La città di domani – Appunti per una uscita dalla crisi della monocultura turistica

Riceviamo e pubblichiamo alcune note di Quartieri in Movimento, una rete di comitati, associazioni e collettivi della terraferma veneziana, che pongono l’attenzione sul legame tra la monocultura turistica, a cui Venezia e Mestre sono state consegnate negli ultimi anni, e la crisi che si aprirà a seguito della pandemia che ci ha colpiti. Il momento che stiamo vivendo è centrale per definire gli assetti delle nostre città nei prossimi anni, mai come ora è fondamentale immaginare un futuro diverso per noi e i nostri territori. Un futuro che sappia legare insieme ambiente, welfare, reddito e diritti in una situazione colma di contraddizioni e in cui tracciare collettivamente la rotta.

“Non vogliamo tornare alla normalità, perché quella normalità è il problema!”

In questi giorni la crisi pandemica si riverbera nel dibattito sul futuro della nostra città e nel rapporto tra essa e la sua principale industria, quella del turismo. Sono evidenti e prevedibili i possibili effetti che, all’interno di una crisi di tale portata, colpiranno prepotentemente il settore turistico di una città che, già da diversi anni in tutto il centro storico ma ormai anche in buona parte della terraferma, ha deciso di legare il suo destino ed il suo sviluppo al turismo di massa.

Sulla stampa nazionale e locale gli articoli e gli interventi sulle prospettive future trovano ampio spazio, così come le dichiarazioni delle categorie di settore. Le immancabili invettive del sindaco Luigi Brugnaro, che dipinge come uccelli del malaugurio chi in questi anni ha criticato un modello di sviluppo insostenibile fondato sulla monocultura turistica, sono solo le prime schermaglie di un dibattito che segnerà definitivamente il destino di questa nostra città, sia di quella d’acqua, ormai completamente stravolta, che di quella di terraferma.

E così in terraferma, mentre Porto Marghera attende da decenni le bonifiche ed i marginamenti promessi ed un vero progetto strategico di riconversione ecologica dell’intera area che potrebbe dare vita invece a nuove attività compatibili con il territorio, conclusosi il ciclo tragico della chimica, un modello industriale che ha lasciato negli anni malattie, morti e devastazione ambientale dei territori, si è pensato di trovare una facile soluzione affidandosi ad un’altra industria “pesante”, quella del turismo di massa.

Un’industria che ha generato enormi costi, sia in termini sociali che ambientali, letteralmente esplosi negli ultimi vent’anni. Costi altissimi, che ricadono direttamente sulla popolazione: la trasformazione del centro storico in una sorta di park tematico; l’irrompere sulla scena di piattaforme turistiche come Airbnb che hanno stravolto il mercato immobiliare legato agli affitti impedendo di fatto alla maggior parte dei residenti di trovare casa; la chiusura di tante attività artigianali e commerciali per la cittadinanza e la loro conseguente trasformazione in attività legate al turismo; tutti questi fattori hanno prodotto una vera desertificazione contribuendo in modo preponderante allo svuotamento della città storica. A questo va aggiunta la totale mancanza di politiche volte alla regolazione dei flussi in un contesto, come quello del centro storico, così fragile e delicato e che necessita di una costante azione conservativa.

Questi effetti si stanno però rapidamente affermando anche in terraferma, una parte di città che assume ogni giorno di più la forma di succursale low-cost, una sorta di grande dormitorio turistico (come nella seconda metà del secolo scorso fu dormitorio per gli operai delle fabbriche), della Disneyland lagunare. Anche qui oramai assistiamo allo stesso tipo di effetti descritti in precedenza a cui si accompagnano enormi speculazioni immobiliari che stanno trasformando e cementificando in modo irreversibile il territorio, in una città dove si stanno restringendo sempre di più le zone verdi e le aree alberate.

E qui subentra l’altro tema importante, che ci fa definire “pesante” l’industria del turismo di massa. Quello dei costi ambientali che la nostra città sopporta. Il nostro territorio è uno dei più inquinati della pianura padana, gli sforamenti dei limiti delle polveri sottili non si contano, intere aree vengono sottratte al verde per essere messe a disposizione di nuove costruzioni. I nuovi complessi ricettivi e lo stravolgimento delle aree in cui sorgono, il numero sempre crescente di navi da crociera che arrivano in città, il traffico aereo che fa rotta sul Marco Polo di Tessera al centro di ipotesi di ampliamento, sono solo alcune delle voci legate all’industria turistica che pesano in maniera determinante sulla qualità dell’aria e la salute dei cittadini.

L’ultima considerazione (ma ce ne sarebbero molte altre) è rivolta a chi dice che prima di queste cose bisogna pensare al lavoro. Ma che tipo di lavoro è quello che produce questo modello di turismo? Un lavoro dove spesso è richiesta la massima flessibilità, che significa condizioni di intermittenza e precarietà che si rispecchiano in contratti a termine, a chiamata, brevi e precari, nell’uso indiscriminato delle partite Iva. Senza contare che un simile mercato del lavoro produce ampie sacche di lavoro nero e “grigio”, difficili da fare emergere. Questo significa che la grande ricchezza che viene “estratta” dalla nostra città in realtà viene redistribuita solo in minima parte.

Secondo i dati di alcune associazioni di categoria, nella provincia di Venezia, sono quasi 9000 le imprese turistiche e circa 50000 gli addetti. Inoltre a tutto questo va aggiunto l’indotto.

