La classe media va in Paradiso!

Caro Lulù (1),

è passato diverso tempo da quando la genialità di Elio Petri ti ha messo in scena con il volto di Gian Maria Volonté, in quel capolavoro de “La classe operaia va in paradiso”. (2)

All’epoca gli sfruttati erano gli operai di fabbrica, gli ingranaggi viventi della catena di montaggio, le masse di lavoratori che ogni mattina attendevano il suono della sirena per dare inizio a logoranti turni di produzione.
Tra i registi degli anni ’70, Petri fu uno dei pochi che ebbe il coraggio di denunciare radicalmente la condizione operaia, senza riservare sconti a nessuna delle parti in causa: non agli imprenditori, non alla politica, non ai sindacati.

La classe media va in Paradiso!
Il regista italiano Elio Petri

Nella visione di Petri, la battaglia dei lavoratori di fabbrica veniva focalizzata unicamente sul problema del cottimo, il quale, pur in tutta la sua ingiustizia, fungeva da specchietto per le allodole, monopolizzava l’oggetto dei dibattiti e catalizzava il consenso dei rappresentanti di partito.

Non fraintendere Lulù, nessuno oggi negherebbe che il cottimo rappresentasse l’apice di quella logica scellerata della produzione industriale, peraltro, è proprio quella foga del lavorare di più – per produrre di più – per guadagnare di più che ti ha causato la perdita del dito.
La miseria dell’operaio, in fondo, si è sempre celata dietro ad un bisogno perverso: accumulare ricchezza da poter spendere, anche a costo di sacrificare il proprio corpo. E allora, perché scandalizzarsi per gli incidenti di percorso, per quegli infortuni sul lavoro che hanno menomato tanti fra i tuoi colleghi riducendoli alla stregua di bulloni guasti?
In verità, lo avevi capito tu stesso: non si trattava che di rinunciare alla vita per la sopravvivenza dentro la Società.
Nel tuo discorso di inneggio allo sciopero lo urlavi chiaramente: “lo studente, lì fuori, ha detto che noi entriamo qui dentro di giorno, quando è buio, e usciamo di sera, quando è buio. Ma che vita è la nostra! […] Allora io dico, già che ci siamo, perché non lo raddoppiamo questo cottimo, eh? Così lavoriamo anche la domenica, magari veniamo qui dentro anche di notte, anzi magari portiamo dentro anche i bambini, le donne. I bambini li sbattiamo sotto a lavorare, le donne ci sbattono a noi un panino in bocca e noi via che andiamo avanti senza staccare, avanti, avanti, avanti… avanti per queste quattro lire vigliacche fino alla morte!”

Tuttavia, la mera abolizione del cottimo, come ti suggeriva lo studente anarchico (3), non avrebbe risolto il problema della condizione degli operai. Sembra paradossale ma, in fin dei conti, le idee più lucide su questo genere di cose le aveva formulate, rinchiuso tre le mura del manicomio, quel matto del Militina (4), il quale ricordava bene il momento in cui era uscito di senno. Il Militina era solito raccontare di quando, un bel giorno, si era ritrovato ad interrogarsi su sé stesso, chiedendosi cos’è che fabbricava lui con il suo lavoro, ogni santo giorno, in quella benedetta fabbrica…Perché, diceva: “Un uomo ha il diritto di sapere quello che fa, a che cosa serve. Sì o no?”.

