ci sono vite personali devastate. Magari quelle delle insegnanti. Non solo: riferendosi all’università, hooks scrive di persone che hanno deciso di proseguire gli studi, non di scuola dell’obbligo. Gli studenti che conosco sono anni luce da questa volontà.

Tuttavia i contributi dell’edizione italiana – di Rahel Sereke, Mackda Ghebremariam Tesfau’ e del Gruppo di ricerca Ippolita – offrono un buono stimolo per tradurre le riflessioni di hooks, anche se il contesto che viviamo semplicemente non offre spazio per dare corpo ad alcune delle intuizioni più felici del volume, a causa di problemi tanto strutturali, che la scuola si porta dietro da decenni, quanto contestuali.

Patrizio Bianchi, Ministro dell’Istruzione del governo dei migliori.

Sfortunatamente, il piano contestuale e quello strutturale, stanno cominciando a fondersi amorevolmente, grazie alla spinta del ministro Patrizio Bianchi e del governo di Mario Draghi, a partire dalla famosa Dad, ufficialmente attivabile solo in caso di emergenza e invece ritornata in maniera surrettizia per le classi in quarantena, per gli studenti a casa col Covid, per gli studenti che ne fanno richiesta e trovano DS compiacenti, per la seconda quarantena della stessa classe, per, per, per, per…

È così che ora ci ritroviamo sommersi da una quarta ondata, che in realtà è tale perché è stata prodotta come tale: da inizio Novembre è evidente che le ASL non hanno personale sufficiente per eseguire tamponi, inviare gli avvisi di quarantena, convocare la gente al momento giusto. E quindi le persone venivano rinchiuse a casa, preferibilmente in Dad. Alla quarta volta che non assumi personale fisso, il virus è l’ultimo dei problemi.

I soldi PNRR risolveranno questo problema? Non sembra.

Pochi giorni fa sui giornali della «città più progressista d’Italia» si parlava dell’assunzione di personale interinale o, in alternativa, l’esercito.

D’altronde, la soluzione sembrava dietro l’angolo… non fosse che ci sono continenti interi dove il virus circola e si modifica. Ciononostante si è voluto puntare tutto esclusivamente su vaccini brevettati e Green Pass. Risultato: alla minima crepa il sistema crolla e il panico si diffonde, tra adulti e minori. Poco importano i dati reali, poco importa l’esperienza accumulata.

La discriminazione più progressista d’Italia

«Potere règaz e sporca disciplina»: il sindaco Matteo Lepore.

A cavalcare l’onda di panico c’è il neo-eletto sindaco Matteo Lepore che per mantenere Bologna all’avanguardia delle politiche securitarie – ricordiamo l’uso del DASPO per i senzatetto, tra le tante amenità degli ultimi anni – propone il Green Pass per gli studenti e la Dad per chi ne è sprovvisto. Quella che lui stesso ha definito «la città più progressista d’Italia» si trova quindi a produrre una divisione della popolazione in base ad un lasciapassare che proprio l’attuale aumento dei contagi dimostra essere inutile e discriminante.

I prodromi di questa idea li abbiamo già visti nella discussione sui trasporti, dove il Green Pass è diventato da poco obbligatorio. Ora il salto di qualità è notevole: al centro di questa divisione c’è il diritto allo studio.

Persino la sonnacchiosa, brachicardica CGIL ha attaccato Lepore e gli altri amministratori emiliani che condividono la sua proposta.

Già perché, anche se i numeri di morti e i ricoveri sono drasticamente ridotti rispetto all’anno scorso – e meno male – la Dad è diventata ora la soluzione adeguatissima in un sistema basato sullo scaricabarile: metti che c’è un focolaio, è colpa del dirigente, del prof, del contagiato. Non del sistema dei tracciamenti saltato senza aver mai funzionato, non delle classi affollate, non degli autobus stipati.

Non vi è ancora capitato? Tranquille: si sa che prima o poi andrà così. Studenti e studentesse lo sanno meglio di chiunque altro.

