La ricercatrice Oksana Dutchak vive in Ucraina e fa parte del collettivo EAST – Essential Autonomous Struggles Transnational (Lotte Autonome Essenziali Transnazionali). In questo articolo, racconta l’attuale situazione ucraina in continuo mutamento e i tentativi della popolazione locale di auto-organizzarsi per far fronte alla guerra. Il problema di come creare una politica transnazionale di pace non ha una risposta semplice. Continuare a mobilitarsi e a comunicare oltre i confini è cruciale, ma si dovrebbe accompagnare a un ripensamento radicale del significato della transnazionalità. L’articolo originale è uscito su Commons.com ed è stata tradotto per Global Project da Emma Purgato e Miriam Viscusi.
Qual è la situazione in Ucraina in questo momento e come ha reagito la popolazione locale allo scoppio della guerra?
La situazione è molto complessa. Nei primi giorni, sembrava che l’esercito russo tentasse di non prendere di mira i civili. Volevano distruggere le infrastrutture militari del Paese, con l’idea che il governo e la società si sarebbero semplicemente arresi, ma non ha funzionato.
Mi domando quanto sia stata stupida la loro intelligence: i loro calcoli erano completamente sbagliati. La loro strategia non ha funzionato perché l’esercito ha iniziato a mobilitarsi, e anche la gente sul campo. Questo dà un po’ di speranza, ma ha fatto cambiare la loro strategia in modo drammatico. Ora stanno attaccando anche i civili. Oggi [2 marzo 2022], la città di Kharkiv è stata pesantemente bombardata, sono stati presi di mira nello specifico i distretti residenziali e il centro città. Non sappiamo che sviluppi ci saranno d’ora in poi.
Questo cambiamento di strategia significa da un lato che sentono di aver fatto un grosso errore di calcolo all’inizio e al contempo rappresenta un grande pericolo per i civili. Per quanto riguarda la popolazione civile, mentre buona parte della sinistra occidentale dà la colpa alla NATO, niente ha più alimentato nella popolazione locale l’appoggio alla NATO, e l’idea di unirsi alla NATO, quanto ciò che la Russia sta facendo ora. Proprio in questo periodo sta circolando un sondaggio, secondo il quale il 76% della popolazione appoggia l’idea, un record dovuto principalmente all’aumento esponenziale di persone che hanno cambiato opinione nelle regioni Orientale e Meridionale, territori solitamente in opposizione alla NATO. Quando l’esercito statunitense ha avvertito di un attacco imminente da parte della Russia, sono stati in pochi a prendere la cosa sul serio. Nemmeno io ci ho creduto fino all’ultimo. Ora appare evidente che la Russia si stava preparando all’invasione già da qualche mese.
Ora la popolazione è diventata estremamente anti-Russia. Provando a prendere il controllo totale dell’Ucraina, stanno ottenendo l’effetto opposto, perché ora i più vedono la Russia in modo molto negativo.
Ci sono persone che non sono radicalmente contro la Russia. Ma è difficile avere una posizione moderata quando si vede cosa sta succedendo, come il bombardamento di Kharkiv – una delle più grandi città ucraine, prevalentemente di lingua russa. Il livello di odio è molto alto in questo momento, comprensibilmente. Date le circostanze, risulta difficile percepire la Russia in altro modo.
Il popolo ucraino di sinistra ne stava parlando già da un po’, ma di solito questi ragionamenti cadevano nel vuoto e nessuno ci prestava attenzione. Ora, la volontà della Russia di restaurare il suo potere imperiale è sotto gli occhi di tutti, con gli esiti negativi che questa spinta sta avendo rispetto a noi, alla popolazione russa, alla stabilità mondiale, ecc.
Ho amici che vivono in città sotto attacco e parenti che non sono riusciti ad andarsene, o hanno deciso di restare. Molti si stanno preparando alla guerriglia, un’altra eventualità che il governo russo non aveva messo in conto. Non so se ci credessero veramente, ma il governo russo ha detto ai suoi cittadini che le truppe sarebbero stati ben accolte da tutti in Ucraina. Invece, vediamo video di civili disarmati che fermano carri armati sulle strade. Probabilmente questo è il motivo che li ha spinti a cambiare tattica, decidendo di iniziare a bombardare i civili per demoralizzarli, dato che non è possibile fermare gli aerei bloccando le strade senza armi.
