Il 25 luglio, dopo una giornata di proteste contro il governo in tutta la Tunisia, il presidente della repubblica Kais Saied ha dichiarato lo stato d’eccezione, sciogliendo governo e parlamento. Dopo la pubblicazione della versione originale dell’articolo di cui proponiamo la traduzione, si sono succeduti ulteriori sviluppi nella giornata di ieri. La polizia ha chiuso con un raid la sede di Al Jazeera a Tunisi. Ci sono stati momenti di tensione durante i presidi rivali di fronte al parlamento, che hanno visto attivisti soprattutto islamisti confrontarsi con i sostenitori di Saied. Una coalizione di partiti e gruppi di sinistra – tra cui il Partito comunista operaio tunisino (Pcot) e il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) – ha dichiarato la propria opposizione alle scelte di Saied, mentre la confederazione sindacale Ugtt gli ha dato il proprio sostegno condizionale. In serata, Saied ha dichiarato il coprifuoco e il bando agli spostamenti tra città. Intanto sui social media infuria il dibattito sull’opportunità o meno di definire quanto accaduto come un colpo di stato.
Con un colpo di scena spettacolare, il presidente della repubblica Kais Saied ha attivato domenica sera l’articolo 80 della costituzione tunisina, che lo autorizza, “in caso di pericolo imminente che minaccia la nazione […] o ostacola il funzionamento regolare delle istituzioni”, a prendere “le misure richieste dalle circostanze eccezionali”.
Saied ha dichiarato che: “Stiamo attraversando i momenti più delicati e pericolosi della storia della Tunisia”. Ha immediatamente deciso di fermare le attività del parlamento, ha annunciato che nominerà egli stesso ministri e capo del governo, ha tolto l’immunità ai parlamentari con procedimenti giudiziari e si è messo alla testa della procura generale per la prosecuzione di questi casi. La sera stessa, l’esercito si è posizionato davanti al parlamento, alla sede della televisione nazionale e al ministero degli Interni, del quale ha preso il controllo il direttore della Guardia presidenziale.
Secondo fonti non ufficiali, il primo ministro Hichem Mechichi sarebbe stato arrestato quando si trovava nel palazzo presidenziale, per poi essere liberato poco dopo. Altre personalità politiche sarebbero state portate alla caserma della Guardia nazionale di El Aouina.
Per giustificare le proprie decisioni, Kais Saied ha citato “il collasso di numerosi servizi pubblici” e “le azioni di incendio e saccheggio in corso […]: in questo momento c’è chi si prepara a pagare degli individui in certi quartieri per incitare allo scontro”, ha assicurato.
Frustrazione accumulata
L’annuncio è arrivato dopo un’intensa giornata di manifestazioni in tutto il paese, in occasione del 65° anniversario della repubblica, per protestare contro il governo di Hichem Mechichi, la cui gestione della crisi sanitaria ha fatto da catalizzatore alla frustrazione accumulatasi negli anni. Ma le proteste hanno preso di mira soprattutto Ennahdha, il partito islamista conservatore alla testa del parlamento, le cui sedi sono state attaccate in diverse città nel corso della giornata.
Al termine della giornata di rabbia, agli annunci di Kais Saied hanno fatto rapidamente seguito scene di giubilo popolare durate tutta la notte, a La Marsa – zona chic della capitale – come a Hay Tadhamon – la sua banlieue più popolare, e in decine di città del paese, come Gabes o Jbeniana. “Il popolo è con te Kais Saied! Che sollievo, finalmente!” gridavano per esempio alcune donne nelle strade di La Goulette.
“Ciò che è successo in Tunisia è stato fatto con la volontà del popolo. La dissoluzione del parlamento è una rivendicazione popolare per eccellenza. Oggi ci sono state proteste in tutte le regioni del paese e Kais Saied ha risposto alla volontà del popolo. In questo momento, si festeggia in tutti gli angoli del paese. Non credete alle parole dei traditori che vi dicono che si tratta di un colpo di stato presidenziale. Il paese è stato saccheggiato oltre ogni limite, è ora che la Tunisia si risollevi e si sbarazzi dei traditori di Ennahdha e dei nemici della nazione”, si leggeva per esempio sui social media.
