«In lontananza, ad oriente, le colonne d’Ercole – che un tempo erano il limite del mondo conosciuto – guardavano stupite una montagna che arriva da Occidente».
All’alba del 12 giugno la Montaña, l’imbarcazione sulla quale viaggia lo Squadrone 421 zapatista, è giunta in vista delle coste dell’isola di Faial nell’arcipelago e regione autonoma delle Azzorre, attraccando poi nel porto di Horta. L’avanguardia zapatista è arrivata ufficialmente alle porte dell’Europa sebbene manchino ancora molti chilometri per raggiungerne le sponde continentali.
Può dirsi concluso così il capitolo della traversata atlantica, il primo di questa avventura ancora densa di incognite e aspettative dal punto di vista dei suoi sviluppi. Il viaggio dunque in un certo senso è appena cominciato ma ci è già possibile rilevare la grandezza di questa impresa.
Il suo significato va ben al di là del valore simbolico, rappresenta l’estremo sviluppo del cammino zapatista, iniziato nella Selva Lacandona nel 1983. Quel cammino che muovendo dal riconoscimento di una memoria di resistenza condivisa, ha favorito lo sviluppo di una coscienza politica unendo differenti comunità indigene nella lotta al sistema capitalista ed oggi realizza un obiettivo che sino a poco tempo fa si sarebbe definito utopico.
È divenuto oggi realtà il sogno di ribaltare la prospettiva coloniale, di viaggiare a ritroso su quelle rotte che dal XVI secolo hanno portato morte e disperazione sui popoli originari di Abya Yala, dimostrando che un sogno collettivo è potente quanto la realtà, e può modificarla, se si ha il coraggio di sognare. Oggi sono gli zapatisti a “invaderci”, ma non per privarci delle nostre ricchezze, delle nostre risorse, dei nostri territori e delle nostre vite, bensì per conoscere e intrecciare la lotta anticapitalista con la “Slumil K’ajxemk’ Op”, che significa “Terra Ribelle”, come è stata ribattezzata l’Europa dagli stessi zapatisti.
Inizia il capitolo dell’“invasione consensuale”, pianificata da mesi, il viaggio per entrare in contatto e conoscere le resistenze che si sviluppano nei territori e nelle comunità del vecchio continente. Questo approccio ha già sollecitato i movimenti europei a misurarsi con la sfida della dimensione continentale della resistenza al sistema capitalista neoliberale e con la necessità di una coscienza storica condivisa delle sue radici.
Ora però, portando a compimento la traversata atlantica, lo Squadrone 421 concretizza gli sforzi collettivi di centinaia di comunità indigene che negli ultimi ventisette anni hanno scelto il cammino dell’autonomia zapatista. Un’autonomia ed una resistenza declinate sin dall’inizio all’interno di un piano nazionale ed internazionale, con la consapevolezza che le lotte e le rivendicazioni territoriali siano accomunate in tutto il mondo globalizzato dallo stesso nemico e che per questa ragione sia necessario per coloro che vi resistono conoscersi, confrontarsi e sostenersi.
Così l’autonomia zapatista comincia un nuovo capitolo della sua storia dimostrando che per costruire un “mundo donde quepan muchos mundos” sia anche necessario sognare ed immaginare obbiettivi nei termini di lunga durata storica. Uno stimolo a costruire il sogno collettivo di quell’Europa che resiste e si ribella alle logiche imperialiste ed estrattiviste dei propri governi, al modello di Europa da essi costruito e alle sue politiche economiche, sociali, migratorie. Un sogno che orienti gli obbiettivi e le strategie di lotta condivise e fornisca la barra per orientarsi nelle contraddizioni della contemporaneità e declinare la propria resistenza locale nel contesto globale.
Un’idea di Europa rebelde costruita dal basso, radicata sull’esperienza di decenni di autorganizzazione delle comunità in lotta nei propri territori contro le politiche estrattiviste, razziste, sessiste che caratterizzano il modello capitalista e che stanno avendo una recrudescenza in tutto il continente.
Riportare al centro della riflessione collettiva la necessità di costruire un sogno condiviso dal basso costituisce in questo senso un primo passo anche nella diffusione della consapevolezza che un altro modello sia possibile immaginarlo e costruirlo. Che sia possibile costruirlo solo attraverso l’intersezionalità della lotta all’idra capitalista, come l’hanno definita le compagne ed i compagni zapatisti.
L’esempio zapatista, attraverso la sistematicità dei successi che coronano la proverbiale lentezza del suo camminare, rappresenta un importante strumento per dimostrare la necessità di concepire la propria resistenza in prospettiva storica. La Gira in Europa, a ventisette anni dal levantamiento, non solo ci dà la possibilità di conoscere gli sviluppi dell’esperienza zapatista e del suo percorso di resistenza, ma rappresenta anche una grande opportunità per sollevare questo tema e porlo al centro dell’attenzione, anche al di fuori dei circuiti degli addetti ai lavori di lunga data.
Un volano per riaffermare la centralità dell’autonomia anche nel nostro contesto geopolitico e riappropriarsi di tale categoria valorizzando i risultati ottenuti nella sua articolazione concreta attraverso pratiche comunitarie e popolari in tutti i campi della quotidianità come l’educazione, la salute, lo sport, l’arte, le scienze.
L’Europa dal basso che accoglie lo Squadrone 421 e che attende il resto della delegazione ha quindi la responsabilità di valorizzare in questo senso l’arrivo delle compagne e compagni dal Chiapas e di trasformarlo in un’occasione per superare l’immobilismo interpretativo che ha caratterizzato il pensiero socialista occidentale, prigioniero dell’ortodossia e dei suoi modelli stato-centrici, facendo delle resistenze europee degli ultimi trent’anni la base per una nuova elaborazione di pensiero e prassi.