di Gioacchino Toni
Il recente volume di Bianca Terracciano e Isabella Pezzini (a cura di), La moda fra senso e cambiamento. Teorie, oggetti, spazi (Meltemi 2020), si occupa dell’analisi semiotica della moda non accontentandosi di passare in rassegna teorie e padri nobili della disciplina ma procedendo lungo una scaletta che dalle teorie relative alla moda passa poi all’analisi di alcuni suoi oggetti e spazi.
Nella prima sezione del volume, dedicata alle teorie, Patrizia Calefato osserva come dalle riflessioni di Walter Benjamin sulla moda nella modernità, alimentate dal confronto con la metropoli ottocentesca e con la scrittura di Charles Baudelaire, derivino premesse utili a comprendere le trasformazioni subite dalla moda nei tempi recenti. Come intuito dall’intellettuale tedesco, il termine moda manifesta una certa ambiguità denotando tanto una valenza negativa, per così dire “istituzionale”, riferita allo spettacolo consumistico, che una “meno convenzionale” che si manifesta attorno ai più recenti concetti di look, stili, e anti-mode. Muovendo dalla lettura politica operata da Hannah Arendt del rapporto tra gusto e senso comune in Kant e passando dal problema del contrasto tra il carattere di élite e quello di massa della moda posto da Jurij Michajlovič Lotman, Calefato ragiona su come la moda possa essere considerata un sistema capace di garantire una mediazione tra gusto, senso comune e comunità.
Tra i primi studiosi ad affrontare la moda attraverso un approccio semiotico, Algirdas Julien Greimas si interessa al vocabolario di questa per la sua peculiarità di prestarsi sia a una funzione tecnica di strumento di comunicazione interno a un gruppo specifico, che di risultare applicabile a tutti quei fenomeni sociali che hanno un carattere di attualità. Il “privilegio del verbale” di Greimas, sostiene Isabella Pezzini, non sembra discostarsi granché dalla convinzione di Lotman che vede nella lingua il “sistema modellizzante primario” di una cultura e che include la moda e l’abbigliamento nel suo progetto di semiotica della cultura.
A proposito dello studio della moda secondo una prospettiva semiologica, Pezzini si sofferma sul passaggio di testimone fra Algirdas Julien Greimas e Roland Barthes preoccupandosi di mettere in luce lo scarto che separa i lavori dei due. Mentre il primo sviluppa la sua analisi come studio storico-sociale del vocabolario francese orientato su uno strutturalismo storicista, il secondo esplora i parallelismi esistenti tra il linguaggio nel suo complesso e l’abbigliamento. La moda è vista dal francese come una lingua su cui mettere alla prova l’ipotesi saussuriana di una teoria generale dei segni contemplante al suo interno la linguistica. Se nello studiare il rapporto tra linguaggio e moda tanto Barthes che Greimas si concentrano soprattutto sul metalinguaggio dispensato dalle riviste, ora, suggerisce Terraciano nell’introduzione al volume, è piuttosto all’ambito dei social network che occorre far riferimento.
Per la formulazione di una teoria semiotica della moda, sostiene Ugo Volli nel suo intervento, è necessario partire da un’analisi della semiotica dell’abbigliamento in generale nella consapevolezza di come già quest’ultimo, oltre a una funzione pratica di protezione del corpo, sia organizzato in vista della produzione di senso. Nel ricavare un elenco di unità morfologiche di base della cultura vestimentaria occidentale moderna è possibile notare come, nonostante alcuni momenti di rottura, in genere il cambiamento proceda lentamente e senza grandi mutazioni. Tratteggiate le differenze principali che caratterizzano l’analisi degli indumenti in un approccio di tipo interpretativo e in uno di tipo generativo, si tratta, secondo Volli, di verificare se la semiotica, formatasi a partire dall’ipotesi sincronica della linguistica, sia applicabile alla moda che è caratterizzata da una natura diacronica.
Nel parlare di moda ci si riferisce a qualcosa di ben più complesso rispetto all’analisi dell’ambito vestimentario e della sua localizzazione; parlare di moda, scrive Giulia Ceriani nel suo contributo, significa confrontarsi con un laboratorio privilegiato dell’anticipazione che introduce nel presente le potenzialità della trasformazione e occorre considerare la sua peculiarità testuale in funzione dell’intenzionalità espressa dal fruitore effettivo che spazia dall’adesione emulativa, all’indifferenza sino al rifiuto di quanto di normativo ancora il sistema contiene. Attraverso l’iconizzazione e la condivisione sul web, la creatività della moda riesce in diversi casi a rappresentare fenomeni di cambiamento configurando identità che non riescono ad esprimersi agevolmente in altro modo
La seconda sezione del volume, dedicata agli oggetti, dopo essersi aperta con il contributo di Paolo Fabbri, che struttura attorno a una dettagliata analisi del cappello un sistema semiotico applicabile a ogni altro oggetto del sistema moda, lascia spazio alla disamina di Jorge Lozano del termine “lusso” a partire dalla pluralità di valorizzazioni che vi si possono attribuire e che, in una girandola di contraddizioni e opposizioni, come per certi versi già aveva compreso Benjamin, contempla tanto un’idea di superfluo che di necessario, di ostentato che di raffinato. Lo studioso, derivata la definizione di lusso dalla congiunzione su un quadrato semiotico della categoria semantica di /esclusivo/ con quella del suo opposto /eccezionale/, dopo aver passato in rassegna le modalità con cui si è storicamente guardato al lusso, giunge a individuarne il suo particolare carattere contemporaneo a partire dal legame che manifesta con la pratica dei selfie e la personificazione degli oggetti.