Ci sono anche casi di persone che hanno attaccato i carri armati con bombe molotov e altro. Kyiv, e molte altre città, si stanno preparando alla guerriglia. Anche se i russi riuscissero in qualche modo a portare a compimento i loro piani e a instaurare un governo fantoccio qui in Ucraina, questo avrebbe vita breve, perché innescherebbe un’escalation di tensioni che coinvolgerebbero la popolazione civile. Non tutti stanno reagendo in questo modo ma è difficile pensare di fare altro in una situazione del genere. Credo che, in molti centri abitati, la popolazione tenterebbe di resistere anche in modo pacifico ma, nel momento in cui le città vengono distrutte dai bombardamenti, qualsiasi forma di resistenza diventa difficile.
Lo scoppio di una vera e propria guerra in Ucraina è stato preceduto da settimane di retorica bellica sia dalla parte degli Stati Uniti che della Russia. Come si posizionano le organizzazioni femministe e dei lavoratori in Ucraina rispetto alla situazione attuale?
Organizzazioni diverse hanno reagito in modi diversi. Ci sono persone che provano a organizzare spontaneamente qualsiasi tipo di sostegno ai civili. C’è un grande fenomeno di auto-organizzazione sotterranea per l’evacuazione delle persone, per aiutarle a raggiungere un luogo sicuro, ma anche per sostenere chi rimane nelle città, perché non può o non vuole andarsene, a cui mancano cibo e medicine. Ci sono anche iniziative partite dal basso che si preparano alla guerriglia, in modo più o meno organizzato.
Molti utilizzano i contatti che hanno all’estero per aiutare chi sta attraversando il confine, chi ha bisogno di mezzi per andarsene e di un posto dove stare in Polonia, Romania, Moldavia. Reti di questo tipo godono di un’alta partecipazione ed è quello che stanno facendo anche le organizzazioni anarchiche, femministe e in generale di sinistra. C’è molta auto-organizzazione, sia per quanto riguarda l’aiuto ai civili sia per prepararsi alle future invasioni delle città.
Stanno arrivando testimonianze di persone bloccate ai confini e spesso discriminate a causa del colore della pelle. Ci sono notizie su quel fronte?
Questo problema esiste ma non so quanto si possa considerare sistematico. Attivisti per i diritti umani stanno provando a sollevare la questione e a parlarne al pubblico. Di recente il governo ha risposto ufficialmente dichiarando in modo esplicito che non ci deve essere nessuna discriminazione e distribuendo un modulo online specifico per gli studenti stranieri, per assisterli nell’attraversata del confine.
Ho notato che l’Europa sta reagendo diversamente. La Polonia è stata tra i primi paesi ad aprire i confini ai profughi ucraini. Confrontiamo questa reazione con ciò che hanno fatto quando c’è stata la crisi al confine tra Polonia e Bielorussia. La differenza è per me evidente e il mio punto di vista è critico. Si tratta di razzismo, ovviamente. Il problema non è quanto buoni sono questi paesi nei confronti dell’Ucraina ma quanto si comportano in modo sbagliato con le altre persone. È un importante indicatore del razzismo e di come paesi diversi vengono percepiti in modo differente.
Hai qualche notizia dal confine? Ci sono persone che conosci che sono riuscite ad attraversarlo?
Ci sono lunghissime file di persone, che transitano in auto e a piedi, e la situazione è veramente difficile. Una mia amica se ne stava andando dal paese. Ha trascorso due giorni al confine. Lei con i suoi tre figli. Per fortuna, sono riusciti a passare. Il problema è che ci sono veramente moltissime persone che stanno provando ad andarsene e i volontari da entrambi i lati stanno tentando di aiutarle in qualsiasi modo, per esempio con aiuti umanitari sotto forma di vestiti, perché chi scappa non ne ha a sufficienza e le notti sono fredde. Stanno quindi facendo il possibile per trovare loro un posto dove stare, o comunque aiutarle in qualche modo. In Polonia e Moldavia si stanno organizzando trasferimenti di chi arriva dall’Ucraina, perlopiù gratuiti, verso luoghi dove possano rifugiarsi, oppure in città dove abbiano parenti.
