Nella nottata di venerdì 11 settembre a Caivano, Maria Paola Gaglione è stata uccisa. È morta per mano di suo fratello che ha inseguito con lo scooter lei e il suo compagno Ciro, li ha speronati e aggrediti. Il motivo: non accettava la loro relazione.
Ripetiamolo forte insieme: Paola Maria Gaglione è morta perché stava con Ciro, persona trans FtM, è stata uccisa per transfobia , è morta a causa della mentalità eteropatriarcale della famiglia in cui è cresciuta. Ed ora lei, Ciro e la loro relazione vengono attaccati nuovamente e uccisi dalla narrazione tossica dei media. Vengono definite amiche, compagne, viene cancellata o bypassata la loro vera esistenza; Ciro viene descritto al femminile senza alcun rispetto per la propria identità.
Ci troviamo ancora una volta di fronte al paradosso in cui i media denunciano un fatto definendolo criminale, ma continuano a non usare il termine femmincidio. Allo stesso tempo, Ciro viene messo in dubbio relativamente alla veridicità della sua testimonianza e la sua figura viene descritta utilizzando un canonico linguaggio transfobico: Ciro infatti non viene riconosciuto come tale e i messaggi che passano tramite gli articoli alimentano, legittimano e riproducono la stessa cultura che ha causato e legittimato l’aggressione.
Quella di Caivano è una violenza dai diversi volti, tra loro collegati, che prendono forma a partire proprio da una cultura eteropatriarcale, sessista e omolesbobitransfobica.
Maria Paola Gaglione e Ciro sono stati aggrediti e Maria Paola è stata uccisa perché :
– perché Maria Paola è una donna che ha deciso liberamente della sua vita e della sua relazione al di là di ciò che la famiglia ha tentato di imporle
-perché Ciro non è riconosciuto come un “vero uomo”, e anche i giornali continuano a definirlo come donna ;
-perché Ciro e Maria Paola si amano e questa è la loro “colpa”: essere sé stessi, amare liberamente, vivere la propria relazione.
Per capire la perpetuazione della violenza in questa situazione, bisogna mettere in chiaro un paio di cose, anche a chi si definisce femminista, ma sta continuando a definire Ciro come Cira e definisce l’accaduto come una violenza lesbofobica e non omolesbobitransfobica.
Una persona T si determina e si nomina nel genere in cui si sente e in cui si determina, non c’è un inizio e una fine del percorso, e non è ascrivibile un determinato e preciso momento. L’autodeterminazione non ha nulla a che fare col corpo, non ha a che fare con la chirurgia o con la “diagnosi”.
Una persona trans si autodetermina nel genere di appartenenza, quello sentito, quello percepito, nel momento in cui prende consapevolezza che il genere ereditato alla nascita non gli appartiene.
Riconoscere questo e rispettare l’autenticità e l’autodeterminazione che ogni persona si dà è il primo di molti passi che è necessario fare.
Lo stigma, la violenza e la discriminazione nei confronti delle persone transgender in Italia sono reali e profondi.
Il sessismo, la misoginia, l’omolesbobifobia sono tutte figlie dell’eteropatriarcato, quel sistema di pensiero per cui chi non è un uomo cisgender ed eterosessuale può ricevere “una lezione” perché si comporta fuori dalle norme sociali e culturali imposte, perché coltiva la libertà di essere se stess*. Un sistema basato sulla sopraffazione e il dominio da parte di soggettività a cui viene dato il privilegio di potersi imporre con la violenza psicologica e fisica.
Inoltre la narrazione tossica di femminicidi, violenze e omicidi sulla base della discriminazione di genere è l’ennesima prova dell’intenzionalità di perpetrare una cultura sistemica. Non ci sono scelte casuali, è ora di dirci che l’eteropatriarcato va distrutto e combattuto in tutte le sue forme, proprio perché questo agisce secondo uno schema ben definito, in cui nulla viene anche solo lontanamente lasciato al caso.