La risposta nessuno gliel’ha mai data, ma, a quel punto, lui si era talmente incaponito sulla domanda che a momenti strozzava l’ingegnere – l’imprenditore, il grande capo! É da lì che l’hanno spedito in cura… Aveva forse aperto troppo gli occhi, Lulù?
D’altra parte, suggerirebbe Pirandello, non c’è come gridare la verità per farsi prendere per pazzi.
Ammettilo, nemmeno tu hai capito cosa sono tutti questi pezzi “che servono per un motore […] che poi va a finire in un’altra macchina […] che però non è lì”.
Ma il punto è, Lulù, che non avresti dovuto fartene un cruccio: le cose oggi non vanno poi così diversamente.
La Società moderna coltiva il culto della tecnica, crede nel telelavoro, nei meeting, nei webinar e nelle conference call.
Tutto, rigorosamente, su potenti piattaforme digitali che hanno preso il posto della vecchia catena di montaggio.
Se la fabbrica alienava l’operaio di ieri, la tecnologia sottomette il ‘para-impiegato’ di oggi: il lavoratore da ufficio ridotto a passare dieci ore, immobile davanti ad un computer, a fare un lavoro che, spesso, non capisce. E così, la funzione del salariato da scrivania è quella di azionare una macchina a cui l’uomo ha delegato il compito di pensare per lui. A ben vedere, il messaggio di benvenuto – ripetuto ad inizio turno nei reparti della B.A.N. – potrebbe tranquillamente essere mutuato negli uffici moderni: “Lavoratori, buongiorno. La direzione aziendale vi augura buon lavoro. Nel vostro interesse, trattate la macchina che vi è stata affidata con amore. Badate alla sua manutenzione. Le misure di sicurezza suggerite dall’azienda garantiscono la vostra incolumità. La vostra salute dipende dal vostro rapporto con la macchina. Rispettate le sue esigenze, e non dimenticate che macchina più attenzione uguale produzione. Buon lavoro.”
Capirai che questi uffici si sono riempiti di una nuova classe di lavoratori: la classe media, che, in analogia con quanto accadeva agli operai, è composta da personale impegnato a svolgere funzioni sempre più alienanti, in condizioni sempre più precarie e, soprattutto, raggiungendo livelli di impoverimento sempre più elevati. Ad essere mutate, evidentemente, sono solo le modalità con cui questi tipi di lavoro logorano le vite umane. Si registra una riduzione di menomati fisici a fronte di un incremento di patologici mentali. La collettività si presenta piena zeppa di persone fragili con necessità di supporto psicologico; il tutto a colmare quel vuoto generato dalla mancanza di tempo libero da spendere in maniera saggia. Ne consegue che quelle quattro lire vigliacche vengono sperperate con la vana illusione di poter risolvere stati di salute compromessi da ritmi lavorativi disumani: chi si sfoga nei supermercati, chi girovagando in catene di arredamento stile ‘grandi magazzini’, chi si autoconvince degli indescrivibili benefici apportati da inimmaginabili esperienze sensoriali, o, ancora, chi si rimbambisce a fare acquisti online a colpi di clic. Nulla di grave se non fossero, come invece sono, meri palliativi messi a disposizione delle persone per distrarle dalle loro condizioni miserabili. Dietro a tutto ciò, in assenza di qualcuno che si interroghi seriamente sulle relative cause, si celano situazioni drammatiche: generazioni di giovani mantenuti dai genitori, assenza totale di prospettive, sottomissione a condizioni lavorative dequalificanti, stipendi inadeguati alla stabilità, impossibilità di pianificare la genesi di nuclei familiari.
Lulù, farsi una famiglia? Con stipendi da fame, monolocali in affitto e contratti a termine? Con ipotetiche madri che vivono in ufficio per riuscire – a stento – a coprire i costi del nido? O che lavorano alla cassa di notte?
Abbiamo ottenuto la parità dei sessi: la donna è libera di lavorare alle stesse condizioni disgraziate dell’uomo; ma sgravata dal peso della casa o dalla cura della prole…Ringraziamo le femministe dell’ultima ora per questo!
Perdona lo sfogo Lulù, ci si perde in chiacchiere…
Basterebbe dire che la classe media è destinata al Paradiso, quello stesso Paradiso riservato a voi operai.
È davvero difficile, però, togliersi dalla testa quegli inutili oggetti accumulati in casa tua e di cui un giorno ti sei deciso a fare l’elenco per valutarne il prezzo in relazione al tempo lavorato, considerando il loro costo alla luce delle ore sottratte alla tua vita.
Anche su questo, in effetti, aveva insistito lo studente: “ci sono mille modi di vivere, prova a cambiare, a non vivere come sei stato abituato.. ora sei disoccupato e puoi fare quello che vuoi (…) tanto da mangiare si rimedia sempre qualche cosa.”
Senonché, alla fine, ti avevano riassunto in fabbrica…nonostante il dito perso, nonostante lo sciopero ad oltranza, nonostante il comportamento violento e antisindacale, nonostante tu stessi iniziando a ragionare come il Militina!

Sei ritornato al lavoro, vero Lulù?

E dimmi…“Non sei contento?”

La classe media va in Paradiso!
Ennio Morricone nella scena finale del film

di Ivana Suerra, ComeDonChisciotte.org

NOTE

(1) Lulù – Ludovico Massa – è il protagonista del film di Elio Petri dal titolo ‘La classe operaia va in paradiso’ del 1971: impersona un operaio sottoposto a ritmi infernali nella fabbrica metalmeccanica del Milanese – la B.A.N. – che rimane vittima di un infortunio sul lavoro perdendo un dito.

(2) ‘La classe operaia va in paradiso’ forma, insieme a ‘Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto’ e ‘La proprietà non è più un furto’, la c.d. Trilogia della Nevrosi con la quale Petri cerca di trattare tre grandi temi del suo tempo: Potere, Lavoro e Denaro.
Dalla sceneggiatura del film sono tratte tutte le citazioni che seguono.

(3) Lo studente è un trentenne fuori corso che dedica il suo tempo a fare picchetto fuori dalle fabbriche nell’intento di risvegliare la classe operaia.

(4) Militina è un ex operaio della B.A.N. che ha perso il senno a causa della condizione miserabile a cui veniva sottoposto in fabbrica: dal manicomio conversa con Lulù su temi tutt’altro che folli.

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