– Prof, ma perché non chiudono le scuole?
– Prof, ho la gamba rotta, possiamo fare la Dad?
– Prof, se non posso prendere l’autobus perché non ho il Green Pass, facciamo la Dad?
– Prof, se c’è sciopero si va in Dad?
– Prof, sono stanco, andiamo in Dad?

Come si fa a insegnare a trasgredire in Dad?

Si può, basta aggiornarsi con le nuove tecnolog…

Andiamo a leggerci bell hooks.

Il piacere

Insegnare a Trasgredire è un libro esaltante.

Innanzitutto per la passione che trasmette rispetto all’insegnamento, inteso come esperienza pienamente militante. Riprendendo Paulo Freire, hooks ci parla di un’educazione come pratica della libertà, da distinguere da quell’educazione che rafforza il dominio.

Nell’esperienza e nella traiettoria critica di hooks, questo vuol dire veicolare contenuti che infrangono il dominio razzista, patriarcale e capitalista. E farlo tramite forme diverse da quelle cui siamo abituati, a partire dalla lingua che utilizziamo che rimane un luogo di lotta. Ma c’è anche molto di più.

hooks ci rivela, infatti, una banalità che altre persone prima di lei hanno già affermato e che pure merita di essere riaffermata: in contrasto con una trasmissione del sapere grigia e priva di emozioni, l’aula deve essere un luogo di piacere. Persino nell’università, «l’eccitazione nell’istruzione superiore era considerata potenzialmente distruttiva dell’atmosfera di serietà ritenuta essenziale per il processo di apprendimento. Entrare nelle classi scolastiche e universitarie con la volontà di condividere il desiderio di incoraggiare l’eccitazione, significava trasgredire».

Il piacere dell’apprendimento, di misurarsi con qualcosa di complesso e il piacere di comprendere sono pienamente politici. E l’insegnamento è a sua volta una pratica di apprendimento che può dare effettivamente piacere, sebbene rimanga un lavoro devastante, frustrante e sottopagato. È una contraddizione, certo, ma è una contraddizione viva con la quale misurarsi apertamente.

Parlare di eros nella scuola italiana…

hooks va anche oltre e non esita a riferirsi all’eros come «forza motivante» che spinge ad apprendere e a vivere in modo diverso. L’invito è quello di interrogarci sull’eros nelle nostre classi, invece di tacerlo, anche e soprattutto per liberare noi stess* dai limiti che ci imponiamo: «per comprendere il posto dell’eros e dell’erotismo in classe, dobbiamo andare oltre al pensare a quelle forze solo in termini sessuali, sebbene questa dimensione non debba essere negata».

Certo per i docenti maschi, bianchi eterocis che tutti i giorni esercitano il loro potere pienamente sessuato in una società ampiamente patriarcale e a volte pure nelle aule, facciamo lo stesso discorso? hooks non affronta questo aspetto e personalmente sarei (e sono) più cauto, ma il tema del corpo in aula è comunque centrale. hooks lo pone con forza affermando che la dicotomia tra corpo e mente è aleatoria, che «vivere nel mondo è vivere col proprio corpo. Siamo corpi, il colore della nostra pelle, il sesso che ci viene attribuito alla nascita, la abilità che ci sono riconosciute ci posizionano in modo parziale e fingere che non sia così è mentire. Fingere che non sia così è parte del problema.

A meno che non si vogliano chiudere i corpi dietro ad uno schermo. Così, in effetti il problema lo risolvi, o quantomeno diventa facile dimenticarsene.

Con buona pace del piacere.

Conflitti nella scuola

Ogni stimolo che hooks offre è anche un processo di cambiamento da intraprendere. È paradossale vedere quante volte in Insegnare a trasgredire è usato il termine «paura», vissuta tanto dalle persone più conservatrici, quanto da quelle più progressiste. Sarebbe consolatorio affermare che tale paura è ingiustificata, che basterebbe lasciarsi andare, superare i confini istituzionalizzati per migliorare la situazione. L’entusiasmo e le argomentazioni di hooks ci spingono in questa direzione, ma, attenzione, può anche andare male.

