
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca apre uno dei periodi più neri della storia politica e sociale degli Stati Uniti. Uno che sostiene che “la contrattazione collettiva è in contrasto con il sistema americano di autogoverno” e che applica anche ai dipendenti pubblici il licenziamento at will – senza giusta causa – presente nel settore privato, fino a dove si spingerà nel ribaltare i diritti individuali e collettivi degli statunitensi, nello specifico quelli dei lavoratori, conquistati a fatica con decenni di lotte sociali?
Alla massima concentrazione di ricchezza nelle mani di pochissimi miliardari corrisponde ora anche la massima sovraesposizione del loro ruolo politico. L’anteprima era già visibile in occasione della cerimonia d’insediamento di Trump, quando dietro di lui, bene in vista, stavano alcuni di loro. Magari in precedenza vicini al Partito Democratico oppure finanziatori di entrambi i due grandi Partiti degli USA.
Trump ha l’idea di restare per decenni al comando, magari modificando la legge che impone il limite dei due mandati. Una proposta simile l’aveva sfornata l’attuale vice-presidente Vance, quando, dopo la fase in cui definiva Trump simile a Hitler, era entrato in Parlamento. Ma ha 78 anni e ha già fatto un grande lavoro: ha distrutto dall’interno la tradizione del Partito Repubblicano, quello di Lincoln e di Eisenhover (entrambi, non come Trump, non contrari al movimento sindacale), ha buttato fuori ogni possibile concorrente interno, ha vinto due elezioni a una, ha preso voti (non maggioritari ma consistenti) anche tra i lavoratori, ha creato attorno a sé una coalizione sociale che raggruppa componenti eterogenee, ha scelto ministri sconcertanti, le cui competenze sono carenti a dir poco. E gode di un retroterra di pervicaci distruttori dello Stato sociale (per altro molto scarso negli USA). E allora chi seguirà le sue orme tra 3 anni?
Il nuovo Vangelo cui attenersi non lo consegnerà lui ai posteri ma è già stato scritto: è il “2025 Presidential Transition Project”, stilato dalla Heritage Foundation; un tomo reazionario onnicomprensivo da cui Trump aveva preso le distanze durante la campagna elettorale per nominare ora uno dei suoi principali estensori a capo dell’ufficio gestione e bilancio, uno snodo centrale dell’enorme macchina federale.
E’ noto che i governi statunitensi dei 2 partiti che si alternano (finora) al potere, sono stati sempre pesantemente condizionati dai contributi e dal peso politico dei miliardari ma ci potrebbe chiedere se, col crescere esponenziale delle ricchezze di pochi che ha caratterizzato gli USA negli ultimi decenni (abbinato a una perdita di ricchezza e di potere della classe lavoratrice), a qualcuno di loro non baleni l’idea di prendere in mano il governo direttamente. Musk, forte dei 290 milioni di dollari che ha elargito a Trump per le elezioni del 2024, sarebbe un ottimo rappresentante del trilione di dollari di potere economico complessivo rappresentato dai miliardari che hanno fatto la fila per porgere a Trump i loro ossequi dopo la vittoria; alcuni dei quali facenti anche parte di una compagine governativa con un reddito complessivo di 7 miliardi di dollari, il più alto della storia. Ma (per il momento?) non potrebbe fare il Presidente in quanto non è nato negli Stati Uniti, bensì in Sudafrica.
Uno dei suoi undici figli era presente al comizio del padre nella sala ovale della Casa Bianca il 12 febbraio scorso mentre questi declamava i prossimi licenziamenti dei lavoratori pubblici. Forse irritato dalla lunghezza della comparsata a cui era obbligato dal padre, il piccolo Musk si è preso la scena, rivolgendosi a Trump con le parole (qui le interpretazioni sono diversificate) “Chiudi quella bocca. Non sei il Presidente. Devi andar via”. La vicenda, potrebbe essere malignamente collegata alla novella di Andersen “Gli abiti nuovi dell’imperatore”, quella de “Il Re è nudo”. La vicenda del mini-Musk è presto stata inevitabilmente superata da argomenti ben più importanti, quelli di politica estera. Ma se il piccolo Musk fosse la bocca della verità e la frase che sminuisce Trump l’avesse sentita in famiglia? Se procedessimo su questa idea, ci si potrebbe chiedere chi comandi oggi, e soprattutto chi lo farà domani, negli Stati Uniti.
L’intuizione di Marx sul governo come “comitato d’affari della borghesia” sta arrivando alla fase finale col Capitale che assume direttamente il governo senza la necessità di intermediari, e magari di elezioni?