Anche senza scavare molto a fondo, cosa ci dicono questi semplici dati? Che consegnare mani e piedi una città alla monocultura turistica significa condannare migliaia di lavoratori alla perdita del proprio posto e del reddito a fronte di eventuali crisi del settore. Significa non avere altre risorse su cui reggere o altre opportunità in cui ricollocarsi. La scelta di questo modello di sviluppo, insostenibile per le ragioni che abbiamo indicato precedentemente, e di cui il sindaco Brugnaro in questi cinque anni è stato il massimo portavoce, è oltretutto una scelta miope e pericolosa. Sono bastati due fatti avvenuti a distanza di pochi mesi, l’“acqua granda” di novembre e la pandemia in atto a mettere totalmente in crisi l’intera città e la sua fragile economia.

E a chi dice che bisogna perseverare chiediamo come si fa a non accorgersi della pericolosità di affidarsi a questo modello di sviluppo per il nostro territorio? Come si fa a leggere ciò che sta accadendo come casi eccezionali ed unici e non invece come eventi che hanno una diretta relazione col sistema economico in cui viviamo? Come non mettere in relazione le morti provocate dalla crisi pandemica in atto con lo stato di salute già compromesso in cui migliaia di persone versano a causa dell’inquinamento atmosferico?

In un pianeta segnato dalla crisi climatica, eventi meteorologici violenti saranno sempre più la normalità. Per una città come la nostra che si è sviluppata sulla costa questo rappresenterà una tragica realtà con cui fare i conti. Una cosa è certa. Il dibattito, la discussione, le idee che si svilupperanno in questi giorni potranno portarci a fare o meno delle scelte fondamentali per il nostro futuro. A chi vuole costringerci a scegliere tra il lavoro e la salute, tra il lavoro e l’ambiente, noi diciamo che non siamo più disposti a cedere a questo ricatto.

Per questo come comitati, associazioni, collettivi che in questi anni hanno affrontato i temi sociali ed ambientali della terraferma e più in generale della nostra città appoggiamo le campagne promosse per istituire un #redditodiquarantena e altre misure straordinarie a sostegno di tutti i cittadini colpiti.

Per noi la giustizia sociale e quella ambientale non possono essere slegate. Questa crisi non deve essere pagata, ancora una volta, dai più deboli. Per questo crediamo sia importante indicare alcuni punti su cui costruire proposte, momenti di dibattito e di mobilitazione, perché crediamo che serva costruire insieme un futuro diverso per la nostra città. Questi sono i primi punti emersi dalla nostra discussione:

WELFARE E CITTÀ 

La crisi che dovremo affrontare sarà probabilmente una tra le più dure mai affrontate. Servono strumenti immediati di sostegno alle fasce più deboli della popolazione. Servono scelte in netta controtendenza rispetto a quelle che governi nazionali, regioni e comuni hanno preso negli ultimi anni in cui il welfare è stato drammaticamente attaccato. Nella nostra città la giunta Brugnaro ha ridotto drasticamente questi servizi in diversi settori. Servono risorse economiche, non solo per ripristinare i servizi che non ci sono più, ma anche per costruirne di nuovi che rispondano ad una situazione di generale impoverimento a cui andremo incontro.

Oltre alle risorse economiche servono risorse strutturali. Chi ha sostenuto, in questi anni di tagli, un welfare di comunità in città sono state proprio le associazioni ed i comitati molto spesso osteggiati da questa giunta. Queste esperienze devono essere valorizzate e supportate. Spesso queste realtà vivono dimensioni precarie, senza nemmeno un luogo fisico stabile dove poter operare. Perché allora non destinare a queste i numerosi spazi del Comune, della Regione o di altri enti pubblici che non vengono utilizzati o che si vuole (ancora!) mettere sul mercato? 

UNA NUOVA POLITICA DELLA RESIDENZA 

Che parta dal recupero totale del patrimonio abitativo pubblico (ancora in molte parti inutilizzato) e che affianchi, ai classici bandi, nuove azioni di recupero che coinvolgano direttamente quei cittadini che, non potendo accedere al mercato privato, ne hanno bisogno. Si potrebbero così destinare i fondi pubblici per rendere agibili ed assegnare gli immobili sfitti e contemporaneamente attivare progetti e bandi innovativi rivolti a giovani coppie, lavoratori precari, studenti e centrati sull’auto-recupero e l’auto-restauro ripopolando cosi di nuovi cittadini e quindi di nuove risorse la vita dei nostri quartieri. Inoltre a queste prime azioni serve accompagnare un provvedimento urgente di emersione e di regolarizzazione per tutti quei cittadini in evidente stato di necessità che in questo momento vivono, anche senza titolo, in questi alloggi pubblici.

RISORSE, SPAZI E NUOVE ATTIVITÀ 

Per tutte quelle realtà giovanili e non solo che si propongono di avviare percorsi sociali, culturali, di cooperazione che costituiscano esperienze e forme innovative in termini di servizi ed attività (commercio di vicinato, artigianato, agricoltura della filiera corta e bio, accoglienza, eventi e produzioni culturali, progetti di turismo realmente etico e sostenibile con proposte che mirino ad alleggerire il carico turistico dal centro storico indirizzandolo verso mete alternative, per citarne solo alcune) per il nostro territorio. Anche qui esiste un tessuto estremamente ricco e con grande potenzialità che spesso a causa della mancanza di risorse non riesce a svilupparsi. Sono indispensabili per questo interventi in tema di agevolazioni, finanziamenti, di messa a disposizione di spazi pubblici inutilizzati e di tutte quelle risorse che risorse possono essere fondamentali per la nascita di attività innovative e nuovi settori “a misura della città”.

Questi sono solo i primi punti che vorremmo portare all’interno di un dibattito che speriamo possa cambiare il futuro della nostra città.

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