Le stesse forze che guidano l’estinzione, la perdita di habitat e il cambiamento climatico porteranno anche a future pandemie, afferma un gruppo internazionale di scienziati.
ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO su National Geographic il 29 ottobre 2020
Un gruppo internazionale di scienziati ha lanciato l’allarme: in assenza di importanti cambiamenti politici e miliardi di dollari investiti nella protezione della terra e della fauna selvatica, il mondo potrebbe assistere a un’altra grande pandemia come quella da COVID-19.
Secondo il loro nuovo rapporto, che esamina le ultime ricerche su come il declino dell’habitat e della fauna selvatica esponga gli esseri umani a nuove malattie emergenti, la conservazione della biodiversità può preservare le vite umane.
“La scienza non ha dubbi a riguardo. La deforestazione è una delle cause principali delle pandemie”, afferma Lee Hannah, scienziata del clima del Conservation International, specializzata nello studio degli impatti della perdita di foreste. Hannah è una delle scienziate che hanno revisionato il report , redatto in un seminario virtuale alla fine di luglio dalla piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e servizi ecosistemici (IPBES).
“Senza strategie preventive”, afferma il rapporto, “le pandemie emergeranno più spesso, si diffonderanno più rapidamente, uccideranno più persone e influenzeranno l’economia globale con un impatto più devastante che mai”.
Distruzione degli habitat e malattia : qual è il collegamento?
Le raccomandazioni del report prendono quello che viene descritto come un approccio preventivo per arginare la diffusione di malattie che comunemente emergono dagli animali.
Le cosiddette malattie zoonotiche, che includono COVID-19, HIV, influenza e virus Ebola, Zika e Nipah, emergono da microbi che vivono nella fauna selvatica che possono infettare gli esseri umani. Pipistrelli, uccelli, primati e roditori sono fonti di trasmissione comuni.
Il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è stato rintracciato in un mercato umido a Wuhan, in Cina, che potrebbe essere stata la fonte dell’epidemia originale di COVID-19 negli esseri umani.
Gli scienziati stimano che ci siano 1,7 milioni di virus non scoperti in agguato nei mammiferi e negli uccelli, metà dei quali potrebbe avere la capacità di infettare le persone. Non è una coincidenza, affermano gli autori del rapporto, che le pandemie stiano crescendo di numero poiché le attività umane mettono più stress sull’ambiente e portano le persone a un contatto sempre più stretto con la fauna selvatica.
Non più tardi di novembre 2019, gli scienziati lanciavano l’allarme che l’aumento della deforestazione stava creando condizioni più favorevoli per i focolai di malattie. Sebbene la perdita di habitat rappresenti una minaccia, Hannah richiama un’attenzione specifica sulle foreste, che hanno un’alta densità di biodiversità e quindi presentano maggiori opportunità per i portatori di malattie. Ne è un esempio il caso della deforestazione nell’Amazzonia brasiliana, dove le foreste vengono spesso tagliate per lasciare spazio al pascolo del bestiame: ibovini possono fungere da intermediari tra la fauna selvatica infetta e le persone che lavorano a stretto contatto con il bestiame.
La distruzione dell’habitat della fauna selvatica determina anche lo spostamento degli animali in nuovi territori, afferma il rapporto, costringendoli, a trovare riparo in ambienti urbani, inclusi pipistrelli e uccelli,
Un costo elevato a cui trovare soluzione
“Penso che la cosa veramente importante sia capire la scala alla quale dobbiamo operare”, dice Hannah. “Non si tratta di guardare le cose da un livello superiore; si tratta di affrontarle ad un livello dal quale non sono mai stati valurate prima. ”
Il rapporto propone di lanciare un consiglio internazionale per sovrintendere alla prevenzione delle pandemie, incentivare finanziariamente la conservazione della biodiversità e investire nella ricerca e nell’istruzione. Questi cambiamenti istituzionali si spera possano ridurre la portata di industrie come quelle che producono di olio di palma, il disboscamento e l’allevamento.
Aiuterebbero anche a identificare gli hotspot emergenti e fornirebbero un’assistenza sanitaria più solida alle persone a maggior rischio di esposizione.
Secondo le stime degli autori dello studio, implementare completamente una strategia che riduca il nostro rischio di future pandemie costerebbe tra i 40 ei 58 miliardi di dollari all’anno. Ma, aggiungono, compenserebbe le perdite economiche dovute a pandemie che ammontano a trilioni. Uno studio pubblicato all’inizio di questo mese ha affermato che COVID-19 è costato solo agli Stati Uniti $ 16 trilioni finora.
Il prossimo maggio, i paesi si incontreranno per la Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica, dove avranno l’opportunità di sviluppare strategie per contribuire a questo obiettivo di conservazione globale.
“Abbiamo bisogno che tutti i paesi siano d’accordo”, afferma Enric Sala, Explorer-in-Residence del National Geographic, “sul supporto di ambiziosi obiettivi di conservazione. Soprattutto quelli che ospitano le più grandi aree selvagge rimaste sulla terra, che non sono solo i più grandi serbatoi di biodiversità, ma anche le più grandi soluzioni per aiutare a mitigare il cambiamento climatico”.
O’Donnell è preoccupato per il ritardo causato dal COVID-19 nel portare avanti questi piani, sostenendo che anche un solo anno di ritardo rappresenta un rischio.
“Dobbiamo ancora vedere nuovi importanti impegni finanziari tangibili per la conservazione della natura, anche se i governi stanno spendendo ingenti somme per gli stimoli”
Oltre a COVID-19, O’Donnell afferma che i blocchi possibili di questo percorso includono la mancanza di finanziamenti e supporto da paesi in cui si sta verificando una forte deforestazione, come ad esempoio il Brasile.
Dice che spera che la pandemia globale sarà un “grande campanello d’allarme”.
“Alcuni stanno sentendo l’allarme” ma, aggiunge, “Troppi sono sonnambuli”.