Era molto intelligente e assennato farlo prima, ora diventa indispensabile: ossia, rendere il proprio Comune il più resiliente possibile, cioè in grado di dare risposte adeguate a cambiamenti o crisi improvvise. Ogni Comune, circoscrizione, paese, dovrebbe iniziare da subito uno studio per capire quale capacità di autonomia ha nei due campi fondamentali per la sopravvivenza dei propri cittadini e cioè quello alimentare e quello energetico.
Ormai non siamo più nel periodo in cui ci si poteva permettere l’ordinaria amministrazione perché ordinaria è l’emergenza, determinata da un attacco sistematico alle fonti della vita.
Con le emergenze climatica e ambientale che si aggravano non è più possibile aspettare o tergiversare, bisogna agire immediatamente. La domanda di partenza di ogni cittadino e amministrazione comunale dovrebbe essere quindi quanto il Comune stesso è in grado di autosostenersi nei settori fondamentali, energetico e alimentare, e quanto è dipendente dall’esterno.
Per rispondere a queste fondamentali domande è necessario dotarsi di una conoscenza e di una capacità precise che non possono essere improvvisate. Bisogna avere una visione globale delle problematiche quindi non settoriale, ed avere prospettiva e capacità di agire concretamente unendo soggetti diversi come possono essere l’amministrazione comunale, le imprese, le associazione di categoria, i professionisti, i tecnici, gli artigiani, gli agricoltori, gli insegnanti, gli studenti, le famiglie, le associazioni e i gruppi locali di salvaguardia ambientale e quindi i cittadini nella loro totalità.
Per fornire soluzioni efficaci occorre valutare le potenzialità del territorio e per quanto tempo è in grado di sostenere la popolazione del Comune in caso di crisi. Il primo passo è studiare i flussi energetici e alimentari che arrivano al Comune di riferimento; e, una volta ottenuti questi dati, andare a incidere direttamente sugli sprechi e inefficienze in ogni settore.
Poi si passa a valutare tutte le possibilità che ci sono sul territorio di produrre direttamente cibo ed energia valutando ogni risorsa e ogni settore e mobilitando tutti, ognuno per la sua competenza, per il raggiungimento dell’obiettivo.
I risultati che si otterrebbero con questo modalità di azione sarebbero solo positivi e consisterebbero in una maggiore capacità di rispondere a crisi o emergenze di qualsiasi tipo. Inoltre si avrebbe una riduzione dei costi per il comune e la collettività, riduzione degli sprechi, dei rifiuti e dell’inquinamento con conseguente miglioramento della salute di tutti, riduzione della dipendenza dall’esterno, aumento dell’occupazione e della qualità della vita e valorizzazione delle risorse locali.
Tra i tanti vantaggi che si avrebbero ad agire in questo modo ci sarebbe anche una più stretta relazione fra città e campagna con un rinnovato e salvifico interesse per la natura, i suoi cicli e insegnamenti. Investire in questa direzione e realizzare una “task force” che pianifica e fa aumentare la vera autonomia e resilienza dei Comuni, farebbe rivelare le grandi potenzialità che hanno le persone quando lavorano per un obiettivo comune come quello del miglioramento delle proprie condizione di vita e di benessere, in un quadro di tutela ambientale.
La cosiddetta emergenza coronavirus ha dimostrato la totale fragilità di un sistema che collassa al primo stormir di foglie, dipendente come è da fattori esterni che possono condizionarne l’esistenza in tutti i sensi. Bisogna quindi ritrovare l’autonomia, la vera ricchezza, la competenza e la capacità che non sono certo quelle di fare soldi magari vendendo prodotti nocivi per noi e per l’ambiente ma quelle di saper valorizzare le eccezionali risorse e competenze che abbiamo in ogni paese italiano, grande o piccolo che sia.
Se i Comuni vogliono guardare in prospettiva e dare un vero futuro ai propri cittadini, possono andare in questa direzione e l’associazione Paea con la sua esperienza ventennale è in grado di supportarli. Così da ridurre il rischio da parte dei cittadini di trovarsi a fare le file ai supermercati e pregare che ci siano abbastanza immigrati da sfruttare che raccolgano i prodotti della terra. Oppure, non ci resta che continuare a sperare che chi ha le mani sui rubinetti energetici delle fonti fossili che ci tengono in ostaggio, non li chiuda. Andare in un’altra direzione rispetto a quella distruttiva e malata in cui ci si è diretti fino ad ora, è più chiaro che mai; non resta che agire.