Il 1974, nell’ambito del lungo ‘68 italiano, è stato probabilmente un anno spartiacque. Un anno che ha sintetizzato il meglio e il peggio del decennio. Un anno in cui la spinta propulsiva degli anni Sessanta si faceva, almeno in parte, ancora sentire, ma nello stesso tempo si manifestavano tutti i sintomi della sconfitta. Le mobilitazioni operaie, le lotte per la casa, la vittoria al referendum sul divorzio (primo momento in cui la forza che si era sprigionata nella società si faceva sentire sul piano elettorale), ma dall’altro lo stragismo fascista e di Stato, i segnali di come sempre più fosse il fucile a comandare sulla politica, per citare il Grande Timoniere, e non viceversa, la crisi della militanza perché il “personale”, accantonato in nome della fretta di fare la rivoluzione, sgomitava e giustamente rivendicava il suo posto, soprattutto mettendo in discussione comportamenti per cui si era “compagni in piazza e fascisti a letto”. E al 1974 è dedicato il nuovo romanzo di Pierluigi Sullo, seconda parte di una trilogia iniziata due anni fa con “La rivoluzione dei piccoli pianeti” e si concluderà con un terzo volume ambientato nel 2001, l’anno delle giornate genovesi. “Gli uccelli della tempesta. Un romanzo nel ’74 ( 245 pagine, 15 euro edito da “Lastaria) , ” vede parte del gruppo di liceali che erano stati protagonisti nella prima narrazione, ormai giovani adulti alle prese con l’università. Il nucleo si è assottigliato. Franco si è suicidato, Alfredo che con Enrico, aveva affrontato dopo l’esame di maturità un viaggio “iniziatico” per l’Europa scossa dalla contestazione del maggio, ha fatto una scelta diversa, ha forse intuito, come accadde allora a non pochi, che il 1968 e poi l”’Autunno caldo”, sono stati l’apice di un movimento spontaneo e che ciò che verrà non potrà mai essere meglio di ciò che è stato. Una scelta che nasconde una inquietudine esistenziale che si concluderà drammaticamente in un fatale incidente automobilistico. Claudia ha scelto di tornare negli Usa. Enrico, anche qui il protagonista principale, insieme ad Alberto, Gigi e Rita, ha invece optato per la militanza in una organizzazione della sinistra extraparlamentare dopo che ha lasciato Milano a causa della separazione con Annamaria, il suo grande amore, ed è tornato a Roma. È ai primi passi come storico nella ricerca universitaria, l’impegno politico si svolge tra l’ambito accademico, e quello sociale, come si diceva allora è “un militante a tempo pieno”. E gli altri lo seguono. Rispetto alla “Rivoluzione dei piccoli pianeti” inevitabilmente la vicenda è segnata dal contesto. Nel primo romanzo le vicende esistenziali, famigliari, si intrecciavano felicemente e con “freschezza”, con i primi passi nel mondo della politica attiva, i giovanissimi annusavano i primi piatti del pranzo di gala della ipotetica rivoluzione. Ma appunto, per citare sempre Mao, la rivoluzione non è un pranzo di gala e il potere non può tollerare il “vogliamo tutto” gridato nelle piazze. E così Enrico e i suoi compagni devono fare i conti, dopo il terribile “battesimo” di Piazza Fontana, con la strage di Brescia, l’Italicus e le scorribande criminali dei fascisti. Hanno di fronte il dilemma di come reagire. Un amico omosessuale viene pestato da un gruppo di squadristi. Che fare? Che risposta dare? L’episodio ci propone un confronto all’interno del gruppo emblematico ed esplicita quel vortice in cui la militarizzazione del conflitto farà precipitare tutto e tutti. Il lato oscuro dell’antifascismo militante ci viene proposto con estrema efficacia. La vicenda di Ramelli nel libro viene anticipata al 1974 e fa interrogare Enrico e gli altri sull’uso della violenza: come distinguersi da coloro contro cui si lotta ? A fronte della straordinaria moltitudine che occupa Brescia dopo la strage del 28 maggio, si staglia davanti la “violenza d’avanguardia”. Lo zio Gino la sua compagna Dolores, ex combattente durante la guerra civile spagnola, che accolgono il gruppo durante l’improvvisa e breve latitanza per il paventato colpo di Stato che non ci sarà, anche in questa fase, come nel testo precedente, svolgono il ruolo di padre e madre di Enrico, genitori che, per motivi diversi, in realtà non ci sono mai stati, non hanno mai svolto la loro funzione. Ed Enrico, ancora una volta, vede in loro un punto di riferimento fondamentale per dipanare la matassa esistenziale, tra il passato sentimentale rappresentato da Annamaria e il presente dato dall’incontro con Silvia, mentre nel contesto militante il movimento femminista inizia a prendersi prepotentemente la scena, puntando il dito contro una politica dove sono i maschi a farla da padrone, specchio di una società maschilista fino al midollo. Un terremoto che scuoterà le fondamenta di tutta la società. Una rivoluzione che costringerà tutti a interrogarsi sul senso del proprio agire, di cosa significa cambiare le cose. I dubbi sull’intero armamentario ideologico che ha fatto da architrave al movimento iniziano a insinuarsi in Enrico. Forse sarebbe meglio andare su un pianeta, dove far sventolare la bandiera dell’anarchia, rifugio sicuro e alternativa da una rivoluzione che inizia a fare acqua. E poi bisogna fare la rivoluzione o “essere la rivoluzione”? si domanda parlando con Gino, affranto dalla scomparsa della compagna della sua vita, citando una frase della ritrovata Claudia, ritornata per un breve periodo, con alle spalle la contestazione negli Usa. I lineamenti della sconfitta di una intera generazione iniziano a delinearsi. E allora Enrico chiede a chi ha già vissuto una sconfitta drammatica come si possibile resister. Gino glielo spiega:: “Sai cosa sono gli uccelli della tempesta? Passano tutta la vita sul mare, salvo quando depongono le uova sulle scogliere. Resistono alla bufera e riescono a volare tanto a lungo perché si sostengono sulla spinta di aria che un’onda crea nel cavo mentre arriva l’altra onda. La sconfitta non esiste”.
“Cosa vuoi dire ?” chiede Enrico.
“Voglio dire che la resistenza è vivere”.