È possibile costruire un’opposizione alla guerra senza cadere nell’alternativa NATO – Russia? È possibile mettere in piedi un’iniziativa transnazionale che coinvolga donne, migranti, e lavoratori, che stia al di fuori delle logiche nazionaliste e della prospettiva geopolitica?
Ho discusso con persone di sinistra di altri paesi e sono in qualche modo sorpresa dal timore che sembrano avere di incolpare troppo poco la NATO e da come tentino di mettere in luce, ogni volta che si parla della questione, che “è anche colpa della NATO”. Certo, la NATO è da incolpare fino a un certo punto, ma quando le bombe iniziano a cadere dal cielo, la responsabilità è solo della Russia che ha deciso di bombardare. Da qui, sul campo, la situazione appare diversamente, perché vediamo direttamente come si comporta il governo russo. Non sono disposti a rinunciare ai loro piani. Ci è difficile dire che vogliamo la Russia e la NATO fuori dai nostri territori, perché è stata solo la Russia a invadere l’Ucraina. Non è la NATO a bombardare le città, da qui è palese.
Non si può dire di non prendere le parti di nessuno. Non si può evitare di prendere le parti di qualcuno, soprattutto da qui. Non consiglio alle persone dagli altri paesi dell’Europa orientale e occidentale di affermare che non stiamo con nessuno. Non prendere le parti di nessuno in questo caso significa lavarsene le mani.
Un amico mi ha detto che è anche colpa della NATO e che una volta che tutto questo sarà finito ci troveremo con un paese estremamente nazionalista e xenofobo, oltre ad avere altri problemi. Io gli ho risposto: certo, probabilmente sarà così, ma ci penserò più avanti, quando le città non saranno più sotto i bombardamenti e l’esercito russo se ne sarà andato. Non possiamo risolvere ora questi problemi. Possiamo parlarne, ma non possiamo ignorare l’elefante nella stanza.
Alcune persone di sinistra sostengono che la via di uscita è attraverso i negoziati per un accordo sulla neutralità dell’Ucraina. A me risulta difficile sostenere questa posizione al momento, che mi sembra anche piuttosto coloniale: dopotutto, si negherebbe anche la sovranità del paese. Sta alla popolazione ucraina decidere cosa vuole fare e, affinché questo sia possibile, la guerra deve finire. Come dicevo, questo conflitto ha preso diverse decisioni per molti ucraini. Si dice che c’è sempre una scelta, ma in questo momento la maggior parte della popolazione non la vede.
Non stiamo rinunciando al nostro libero arbitrio, come vorrebbero alcune persone appartenenti alla sinistra occidentale che ci dicono cosa dovremmo fare.
È facile dire che l’Ucraina non dovrebbe prendere le parti di nessuno, non dovrebbe stare in nessun blocco, dovrebbe rimanere neutrale. Ma la storia ci insegna come la neutralità sia riservata a Stati forti, Stati ricchi, Stati che sono in grado di difendersi. L’Ucraina non ha potuto difendersi da questo attacco, ora ci sta provando, ma non so quanto possiamo andare avanti.
Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, parlare di neutralità per quanto riguarda l’Ucraina risulta molto difficile. L’Ucraina ha rinunciato alle armi nucleari e in cambio ha ricevuto la garanzia della sicurezza, che il suo territorio sarebbe rimasto integro, e che non sarebbe stata attaccata da nessuno Stato. Questa garanzia era stata firmata da diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Russia, che l’ha violata nel 2014. Dopo quel fatto, credo che sarebbe difficile per la società ucraina avere fiducia in qualsiasi garanzia sulla carta. Abbiamo visto che, senza alcun tipo di conseguenze legali, non funziona. Può quindi essere violata in qualsiasi momento. Non so quindi come possiamo sfuggire all’alternativa tra la Russia e la NATO in questo momento. Per ora non ho una risposta.