Ora, in piena simulazione generalizzata, sotto il dominio dei big data, in cui il futuro non tramonta e regna il presentismo, l’autentico emerge come tendenza, che, sebbene non possa sostituire l’unico, l’unicità, la caratteristica fondamentale dell’esclusivo, funge da consolazione. Da parte sua, l’eccezionale dell’originale e genuino, di ciò che ha l’aura e appartiene alla patria del lusso, attualmente adotta altre manifestazioni pregne di soggettività, espresse nel cyberspazio, configurate con nuovi materiali. Questa nuova eccezionalità può coesistere perfettamente con il non esclusivo, promuovendo quello che considero il nuovo lusso. (p. 137)
Riprendendo le riflessioni di Barthes, Floch e Greimas a proposito di passioni e prossemica, Gianfranco Marrone, propone un’interessante analisi semiotica degli occhiali a partire da come l’esigenza sociale estetica abbia per certi versi finito per scalzare tanto la funzione dei modelli da vista, con il suo presupporre un movimento del soggetto verso il mondo, quanto quella dei modelli da sole, che presuppone il movimento inverso del mondo verso il soggetto. «Il corpo-meccanismo e il corpo-rifugio cedono il passo al corpo desiderato e desiderante, soggetto di seduzione e oggetto di piacere» (p. 140). Ad esemplificare la trasformazione avvenuta si pensi a come dai modelli di occhiali con lenti da vista capaci al tempo stesso di riparare dalla luce solare si sia passati al caso, per certi versi opposto, dei modelli con lenti trasparenti non correttive: un ribaltamento epocale che ha trasformato gli occhiali da strumento per vedere in oggetto per essere visti.
Maria Pia Pozzato, prendendo in esame la tematica della modest fashion riguardante l’abbigliamento rapportato ai codici della religione islamica, ricostruisce come dal punto di vista semantico, in tale contesto, si sia data negli ultimi tempi una riformulazione del concetto di /modestia/, non più riconducibile alla rinuncia alla seduttività, all’anonimato, alla povertà di ornamento, all’astoricità: la modestia della modest fashion, sostiene Pozzato, sembra mantenere soltanto un sema di /pudicizia/ implicante la non visibilità di alcune zone del corpo lasciate invece maggiormente scoperte dalla moda occidentale. Il risultato che ne deriva si indirizza verso una moda “a doppia versione”, anziché di contrapposizione.
Paolo Sorrentino, chiudendo la sezione del volume dedicata agli oggetti, ricorrendo a una prospettiva lotmaniana, analizza la risemantizzazione operata dalla moda contemporanea di un capospalla appartenente alla tradizione sarda rapportandolo al sistema vestimentario dell’isola che lo ha via via escluso dalle pratiche quotidiane marginalizzandolo all’ambito dei rituali carnevaleschi.
Nella terza e ultima sezione di La moda fra senso e cambiamento, dedicata agli spazi, avvalendosi del lavoro che Denis Bertrand dedica all’importanza della raffigurazione spaziale nel discorso del romanzo, Isabella Pezzini approfondisce la nascita e l’attestarsi del grande magazzino francese nella seconda metà dell’Ottocento così come traspare dal romanzo Au bonheur des dames (1883) di Émile Zola. Venendo invece a spazi commerciali più recenti, Bianca Terraciano si concentra sulle modalità con cui alcuni negozi di moda, nell’era dell’e-commerce e dei social network, vadano alla ricerca di elementi distintivi che ne giustifichino la presenza e da questo punto di vista risulta di un certo interesse il rapporto che si viene a creare tra città, heritage culturale e consumi. Sempre restando a tendenze contemporanee, Claudia Torrini e Tiziana Barone indagano la propensione della moda contemporanea a ricorrere sempre più frequentemente all’arte come medium e su come l’intrecciarsi dei due ambiti comporti la condivisione di un linguaggio che permette al brand di proporre il suo sistema valoriale in quanto marca e al tempo stesso curatore di un’eredità territoriale da preservare e condividere con la collettività.
Al rapporto tra moda e costruzione identitaria sono invece dedicati gli ultimi interventi del volume. Nella semiotica Ana Claudia Mei Alves de Oliveira ricerca gli strumenti utili allo studio delle diverse maniere in cui la moda propone di vestire il corpo influendo sul soggetto e sulla costituzione della sua identità sociale. Preso atto di come, almeno a partire da metà Ottocento, all’interesse per le caratteristiche fisiche della produzione vestimentaria si sia sostituita una lettura del capo di abbigliamento come artefatto culturale sempre più complesso, Luca Marchetti passa in rassegna alcune opere che riguardano appunto la costruzione identitaria.