“Un colpo di stato contro la democrazia e la costituzione”
Durante la notte, numerose sedi di Ennahdha sono state attaccate e incendiate. Il partito di Rached Ghannouchi ha cristallizzato su di sé tutto il risentimento legato al deterioramento della situazione economica e sociale, mentre Kais Saied non ha mai cessato di accusarlo implicitamente di aver infiltrato lo stato.
In un comunicato pubblicato nella notte, Ennahdha ha denunciato molto virulentemente l’iniziativa di Kais Saied, definendola come “un colpo di stato contro la democrazia tunisina e la sua costituzione” e chiedendo al presidente di annullarla immediatamente. “Facciamo appello a tutti i sostenitori internazionali della democrazia […] affinché si esprimano immediatamente contro questa ingiustizia e in favore del ripristino del parlamento”, precisa il comunicato. In una dichiarazione orale, Rached Ghannouchi ha chiesto a “tutte le organizzazioni e la società civile, tutti coloro che hanno difeso la rivoluzione, i giovani, l’esercito, la polizia, tutte le forze che hanno operato per la riuscita della rivoluzione, a prendere posizione”.
La confederazione sindacale Ugtt, una delle principali forze del paese, non si è espressa nelle ore successive all’annuncio del capo dello stato. Altre voci si sono fatte sentire per denunciare il carattere incostituzionale di questa attivazione dell’articolo 80, tra cui la giurista Sana Ben Achour, secondo cui il presidente ha “oltrepassato le proprie prerogative”.
Infatti, se è vero che l’articolo non definisce in alcun modo “le misure richieste” che il capo dello stato potrebbe dover scegliere, la chiusura dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo (Arp), il parlamento monocamerale della Tunisia, contraddice chiaramente la lettera dell’articolo 80, secondo cui durante il periodo d’eccezione il parlamento deve rimanere in stato di convocazione permanente. Rached Ghannouchi, il cui accesso al parlamento è stato impedito dall’esercito, ha chiesto all’Arp di continuare i lavori.
D’altra parte, sul piano formale, la consultazione della Corte costituzionale prevista dall’articolo 80 non ha potuto avvenire, giacché la Corte costituzionale non esiste. Secondo le disposizioni transitorie della Costituzione del 2014, la Corte avrebbe dovuto essere istituita non più di un anno dopo le elezioni parlamentari di ottobre 2014 e il Consiglio superiore della magistratura, che elegge un terzo dei giudici costituzionali, avrebbe dovuto riunirsi sei mesi dopo quelle stesse elezioni. Tuttavia, il parlamento non riuscì a rispettare queste scadenze. Da un punto di vista più sostanziale, la Corte costituzionale può essere convocata dopo trenta giorni dalla dichiarazione dello stato d’eccezione dal presidente dell’Arp o da due terzi dei parlamentari per “verificare se le circostanze eccezionali perdurano”. Ora, con parlamento chiuso e Corte costituzionale inesistente, Kais Saied sarà il solo arbitro al momento di decidere se il “pericolo imminente” è cessato o meno.
La chiusura del parlamento dovrebbe durare trenta giorni, ma nulla vieta di prolungarla, una possibilità che Kais Saied non ha escluso. Questa è una delle principali incognite della situazione, anche perché non si sa ancora né quali misure saranno prese per far fronte alla crisi né come il presidente userà il potere di procuratore generale che si è attribuito.
Nel corso di una dichiarazione lunedì all’alba, all’uscita di una riunione dal ministero degli Interni, Saied ha evocato un progetto di “inversione della piramide di potere”: “Se ci fosse una divisione equa della ricchezza e una diversa organizzazione del potere, che parte dalla base, con delle elezioni e dei rappresentanti a mandato vincolato […] allora la legge sarebbe davvero l’espressione del detentore della sovranità, cioè il popolo. […] Ora la legge è come un abito fatto su misura per i politici alleati con i poteri forti. Chi sono questi detentori di ricchezza che vogliono affamare il popolo?”.
Saied ha dichiarato inoltre di voler restituire i soldi rubati. Si tratta di progetti che richiederanno ben più di un mese. Ha anche evocato la possibilità di perseguire coloro che attenteranno alla dignità del capo dello stato. Si è però difeso dall’accusa di aver perpetrato un colpo di stato: “Coloro che gridano al colpo di stato si rileggano la Costituzione o tornino alla scuola elementare. Si accorgeranno che ciò che ho fatto è costituzionale mentre un colpo di stato è una violazione della Costituzione”.