Probabilmente hai visto le dichiarazioni contro la Russia e di sostegno alla popolazione ucraina. C’è stato anche un appello pubblico delle femministe russe a schierarsi contro il regime di Putin e contro la guerra. Le femministe dicono che la guerra è la continuazione della guerra perpetrata quotidianamente sulle donne, le persone LGBTQIA+ e su coloro che non appoggiano o si ribellano contro il regime di Putin. Ci sono state diverse mobilitazioni e manifestazioni, in Europa e fuori dall’Europa, che hanno denunciato le responsabilità di Putin. Cosa pensi di queste iniziative? Cosa può fare, in questo momento, una politica transnazionale di pace?
Deve essere messa molta pressione sulla Russia, non c’è altro modo. Si è spinta troppo in là. Personalmente sono molto grata a tutte le mobilitazioni che si sono date nel mondo. Ho molta speranza perché si è visto come tali manifestazioni abbiano messo pressione sui governi dei Paesi dove si sono tenute. Per esempio, stanno fornendo aiuti umanitari, non solo militari, che sono importantissimi. È difficile mantenere una posizione antimilitarista essendo in una nazione che è invasa da un’altra.
Sono molto grata alle persone che si mobilitano in Russia. Alcune, che vivano in Russia o altrove, stanno ricoprendo un ruolo molto attivo nell’organizzare proteste e nel sostenere chi fugge dall’Ucraina. E negli altri Paesi stanno mobilitando risorse, fornendo informazioni e aiuti materiali.
Oggi in Ucraina ci sono molti discorsi, molte discussioni, e una delle possibili vie d’uscita è una ribellione interna in Russia. Io non credo che questo succederà. Sfortunatamente, la società civile e l’autorganizzazione sono molto deboli in Russia e in molti Stati post-sovietici, così come in Ucraina. Perciò credo che non si possa costruire immediatamente una situazione del genere. Non credo che ci sarà qualcosa o qualcuno nella società russa che fermerà Putin. E, per quanto sia triste ammetterlo, cercherei piuttosto una ribellione all’interno dell’élite russa – questo sì che potrebbe cambiare la situazione in modo sostanziale nel breve termine.
Quali sono le questioni più urgenti che donne, lavoratrici, migranti e l’intera popolazione ucraina devono fronteggiare oggi in Ucraina?
La questione più urgente è l’aiuto umanitario. La pressione politica, anche se non comporta un grosso cambiamento, sicuramente può ancora essere perseguita. Sfortunatamente non in Russia, perché lì vengono sabotati o bloccati tutti i canali d’informazione e le persone non possono vedere il cambiamento. A volte mi sembra che ci sia una specie di muro all’interno dell’Europa stessa.
Vorrei anche sollevare una questione di cui alcune iniziative di sinistra hanno cominciato a parlare. Se guardiamo alla prospettiva futura, una delle questioni più importanti riguarda l’annullamento del debito estero dell’Ucraina. In alcune iniziative di sinistra oggi si discute già della possibilità che il FMI annulli il debito in ogni caso, perché il Paese avrà bisogno di molte risorse per la ricostruzione. Ciò fornirebbe una maggiore possibilità di rendere le politiche socioeconomiche dell’Ucraina più indipendenti. Questa richiesta diventerà sempre più visibile.
Come fuggire dalla visione geopolitica secondo la quale in gioco ci sono solo due Stati con i propri interessi in ballo, mentre la realtà è che ci sono persone che soffrono le conseguenze estreme di queste scelte politiche?
Sono totalmente d’accordo che sarebbe bene evitare questa logica ma non possiamo obbligare i governanti a farlo. Ed è nei governi che le scelte vengono fatte, specialmente se parliamo di stati autoritari. È importante riflettere su come la situazione potrebbe essere affrontata diversamente, senza dimenticare che la logica attualmente imposta è questa. E non si può ignorare questa logica, perché è quella su cui Putin basa le proprie decisioni. Le sue decisioni, e quelle delle persone intorno a lui, sono il fattore più importante.
