E’ dovuto fuggire dalla Guinea cinque anni fa, Dian Diallo. Le forze dell’ordine del suo Paese gli davano la caccia accusandolo di essere uno dei fondatori di una associazione popolare che si era dato il nome “movimento anti repressione” e che si proponeva di chiedere a polizia ed esercito di non sparare alla gente tutte le volte che organizzavano una manifestazione. “Solo nella mia regione, nel ultimi 12 anni, la polizia ha ucciso più di 200 giovani colpevoli solo di aver manifestato in strada. Per non parlare di quelli incarcerati e torturati o che sono stai portato via e mai più ritrovati. – spiega – Mi sembrava che fosse giunto il momento di dire basta”.
Dian adesso si trova a a Ferrara e sta seguendo le pratiche per l’ottenimento dello status di rifugiato politico. Ha accolto con un misto di gioia e di preoccupazione la recente notizia del colpo di Stato militare che ha destituito il presidentissimo Alpha Condé, reo di aver modificato la Costituzione per assicurarsi la possibilità di un terzo mandato istituzionale. “Ho visto le immagini della mia gente che scendeva in piazza a festeggiare. Non solo i peul, come me, che sono stati i più perseguitati dal regime, ma anche i malinké che all’inizio sostenevano Condé, i sousso e tutti gli altri. Tutti, in Guinea, sono contenti che sia terminata l’era di Alpha Condé. Adesso però bisogna vedere cosa succederà. Il militare golpista Mamady Doumbouya è un personaggio assolutamente sconosciuto nel mio Paese”.
Di Doumbouya sappiamo solo che è stato formato militarmente in Francia nella Legione Straniera, che ha sposato una donna francese e che ha operato in Mali e in altri Paesi dell’Africa sud sahariana, sino quando è stato richiamato in Guinea da Alpha Condé che lo ha nominato colonnello e gli ha assegnato l’incarico di organizzare e comandare la sua guardia privata. In altre parole, siamo di fronte all’ennesimo colpo di Stato del pretoriano di turno. Nell’immancabile discorso alla nazione, dopo il golpe, Mamady Doumbouya ha ribadito l’esigenza di destituire con la forza un “Governo corrotto ed incapace di rispondere ai bisogni del popolo” promettendo “una rapida transizione verso una reale democrazia”.
“Qualche dubbio è lecito nutrirlo, no? – confessa Diamant – In Guinea abbiamo avuto altri due colpi di Stato militari. Tutti contro la corruzione e tutti che promettevano la democrazia. Nel primo caso, la transizione è durata 26 anni. Nel secondo han dovuto sparare al generale, se no era ancora là a guidare la… transizione”. La prima elezione di Alpha Condé, avvenuta nel 2010, dopo il massacro del 28 settembre 2009 che ha lasciato sulle strade della capitale Conakry i corpi di più di 150 manifestanti uccisi, era stata letta da alcuni analisti un po’ troppo ottimisti come l’apertura del paese ad una vera democrazia. Lo stesso Condé amava paragonare se stesso a Nelson Mandela: nei suoi discorsi non risparmiava i riferimenti al rispetto dei diritti umani e si era adoperato perché nella nuova Costituzione venissero inseriti articoli che sancivano la parità di diritti delle donne. Articoli che, come spesso avviene per le Costituzioni di tutto il mondo, sono rimasti assolutamente dimenticati.
“La cosa peggiore che ha fatto il presidente Condé – spiega Diamant -, è stata quella di alzare muri tra le varie culture presenti nel Paese, approfittando di queste divisioni per governare indisturbato e reprimere le opposizioni. Alpha Condé si è appoggiato all’esercito, formato quasi esclusivamente da malinké, ed a farne le spese sono stati soprattutto i peul che hanno pagato le proteste con uccisioni, stupri, rapimenti e incarcerazioni arbitrarie”.
Le principali culture presenti in Guinea – evitiamo volutamente di scrivere “etnie” perché è un equivalente di “razze” e le razze, ce lo spiega la tassonomia, non esistono all’interno della specie Homo sapiens – sono sostanzialmente tre: i peul o fula, i malinké e i soussou. I primi sono i più numerosi (34%) e sono per lo più commercianti o agricoltori, i secondi, i malinké, (31%) costituiscono l’ossatura dell’esercito, della polizia, della burocrazia e del Governo. Val solo la pena di ricordare ancora una volta che tutte queste divisioni i cui tragici risultati constatiamo ogni giorno, sono una mera conseguenza delle politiche coloniali e dei confini tra gli Stati africani che gli europei hanno tracciato con la riga, senza badare a geografie e lingue.
Un colonialismo che continua anche a nostri giorni, considerando gli enormi interessi che l’Europa e Paesi come la Cina o gli Stati Uniti nutrono in una terra ricca di minerali. Solo considerando la bauxite, la Gunea ne possiede più di 40 miliardi di tonnellate che costituiscono un terzo delle delle riserve
mondiali. Ricchezze che regalano solo miseria e violazione dei diritti nel Paese. L’ultimo rapporto di Human Rights Watch riporta come “le compagnie minerarie, approfittando delle ambiguità dell’ordinamento giuridico guineano in relazione alla tutela dei diritti relativi ai terreni rurali, espropriano terreni agricoli ancestrali senza offrire un adeguato risarcimento”. Migliaia di agricoltori guineani hanno perso la loro terra e si sono avviati ad una vita di stenti negli slum delle grandi città o alle migrazioni, a causa dell’estrazione di questo minerale. Senza contare i danni all’ambiente, alla salute ed il depauperamento, con relativo inquinamento, delle risorse idriche che ha trasformato la Guinea in un Paese privo di acqua potabile.
Non è un mistero per nessuno che dietro l’ultimo colpo di Stato, altro non si celi che la consueta lotta tra le multinazionali per controllare lo sfruttamento minerario del Paese. Durante il suo ultimo mandato, Alpha Condé, inizialmente spalleggiato dall’Europa, si era lasciato attrarre dai capitali cinesi e turchi. Non è un caso che, poco prima di essere destituito, l’oramai ex presidente e i principali membri del suo Governo abbiano effettuato viaggi diplomatici a Pechino ed a Istanbul assicurando la loro disponibilità a cambiare le carte in gioco. Il colonnello golpista Mamady Doumbouya, ha semplicemente riportato lo sfruttamento della bauxite nelle mani delle aziende europee. Col termine “transizione democratica” la marionetta francese si è solo sporcata le labbra.