La televisione, mezzo perfetto di vendita e di propaganda, ha assolto anche il compito di denigrare la cultura popolare per uniformarla con quella del consumo, dove non c’è più nessuna cultura se non quella dell’acquisto. Pasolini già cinquanta anni fa lo aveva identificato e spiegato lucidamente. Nei primi sketch televisivi o film, il contadino, il campagnolo veniva spesso raffigurato come un cafone, uno stupido, arretrato, che non capiva le meraviglie del progresso e della modernità. E la televisione non poteva fare altro, visto che era il pifferaio magico che richiamava i contadini dalle campagne alle città dove li attendeva il fantastico e scintillante mondo del carosello consumista.
Così il contadino, che essendo esperto di manualità e a contatto con la natura, aveva le vere conoscenze, si ritrovava preso in giro e il suo mondo ridicolizzato, come il suo dialetto e le sue usanze. Ancora oggi c’è chi storce il naso per le inflessioni dialettali provando una specie di fastidio, figuriamoci quanto può aver influito il lavaggio del cervello televisivo.
Però ultimamente si assiste a uno strano ribaltamento della situazione: cittadini che dopo aver vissuto anni e anni nella città, alla fine l’hanno trovata insopportabile e sono andati a vivere nelle campagne. C’è chi fa solo il pendolare fra campagna e città ma anche chi in campagna ci vive. E nel ritorno alle campagne hanno iniziato a fare quello che fa da sempre chi abita da quelle parti cioè lavorare con le mani e a stretto contatto con la natura.
Così si vedono persone che per loro retaggio, formazione e cultura, erano lontane anni luce dalla vita di campagna, cimentarsi in attività varie prima di allora sconosciute. La cosa strana che spesso avviene è che il cittadino, o ex cittadino, magnifica e glorifica tutti quegli aspetti che prima vedeva come roba da bifolchi e stupidi che si ammazzavano di lavoro per avere quello che era semplicemente disponibile nei negozi, bastava pagarlo. Quindi il contadino, il campagnolo, l’artigiano di paese, da poveri sprovveduti, poco istruiti e vilipesi che non capivano nulla, diventano improvvisamente degli eroi agli occhi del cittadino rinsavito.
Degli eroi che il cittadino vorrebbe imitare e, visto che viene dalla cultura dei social e dell’ostentazione sempre e comunque, non appena fa una qualsiasi attività manuale, immediatamente la amplifica ovunque per dimostrare la sua nuova natura. Il che farebbe anche ridere visto che magari era lo stesso cittadino che qualche anno prima avrebbe deriso e trattato il villico come un idiota.
Ogni attività, vera che sia o millantata, ingigantita, abbellita, viene immediatamente postata, descritta, decantata per impressionare gli altri (la quasi totalità cittadini), che spesso vengono anche trattati come scemi, loro che se ne stanno a suonare il clacson nelle città e invece il nostro eroe ha capito tutto e ora li guarda dall’alto della sua nuova vita, senza però ricordare che qualche tempo prima era nella loro stessa posizione e già solo questo lo dovrebbe votare all’umiltà.
E spesso chi ostenta queste performance è di sesso maschile e magari, perché disabituato a fare lavori manuali o fare fatica, appena scopre entrambe le cose, gli sembra la scoperta più importante della terra che deve assolutamente annunciare al mondo. Oppure ostenta perché chissà, magari pensa che l’homo faber o “contadinus” colpisca più l’immaginario femminile che non l’ormai grigio, scontato, banale e noioso manager.
Quali che siano le ragioni, è una bella rivincita culturale e morale per coloro che sono stati sempre trattati come stupidi. Ma il contadino, l’artigiano, non esibivano nulla, anzi quasi si vergognavano perché li facevano sentire inferiori, nonostante la vera conoscenza e la vera saggezza fossero un prezioso patrimonio acquisito con generazioni di esperienza. Cosa che il cittadino non potrà mai avere, perché completamente dipendente da altri e altro, quindi al massimo può tramandare la sua dipendenza. Infatti era proprio questo che degli “arretrati” faceva paura: la loro autonomia e la loro relazione con la natura, che in una società dove tu devi essere dipendente da tutto e comprarti l’impossibile, dove la guerra alla natura è la legge, non potevano certo essere tollerate delle persone a contatto con la natura, indipendenti, che si autoproducevano e sapevano fare quasi tutto. Forse il cittadino che vuole veramente ritrovare i valori della natura e della manualità dovrebbe imparare la prima regola che albergava nelle persone che per davvero avevano queste capacità: l’umiltà. Ma l’umiltà non vende e dato che il cittadino ha nel suo dna la vendita e l’acquisto, difficilmente riesce a non vendere qualcosa, se non fosse altro che la falsa immagine di se stesso per impressionare persone che poi alla fine nemmeno lo ameranno veramente ma ameranno solo la sua immagine. Esattamente come avveniva in città.