Una logica simile può essere evitata in Paesi in cui la società civile ha un livello d’organizzazione elevato, per esempio dove ci sono sindacati, ma in società profondamente gerarchizzate dove il potere è costruito verticalmente e le persone non hanno alcuna influenza su quello che sta succedendo e sulle decisioni prese, questo livello di analisi è l’unico che in qualche modo fornisce spiegazioni. Non mi sento a mio agio a parlare in questi termini, ma purtroppo non vedo alternative.
Alcuni stanno provando a evidenziare con ottimismo l’autorganizzazione degli Ucraini e come questi abbiano costruito reti di solidarietà e mutuo aiuto. È davvero importante, ma comprendo anche che queste reti possono essere facilmente distrutte, perché la controparte non è una nazione che si può cercare di persuadere. Alcuni dicono che, a differenza delle egemonie occidentali, la Russia non prova a costruire soft power. Non so se ci abbia mai provato, ma a questo punto sono convinta che non ne abbia mai avuto l’interesse e preferisce affidarsi solamente alla forza bruta, in modo esplicito.
Oltre al ruolo umanitario in diverse modalità concrete, come aiutare i rifugiati o inviare cibo e medicinali, come vedi il ruolo dei movimenti transnazionali per la pace o contro la guerra? Cosa possiamo fare, da una prospettiva femminista, anti-sfruttamento, antirazzista, per far crescere la mobilitazione e rovesciare la situazione?
È un momento molto difficile per questo movimento internazionale dal basso che sta provando a costruire pace, perché improvvisamente – non per tutti, ma per molte persone sì, improvvisamente – è sembrato che il mondo fosse cambiato. Alcuni di noi, di sinistra, erano fin troppo abituati a vivere in un mondo unipolare e oggi non è più così.
Lo scenario migliore è che questo movimento ripenserà la cornice teorica con cui vediamo il mondo, come pensiamo rispetto alle minacce che ci sono là fuori, e pensare che le minacce stesse stanno cambiando, si stanno sviluppando e la configurazione della realtà è già un po’ differente. Senza questo, non si potrà procedere.
Se le lezioni di questo periodo verranno apprese correttamente e se il movimento ascolterà le persone sul campo, ripenserà al mondo e alle minacce alla pace esistenti, perché stanno cambiando anche queste. Se, invece, non si terranno in conto queste lezioni, allora sfortunatamente, la parte di movimento che non lo farà, con la sua retorica, le sue azioni e mobilitazioni, non contribuirà in modo significativo all’obiettivo che si prefigge.
La Transnational Social Strike Platform ha scritto una dichiarazione contro la guerra che è stata firmata da numerose associazioni in Europa. La prospettiva è di formare una voce comune e transnazionale. Pensi che tentativi di questo tipo stiano andando nella giusta direzione?
Questi tentativi sono proprio quel “ripensamento” di cui parlavo. Questo è importante per il movimento stesso e per la prospettiva d’azione nel futuro prossimo. C’è però anche il pericolo di parlare di pace a tutti i costi. Se diciamo che vogliamo ottenere la pace ad ogni costo, cadiamo in una trappola pericolosa: facciamo qualsiasi cosa la Russia voglia per fermare la guerra, così salveremo vite umane. Questa retorica offre una via d’uscita solo nel breve termine, perché se la Russia viene qui, instaurerà un governo simile al suo: conservatore, reazionario, oppressivo, com’è in Russia adesso o forse peggio. E per persone come me e per molte attiviste, femministe, persone di sinistra, sensibili alle questioni LGBT, sindacalisti, giornalisti d’opposizione, significherebbe repressione. E significherebbe anche, per come la vedo, l’inizio di una guerra partigiana. Temo che il Paese potrebbe cadere a pezzi, con troppe morti e sofferenze. Non è che la Russia qui smetterà di fare quello che ha sempre fatto – in Ucraina in tempi recenti e internamente da più tempo. Questa è una trappola molto pericolosa, che alcune persone non capiscono.