La banca del vicino è sempre più verde

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Mentre ministri e capi di governo dei paesi dell’area dell’euro sono impegnati a proporre soluzioni del tutto insufficienti a fronteggiare la crisi da Covid-19, è notizia di questi giorni che la banca centrale del Regno Unito, la Banca d’Inghilterra (Bank of England – BoE), finanzierà direttamente i programmi di spesa del governo britannico. Questo vuol dire che il Governo del Regno Unito non si troverà davanti alla necessità di emettere titoli di debito da collocare sui mercati per reperire le risorse necessarie a fronteggiare l’emergenza sanitaria ed economica ormai in corso, bensì riceverà le risorse direttamente dalla sua banca centrale, l’organismo che ha il potere di creare moneta. Infatti, la BoE metterà liquidità a disposizione del governo semplicemente alimentando un apposito conto, denominato ‘Ways and means facility’, intestato al Tesoro britannico: in virtù dell’accordo appena siglato tra Tesoro e Banca centrale, il Governo potrà attingere da quel conto tutte le risorse necessarie a fronteggiare l’emergenza sanitaria e la conseguente crisi economica. Questo non significa, tuttavia, che il debito pubblico della pubblica amministrazione inglese resterà invariato: il Tesoro inglese registrerà un afflusso di denaro e, per un pari importo, un aumento delle passività verso la banca centrale. Queste ultime, tuttavia, non saranno rappresentate da titoli del debito pubblico, evitando in questo modo ogni possibile pressione e complicazione sui mercati finanziari.

Questo finanziamento diretto ha delle conseguenze rilevanti, e presenta delle significative diversità rispetto al contesto dell’Eurozona: il Governo britannico disporrà di risorse immediate senza pericolo alcuno di non trovare prestatori; inoltre, il Tesoro non avvertirà nessuna necessità di garantire tassi di interesse elevati per ottenere tali risorse; infine, non ci sarà nessun rischio di ricatto dei mercati, come invece sistematicamente accade ai Paesi della periferia europea quando si trovano a dover finanziare la spesa in disavanzo tramite il collocamento di titoli del debito pubblico sui mercati finanziari. Il tutto con buona pace del Governatore della BoE e delle sue preoccupazioni sulla possibile perdita di credibilità nel controllo dell’inflazione.

Proviamo a soffermarci più nel dettaglio sulle differenze con quanto accade, invece, nel contesto dell’euro. Se un Paese appartenente all’Eurozona volesse finanziare il proprio debito pubblico, non avrebbe la facoltà di bussare alla porta di una banca centrale per ottenere delle risorse. Dovrebbe, invece, emettere dei titoli di debito (come i BTP italiani) e cercare degli acquirenti sul mercato. Per fare in modo che questi titoli siano acquistati dovranno tuttavia essere appetibili e quindi garantire un rendimento (un tasso d’interesse) sufficientemente elevato da attirare gli investitori. Nell’area dell’Euro, inoltre, non è previsto – se non in circostanze eccezionali, come nel caso delle Outright Monetary Transactions (OMT) – l’acquisto all’emissione dei titoli del debito pubblico da parte della Banca Centrale Europea (BCE). Ciò che la BCE può fare è calmierare un eventuale innalzamento dei tassi di interesse mediante gli acquisti sul mercato secondario: tuttavia, la BCE effettua queste operazioni con modalità discrezionali, con il risultato di avvalersi della facoltà di poter abbandonare un Paese allo spread in qualsiasi momento. In altre parole, tale discrezionalità si traduce in una formidabile arma di ricatto delle istituzioni europee nei confronti di un Paese che volesse provare ad attuare politiche fiscali espansive tramite aumento del deficit. Nel caso del Regno Unito, invece, non solo il Governo non sarà costretto a passare per i mercati, ma tale prestito da parte della BoE non sarà nemmeno rappresentato da titoli pubblici.

Quanto avviene nel Regno Unito, fuori dalle regole dell’area Euro, segnala due cose: in primo luogo, che non è necessario passare attraverso i mercati finanziari per finanziare la spesa pubblica. In secondo luogo, che gli obiettivi di spesa pubblica nei Paesi con moneta sovrana sono determinati dalla politica e non dai tecnici. Non esistono, dunque, regole di finanza pubblica inesorabili e neutrali, ma esse, e gli obiettivi che con esse si perseguono, sono sempre il frutto di scelte politiche.

Nel contesto di un calo della produzione che nel Regno Unito si attesterà tra il 2% e il 5%, il governo britannico ha potuto decidere di spendere – e quindi di sostenere crescita e occupazione – senza particolari condizioni, e si è inoltre assicurato di poterlo fare in futuro nelle misure che desidererà. Una differenza con il contesto dell’Unione Europea tanto palese quanto drammatica.