Una delle tante occupazioni delle scuole romane

Innanzitutto perché, modificando le forme dell’insegnamento, la classe diventa un «luogo di possibilità» e quindi di conflitto, come scrive nel suo contributo al volume Rahel Sereke. La classe, infatti, non è un luogo pacificato. Non lo è mai, ma lo è ancor meno nel momento in cui gli/le studenti mettono in gioco se stesse, il loro vissuto e le loro differenze. hooks racconta che quando questo è avvenuto nelle sue lezioni «molte persone furono prese dal panico. Ciò a cui assistettero non fu la confortante idea di “melting pot” della diversità culturale, la coalizione arcobaleno in cui tutti erano uniti nella propria differenza con lo stesso sorriso rassicurante. Questa era la sostanza della fantasia colonizzante, una perversione della visione progressista della diversità culturale».

Il successo, dunque, non è scontato. Nemmeno con l’insegnante migliore del mondo. Nelle prime pagine del libro hooks ci racconta di un fallimento: «più di qualsiasi altra classe alla quale ho insegnato, questa mi ha costretto ad abbandonare l’idea che chi insegna possa, per pura forza di volontà e desiderio, rendere la classe una comunità stimolante e istruttiva».

Che queste righe siano scritte da un’insegnante e un’intellettuale così radicale è assolutamente liberatorio: l’insegnante-eroe non esiste. Non senza una comunità che risponde e rielabora. Senza l’apporto attivo degli studenti, non la sfanghiamo.

Le comunità scolastiche

E però leggere bell hooks è assolutamente straniante.

Basta ricordare che in Italia, l’educazione sessuale, al piacere, alle emozioni è bandita.

Ma c’è di più: gli inviti a ragionare sul corpo emanano un’energia potente, ma se pensiamo alle classi degli ultimi mesi questa energia è stata dissipata, sedata, censurata. E non mi riferisco solo alla Dad, ma alle regole imposte alla scuola dal vivo, su cui vale la pena riflettere, visto che molte cose sono comunque destinate a rimanere.

Mi riferisco alle leggi reali, scritte, già esistenti prima del Covid-19 – si leggano i regolamenti dei singoli istituti – la cui applicazione è diventata più esacerbata, data la diffusa ansia di controllo che stiamo respirando.

Ogni registro di classe ha una pagina dedicata alle note disciplinari. Ogni foglietto indica una nota. Clicca per ingrandire.

Sfoglio il mio registro e leggo le note per uso del cellulare durante la lezione. Lo stesso Stato che ti ha facilitato la dipendenza da cellulare facendoti seguire mesi di lezioni a distanza, ora ti sanziona perché non riesci a staccarti dal dispositivo.

Non mi chiamo fuori, anzi, ritengo di esser io stesso parte del problema: sono parecchio più stronzo quest’anno e, bombardato, letteralmente bombardato da continui stimoli, richieste, disordine e drammi faccio realmente fatica a non cedere al lato oscuro dell’ansia da controllo.

D’altronde le pretese sul corpo docente non sono diminuite, anzi, le richieste sono aumentate, persino nei mesi di ottobre quando si riaprivano le discoteche, ma durante la ricreazione all’aperto bisognava stare con la mascherina. Il tutto senza i rinforzi necessari di personale, tempo, spazi.

Per esempio: abbiamo iniziato l’anno con delle regole sul distanziamento assolutamente aleatorie: «si prevede il rispetto di una distanza interpersonale di almeno un metro (sia in posizione statica che dinamica) qualora logisticamente possibile». In altre parole, il problema delle classi-pollaio è stato risolto con la logica dello scaricabarile: se le aule sono già grandi ci si distanzia, se no arrivederci.

Il tutto con banchi separati, messi a un metro di distanza l’uno dall’altro, che da più di un anno non producono altro risultato se non quello di restituire l’immagine della classe come insieme frammentato e disgregato in cui ciascuno è chiamato a farsi carico della sua solitudine.

In quattro anni faremo il lavoro di cinque, diceva Stalin.

Ed è qui che sale la carogna rispetto all’idea, proposta da hooks, di classe come comunità. Perché la comunità non è un dato di fatto, ma qualcosa da costruire. E può essere un contesto terribile, se terribili sono le condizioni in cui la inserisci.