Un primo “colpo di stato” sta già avvenendo: il Department of Government Efficiency (DOGE) al comando di Musk, che non è (ancora) un’agenzia federale autorizzata dal Congresso, ha già iniziato a lavorare sulla riduzione delle persone e delle spese governative, malgrado la Costituzione degli Stati Uniti dia esplicitamente solo al Congresso il potere della borsa nazionale. Non all’esecutivo, tanto meno ad uno dei suoi incaricati.
I “ragazzi” di Musk, la persona più ricca del mondo, hanno invece già preso il controllo dell’Office of Personnel Management (OPM), che ospita le funzioni delle risorse umane del governo federale, insieme ai sistemi di pagamento del Tesoro degli Stati Uniti e stanno visualizzando anche i dati privati dei lavoratori e dei beneficiari degli assegni federali, soprattutto le storie mediche degli statunitensi. Secondo una fonte anonima, citata dal sito Nation of Change, la squadra di Musk ha collegato ai dati di OPM un server privato, ospitato in un sito che essa sta usando come “centro di comando”.
Il libro “The Man in the High Castle” (in italiano “La svastica sul sole) di Philip K. Dick, prefigurò nel 1962 una conquista degli Stati Uniti da parte dei giapponesi e anche dei nazisti, già ben presenti negli anni ’30 nel Paese, che dividono tra loro il territorio (salvo uno Stato fantoccio razzista nel Sud del Paese) e lo governano direttamente con due dittature. Qualcuno afferma che non si possa parlare sempre di fascismo oggi perché a dare a tutti del fascista, nessuno lo sarebbe più. Ma quale società sta nascendo oggi negli USA?
Se lo chiedono i lavoratori statunitensi, a partire dai 2,3 milioni di pubblici dipendenti civili federali, la cui retribuzione totale annua (271 miliardi di dollari) è di molto inferiore al patrimonio netto personale di Musk (che è di 412 miliardi). Solo 75.000 lavoratori federali hanno accettato di andarsene con una liquidazione di 8 mesi “concessa” da Musk a chi si dimetteva “spontaneamente”. E, secondo il New York Times, sarebbero già ventimila i licenziamenti veri e propri già intimati (con email), nella logica di iniziare a buttare fuori quasi tutti i 200.000 dipendenti pubblici in prova, assunti da meno di un anno.
I lavoratori pubblici (finora) sopravvissuti hanno spinto i loro Sindacati a denunciare alla magistratura il progetto di cancellazione dello Stato sociale che attacca loro e la vita degli statunitensi non ricchi, azzoppando o cancellando le tutele, invero limitate, di Medicare, Medicaid, le protezioni della sicurezza sul luogo di lavoro, i finanziamenti federali alle abitazioni pubbliche e agli ospedali locali. E dirottando i fondi dalla scuola pubblica a quella privata, con l’abolizione del Dipartimento all’Istruzione (affidato ad una persona la cui unica capacità è di esser stata amministratrice di una Federazione di wrestling).
La Casa Bianca sta inoltre per sottoporre al Congresso, dove i Repubblicani hanno una sicura maggioranza, un mastodontico progetto di legge con massicci tagli alle tasse a favore dei miliardari e delle imprese, stanziamento di risorse per blindare le frontiere e cacciare i clandestini, aumenti del budget di esercito e polizia, incentivi alla deregolamentazione energetica (col grande ritorno del famigerato fracking, una delle cui aziende avrà il proprio amministratore delegato responsabile del dipartimento alla politica energetica).
Il progetto di legge monstre (in tutti i sensi) sarebbe uno dei più costosi della storia degli Stati Uniti (solo i tagli fiscali costerebbero 5.000 miliardi di dollari in dieci anni) compensati dalla riduzione della spesa federale per il Welfare State, con 2.000 miliardi di tagli del Medicaid (il programma nazionale di assicurazione sanitaria), dei buoni alimentari e di altri sostegni per i 70 milioni di statunitensi che hanno un reddito assai basso.
L’incombente Musk ha esaltato tale progetto in un Consiglio dei Ministri, un organismo, peraltro, di cui lui non fa parte e che negli USA conta come il due di briscola. E Trump ne ha chiesto subito in diretta tivu l’assenso dei silenti ministri, pena il licenziamento dei reprobi.
Musk, mentre taglia i dipendenti e in seguito le risorse federali destinate al popolo, auspica la distruzione della “burocrazia”, eliminando in sostanza i contrappesi rappresentati dalle agenzie federali, create e mantenute dalle presidenze precedenti per gestire varie materie e contemperare il potere assoluto del Presidente negli USA.
