«Non ci può essere una ripartenza se non tutte e tutti assieme». Questo è il messaggio – chiaro e schietto – che emerge dalla piazza di ieri a Verona lanciata dai lavoratori e lavoratrici dello spettacolo e della cultura del Veneto. La manifestazione ha coinciso con la “riapertura” della stagione operistica dell’Arena di Verona, che ha visto 22 artisti e 4 direttori d’orchestra esibirsi per la prima volta dopo la sospensione delle attività, avvenuta a febbraio, mentre in Italia iniziava a diffondersi la pandemia di Coronavirus.
Si è trattato, però, di una “falsa ripartenza”, perché avvenuta dopo che la Fondazione Arena ha lasciato a casa – senza alcune preavviso – 500 figure professionali, che negli ultimi anni hanno più o meno stabilmente lavorato all’interno della grande macchina di eventi dell’Arena. Per questa ragione l’anfiteatro veronese, uno dei simboli dell’industria culturale italiana, rappresenta oggi la mancanza di tutele e diritti di uno dei settori più colpiti dall’attuale crisi. Un settore che ha iniziato una mobilitazione permanente lo scorso 30 maggio, ma che ancora non trova alcuna risposta concreta alle proprie richieste.
Le Maestranze dello Spettacolo del Veneto avevano anche inviato alla Fondazione Arena una lettera che avrebbero voluto leggere sul palco, prima dell’inizio dell’opera. Una lettera che non ha mai ricevuto risposta, a testimonianza dell’arroganza e del menefreghismo di questo come di altri istituti culturali di questo Paese. La lettera è stata comunque letta in piazza, ricevendo l’applauso scrosciante dei tanti presenti.
Queste alcune di dichiarazioni dopo la manifestazione: «La manifestazione di Verona è stata estremamente importante perché dimostra come l’autorganizzazione, in particolare in questa fase di “emergenza continua”, prevale su tutto. Personale dello spettacolo, autorganizzandosi, si è presentato fuori dall’Arena di Verona, manifestando solidarietà a quei lavoratori e lavoratrici della Fondazione Arena i cui contratti non sono stati rinnovati. Importante è stato anche il fatto che sono venute delegazioni di lavoratori e lavoratrici anche da fuori regione, in particolare da Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia-Giulia.
Il problema principale sollevato dalla manifestazione è che questa “falsa ripartenza” è tarata solo sui grandi eventi, lasciando di fatto escluse la maggior parte delle produzione medie e piccole. Con questa piazza sanciamo anche l’importanza di dire sempre la cosa giusta, in un mondo dello spettacolo martoriato da una tossicità di sistema, che fa dei lavoratori e delle lavoratrici un merce che non bada alla giustizia sociale, al reddito, ai diritti e alla dignità».