Lascia o raddoppia?
La mossa spettacolare di Kais Saied era attesa, con timore o speranza a seconda dei casi, già da molti mesi. Middle East Eye aveva d’altronde pubblicato il 24 maggio un documento indirizzato a Nadia Akacha – consulente e direttrice del gabinetto di Kasi Saied – che descriveva uno scenario non dissimile da quanto avvenuto domenica sera. La crisi politica sembrava essere giunta a un’impasse che paralizzava il governo. Le difficoltà sanitarie e finanziarie si accumulavano, e molte voci incitavano Kais Saied a prendere il toro per le corna.
Fin dall’inizio del suo mandato, Saied aveva scommesso sul graduale indebolimento della legittimità del parlamento, per apparire come il salvatore dal parossismo della crisi e imporre il proprio programma. La crisi sanitaria legata al coronavirus ha accelerato la perdita di credibilità del governo, della classe politica e di Ennahdha in particolare, facendo scattare l’ora X. L’ampiezza delle manifestazioni di domenica, che hanno espresso rabbia e sgomento sinceri (anche se non erano del tutto spontanee), ha dato il via a un piano d’azione probabilmente preparato da lungo tempo.
Così Kais Saied ha ritenuto che il suo momento sia arrivato, ma sta giocando d’azzardo. Il presidente gode di un sostegno popolare interclassista che manca alle correnti ideologiche e ai partiti che a lui si oppongono. Il bilancio piuttosto amaro di dieci anni di transizione, l’impoverimento della maggioranza della popolazione e la normalizzazione della corruzione hanno screditato la classe politica e il parlamento. Il presidente sembra inoltre godere del sostegno di esercito e polizia, più fedeli alla difesa dello stato e della nazione che ai partiti politici.
Tuttavia, si può immaginare che ci sarà una forte pressione interna e internazionale su Saied affinché ripristini al più presto il normale funzionamento delle istituzioni. Ingaggiando un braccio di ferro con i partiti politici, rischia di scatenare una spirale di violenza. Nelle ultime ore della notte, due presidi si sono piazzati di fronte al parlamento, uno per denunciare la chiusura dell’Arp e l’altro per sostenere l’iniziativa di Kais Saied. Quest’ultimo ha messo in guardia, nel suo discorso, “coloro che sono tentati di cercare la propria salvezza nelle armi […]: A colui che sparerà un colpo, risponderanno mille colpi delle nostre forze armate”.
Riunendo tutti i poteri nelle proprie mani, tra cui quello delle prosecuzioni giudiziarie, Saied si situa ben oltre il terreno della democrazia, senza altra salvaguardia che la propria coscienza. Questa situazione inquieta numerosi militanti che, pur non difendendo il bilancio della classe politica, conoscono il rischio di deriva dello stato d’eccezione e del potere personale e non resteranno in silenzio se i diritti civili venissero minacciati e le istituzioni democratiche compromesse per il lungo periodo.
Un punto di non ritorno
Alcuni parlamentari, come Yadh Elloumi, transfuga di Qalb Tounes (il partito di Nabil Karoui) e Seifeddine Makhlouf – leader della coalizione islamista al-Karama – hanno appellato alla destituzione di Kais Saied sulla base dell’articolo 88 della Costituzione. Tuttavia, la destituzione dev’essere decretata dalla Corte costituzionale, la cui assenza non permetterà il completamento della procedura.
Entrambi i poli che si stanno formando rivendicano la propria fedeltà alla rivoluzione. La legittimità sta nella Costituzione o nel sostegno popolare? L’aver tagliato il nodo gordiano della crisi politica la risolverà o l’aggraverà? In che direzione si sbilancerà il rapporto di forza?
In ogni caso, Kais Saied ha attraversato un punto di non ritorno. Se riesce a moralizzare la vita politica, a restaurare la fiducia dei tunisini nelle istituzioni, a ridare lustro alla reputazione della Tunisia presso i creditori internazionali, a ripristinare la funzionalità dello stato – imprese titaniche che ormai pesano sulle sue sole spalle – si guadagnerà probabilmente il proprio posto nella storia. Ma se la sua scommessa non avrà fortuna, non avrà guadagnato altro che l’obbligo di riuscire dove il resto della classe politica ha fallito per dieci anni.