Ma non vuole la scomparsa dello Stato, che gli è molto utile: la sua azienda Tesla ha già, come le altre grandi imprese, beneficiato dei tagli fiscali di Trump del 2017, pagando zero tasse federali nel 2024, nonostante abbia registrato 2,3 miliardi di dollari di reddito degli Stati Uniti, Negli ultimi tre anni, Tesla, a fronte di 10,8 miliardi di dollari di reddito, ha pagato solo 48 milioni di dollari di tasse federali, utilizzando scappatoie legali per ridurre o azzerare l’imponibile fiscale. La sua aliquota fiscale federale effettiva è stata dunque dello 0,4%, mentre quella pagata dal lavoratore medio statunitense è del 13,3%. Secondo il Washington Post del 26 febbraio, le aziende di Musk sono state tra le maggiori beneficiarie di aiuti statali, avendo ricevuto in un ventennio almeno 38 miliardi di dollari in contratti governativi, prestiti, sussidi e crediti d’imposta. Dunque, concretamente, il fatto che sia diventato l’uomo più ricco del mondo lo ha ottenuto in buona parte a spese di tutti i cittadini statunitensi.
Malgrado l’opposizione a Trump sembri stordita dalla quantità e dalla pericolosità delle politiche continuamente annunciate (contro i migranti, l’ambiente, la sanità pubblica, i sussidi per i poveri), i lavoratori sindacalizzati possono essere al centro della lotta antirazzista e per la difesa e l’incremento dello Stato sociale. Sebbene essi siano solo un decimo della forza lavoro (ma nel Pubblico Impiego gli iscritti a una Union sono più di 1/3), divisi tra vari sindacati e forti soprattutto in alcune zone del Paese.
Per intanto, il Federal Unionists Network, un’associazione informale di lavoratori pubblici e cittadini, ha organizzato il 19 febbraio un primo giorno di azione nazionale, con lo slogan “Save Our Services”, per riunire i lavoratori federali e i loro sostenitori in manifestazioni in tutto il Paese. Svoltesi anche di fronte a molte concessionarie di Tesla; azienda (come avvenuto anche nell’acquisto di Twitter, ora X) dove Musk applica politiche di intimidazione e di allontanamento di lavoratori che ora ha avuto il compito di trasferire all’azienda-Nazione. Politiche che l’agenzia federale National Labor Board Relaction (NLRB), incaricata di tutelare i diritti dei lavoratori, aveva cercato nell’ultimo quadriennio di contrastare e per questo era stata, proprio da Musk e da altri, denunciata per anticostituzionalità (!). Ed oggi è privata dalla possibilità di operare a livello nazionale per mancanza di quorum, perché Trump ne ha subito licenziato due componenti del Consiglio.
Sulla storica rivista progressista Mother Jones, una raccolta firme (FIRE Elon Musk), promossa dall’associazione Common Cause, chiede l’immediato allontanamento di Musk dalla posizione di influenza governativa, che gli ha consegnato un accesso senza precedenti ai più alti livelli, malgrado non sia stato nemmeno votato dai cittadini. La petizione afferma che “Non ci vuole un genio per vedere cosa sta succedendo: Musk e Trump vogliono sostituire i funzionari pubblici qualificati coi compari politici la cui unica lealtà è verso di loro e poi tagliare miliardi di dollari dai servizi pubblici per riempire le tasche dei loro compagni miliardari”.
Il leader del Sindacato United Auto Workers, Shawn Fain, nel comizio di Detroit del settembre del 2023 che apriva gli scioperi per il rinnovo dei contratti delle tre grandi imprese auto statunitensi, disse: .“La guerra di classe oggi la stanno facendo i padroni”. Oggi questa guerra ha assunto forme ancor più virulente, a cominciare dai lavoratori pubblici. E lo scopo è di ridimensionare o cancellare del tutto la debole normativa, che deriva dal New Deal di F.D.Roosevelt di 90 anni fa, a cui si aggrappano i lavoratori statunitensi per rivendicare collettivamente i loro diritti collettivi.
Negli ultimi anni, in parecchie imprese notoriamente antisindacali, come Amazon e Starbucks, o in altri settori dove si mantiene la dura storia del lavoro organizzato statunitense, si sono sviluppate sindacalizzazioni, scioperi ed iniziative pubbliche coinvolgendo le comunità che attorniano i posti di lavoro. Tutto ciò ha aperto uno cuneo di lotte collettive e di senso di appartenenza all’interno di un Paese diviso e tormentato da povertà e da enormi differenze territoriali e sociali e aggredito dalla cacciata dei nuovi immigrati. Tenere aperto questo cuneo sociale servirà anche a contrastare un governo autoritario sempre più nelle dirette mani dei miliardari.
Fonti principali:
E.Blanc, Federal Workers Can Defeat Elon Musk’s Coup, Jacobin, 10.2
M.Mechanic, House Republicans Aim to Gut Spending and Cut Taxes (Mainly for the Rich) by $ 4.5 Trillion, Mother Jones, 12.2
C.Gibson, The opposition needs to make Elon Musk’s coup its sole, singular focus, Nation of Change, 13.2