No alle tregue farsa, per un cessate il fuoco, per la fine dell’occupazione israeliana verso un processo di pace reale. L’appello del Centro sociale Bruno di Trento.
Una tregua non basta per fermare un genocidio. Soprattutto quando di tregua è difficile parlare.
Per sette giorni l’aviazione israeliana ha fatto tacere le proprie bombe su Gaza, sperando così di silenziare le voci che da settimane in tutto il mondo si stavano alzando contro l’occupazione e il tentativo di pulizia etnica della Palestina.
La tregua a Gaza è arrivata dopo 50 giorni di inferno, 15 mila morti, di cui 6.150 bambini e 4000 donne, 36.000 feriti (il 75% donne e bambini) e più di 6.800 dispersi sotto le macerie. In Cisgiordania, al 24 novembre si contavano 242 morti, tra cui 57 bambini, e 2,750 feriti dagli attacchi del 7 ottobre.
Secondo i media occidentali stava andando tutto bene: i rifornimenti entravano nell’enclave assediata, i prigionieri, di entrambe le parti, venivano rilasciati. Tanto è bastato per far scivolare dalle prime pagine il massacro in corso, già narrato con una colpevole strumentalizzazione degli eventi.
Nei giorni di cosiddetta tregua, a Gaza si contavano nella disperazione i morti e i dispersi. Nel nord i rifornimenti non arrivavano e chi provava a rientrare nelle proprie case veniva ucciso dai cecchini israeliani. Il sistema sanitario è rimasto al collasso e quasi tutta la popolazione è ormai sfollata. Dall’altra parte del muro, in Cisgiordania, un’enorme offensiva militare si abbatteva nelle città e nei campi profughi palestinesi. Giorni di terrore, con distruzioni, aggressioni, violenze indiscriminate e centinaia di arresti per compensare (e vendicarsi) del rilascio dei prigionieri palestinesi, perlopiù donne e minori, come parte dell’accordo per il rilascio degli ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre.
La notte del primo dicembre la tregua farsa è stata definitivamente interrotta. Le bombe israeliane hanno ripreso a cadere con tutta la loro furia sulle teste dei civili, provocando in poche ore già un centinaio di morti, soprattutto bambini.
Israele ha dato ordine di sfollare nuovamente le persone già costrette ad abbandonare le loro case e rifugiate al sud, indicata inizialmente dai militari come zona sicura ma sin dal primo giorno interessata da intensi bombardamenti. Il piano di pulizia etnica è stato svelato dagli stessi media israeliani, con la diffusione di un documento dei servizi segreti che prevede la deportazione di 2,3 milioni di persone residenti di Gaza nel deserto del Sinai. Per accelerare questo processo, il governo israeliano ha ridotto la popolazione allo stremo. Si bombardano gli ospedali, le telecomunicazioni e le panetterie, togliendo l’accesso a acqua ed elettricità.
Fin dall’inizio, i governi occidentali, inclusa l’Italia, si sono schierati senza esitazioni e con assoluta complicità dalla parte di Israele, sostenendo il massacro in corso, fornendo supporto militare, alcuni fingendo di non vedere in questi attacchi il progetto di una nuova Nakba.
Con la diplomazia internazionale ridotta a fantoccio di se stessa, la mobilitazione internazionale è l’unica cosa che può fermare il governo israeliano, evitare l’allargamento incontrollato del conflitto e che la causa palestinese venga strumentalizzata da regimi e organizzazioni armate islamiste e fasciste.
Non possiamo restare inerti di fronte a un genocidio.
Non possiamo permettere che la tragedia di Gaza venga silenziata in nome degli interessi commerciali, militari ed energetici di lobbies e governi.
Continuiamo a mobilitarci per chiedere e praticare, a partire dai nostri territori, l’interruzione dei rapporti commerciali, accademici e militari con Israele; per la cessazione dell’occupazione e della colonizzazione dei territori palestinesi; per un processo di pace che sia reale, che coinvolga veramente la popolazione palestinese e non sia imposto unilateralmente per garantire gli interessi strategici nella regione.
Invitiamo tutt* a prendere posizione, a schierarsi e a mobilitarsi dalla parte della popolazione palestinese. Costruiamo una mobilitazione ampia, dalle aule dell’università, dai nostri posti di lavoro, alle strade delle nostre città.
Non esiste una soluzione militare a un problema politico: l’ultimo giorno di occupazione sarà il primo giorno di pace.
Appuntamento in Auletta a Sociologia lunedì 4 dicembre ore 15 per la preparazione dei materiali e la condivisione di spunti e proposte.