Meno male che grazie al Ministro Bianchi la sperimentazione delle scuole superiori in 4 anni anziché in 5 sta finalmente prendendo piede. Così ci leviamo dalle scatole quella rottura che è la scuola e ci tuffiamo nel mondo del lavoro. Che invece è bellissimo.

Fughe

Ragionare sul piacere consente di leggere a contropelo la scuola e altri settori della nostra società, per chiederci cosa genera stress e disagio, lì dove dovremmo godere dei nostri diritti.

È chiaro che sul diritto all’istruzione si sta giocando una partita decisiva, e che due anni di delegittimazione della scuola in nome del diritto alla salute – situazione che, occorre ribadirlo, è chiara prima di tutto alla popolazione studentesca –  stanno portando a risultati disastrosi. Come se i due diritti fossero alternativi e non intrecciati. Come se studenti e studentesse non fossero rientrate dopo due anni di mancata scolarizzazione con problemi devastanti per il loro benessere psicofisico.

«Nella seconda metà dell’anno erano usciti sempre più articoli sul dolore psicologico degli italiani, in particolare dei ragazzi, ma la colpa era sempre data, fin dal titolo, alla pandemia, al Covid, al virus […] Troppo comodo dare la colpa al virus quando invece molto di quel dolore psicologico lo avevano causato i modi del lockdown e la gestione dell’emergenza» (WM1, La Q di Qomplotto, p. 356).

A pagare maggiormente la crisi di questo benessere sono soprattutto quelle soggettività che a scuola erano già ampiamente messe da parte e che ora sono in assoluta difficoltà. Basterebbe riconoscere il diritto a qualche ora in più di sostegno ai ragazzi e alle ragazze che ne hanno bisogno, per avere una scuola radicalmente differente. Basterebbero classi ridotte per far sì che i disturbi specifici di apprendimento fossero ciò che in realtà sono: disturbi e nulla di più. Senza tutto questo la scuola diventa il luogo ontologicamente escludente che è stato ben chiarito durante il Tavolo Educazione dei recenti Stati Genderali di Roma. A causa della gestione della pandemia e delle problematiche pregresse, la scuola italiana produce malessere in chi ha più bisogno di serenità, scatenando frustrazione, insofferenza, allontanamento.

Ma guardare al piacere ci consente anche di rivolgerci ad altri contesti. Il mondo del lavoro può essere letto con un’altra lente ed essere attraversato da alcune istanze che sono centrali nel mondo della scuola. In diverse occupazioni degli ultimi mesi, gli/le studenti pongono il problema della valutazione.

D’altronde al rientro dopo la Dad a primavera scorsa, una delle poche cose garantite erano le prove INVALSI. Quel buco di milioni dell’Istituto INVALSI è oggi un pericolo non solo per la scuola, ma per l’intera società. È uno stilite messo lì a ricordarci che le nostre conoscenze devono essere necessariamente quantificate, valutate, incasellate. Un’educazione alla valutazione, questa sì, veramente formativa dal momento che sempre più ogni nostro istante deve essere valutato, giudicato e monetizzato.

Il poster degli Stati Genderali dell’11-12 dicembre.

Rispetto a tutto questo tocca tornare a tessere i fili, ricordandoci di guardare oltre al nostro piccolo orticello, oltre alla nostra piccola classe in Dad, per comprendere come il mondo della scuola sia investito di un attacco a tutto tondo rispetto a cui occorre resistere senza nostalgia, costruendo insieme nuove forme di trasgressione.

Perché è bello leggere i libri, ma ancora più bello è recuperare un margine d’azione.
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* plv è un attivista e insegna, da precario, italiano e storia nelle scuole superiori di Bologna. Fa parte della Rete Bessa e di Priorità alla Scuola. Ha scritto per Giap diversi articoli sulla scuola durante l’emergenza pandemica, e prima ancora  varie cronache da Bologna (qui e qui), da Ventimiglia (qui e qui) e dalla penisola iberica (qui e qui). Ha insegnato letteratura portoghese e brasiliana e sulla rivoluzione portoghese ha scritto un articolo per Nuova Rivista Letteraria: «Garofani rossi per sbiancare la storia» (pdf qui).

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