Il Governo del Regno Unito, seppur con alcuni limiti legati ad un contesto di indipendenza formale della banca centrale, parimenti a tutti i paesi del mondo fuori dall’area euro, ha la capacità di creare moneta tramite la propria banca centrale per finanziare la spesa e aumentare la produzione (o evitare che crolli). Con una banca centrale che non risponde in alcun modo alle decisioni di un Governo, la cui agenda politica è anzi decisa da un ristretto numero di esecutori della volontà delle classi dominanti mascherati da tecnici, e che agisce dunque senza alcun controllo democratico, questo non è possibile. Proprio come accade nell’area euro con la BCE. Se quindi si vuole finanziare il deficit, il ricorso ai mercati è necessario, con la conseguenza di esporsi alla speculazione. Se infatti la speculazione si attiva in maniera intensa, sale lo spread, il costo per finanziarsi aumenta sempre più e il Paese è disincentivato dal proseguire su quella strada. È un gioco perverso che, in ottemperanza ai trattati europei, finisce per comprimere la spesa pubblica, limitando la crescita e abbandonando gli strati più poveri della popolazione a disoccupazione e povertà.

L’efficacia di politiche anticicliche finanziate attraverso la monetizzazione del deficit, esattamente come fatto dalla BoE, è ormai riconosciuta anche da economisti non certo noti per essere pericolosi sovversivi. Lo spettro dell’inflazione tirato in causa dal Governatore della BoE, tanto millantato nel contesto europeo per tentare di giustificare le ferree regole di bilancio, non è altro che una leggenda popolare. L’idea alla base di questo spauracchio è che se la banca centrale crea nuova moneta per finanziare le spese del governo, la quantità di moneta in circolazione subirà un aumento e con essa cresceranno anche i prezzi. Tuttavia, ciò avverrebbe solo se il sistema economico stesse utilizzando tutte le risorse (capitale e lavoro) disponibili. È facile osservare come, nelle moderne economie capitalistiche e tanto più in questo periodo drammatico di crisi, esista una quantità considerevole di impianti inattivi che potrebbero essere utilizzati per produrre di più, così come una mole impressionante di lavoratori disoccupati. Questo sottoutilizzo garantisce un certo margine di flessibilità che permette di accomodare un aumento della domanda di beni e servizi derivante dalla maggiore quantità di moneta in circolazione, mettendo al riparo il sistema dall’insorgere di spinte inflattive.

Se questa drammatica epidemia ci insegna qualcosa è che forse è tempo di tornare all’indipendenza della politica economica, utilizzata come valido strumento per perseguire la piena occupazione e la giustizia sociale, migliorando le condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie. Precondizione per ottenere ciò è riappropriarsi di una banca centrale per poter svolgere appieno la politica monetaria. Ciò non significa, tuttavia, che Paesi dotati di una propria banca centrale, come l’Inghilterra, il Giappone, gli Stati Uniti e molti altri, siano Paesi in cui il capitalismo non si è dotato di strumenti per contenere il conflitto sociale: semplicemente queste economie, pur pienamente allineate al neo-liberismo, hanno deciso di non privarsi di uno strumento – quello di una banca centrale propria – la cui assenza impedisce anche di fare fronte a emergenze come quella che stiamo vivendo in queste settimane.

Ma c’è qualcosa di ancora più importante: una volta riconosciuto che lo Stato, in tempi di crisi, può spendere più di quanto raccoglie senza bisogno di finanziarsi sui mercati, perché non dovrebbe essere in grado di sostenere sistematicamente la crescita e l’occupazione? La risposta è sempre la stessa: crescita sostenuta e piena occupazione spaventano il profitto. Pertanto, un contesto sociale ed economico di disoccupazione azzerata non gioverebbe né ai padroni né alle classi dominanti, mentre mancanza di lavoro e assenza di stato sociale sono armi affilatissime per disciplinare i lavoratori attraverso il ricatto della disoccupazione che spinge i lavoratori occupati ad accettare salari più bassi e peggiori condizioni di lavoro pur di mantenere il proprio posto di lavoro. Ecco che, per concludere, la storia della Bank of England ci insegna più che mai quanto riappropriarsi di una banca centrale rappresenti una condizione necessaria ma non sufficiente per orientare il confitto di classe nella direzione degli sfruttati.

Fonte: https://coniarerivolta.org/2020/04/16/la-banca-del-vicino-e-sempre-piu-verde/

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