Laboratorio Palestina

di Nico Maccentelli

Laboratorio Palestina di Antony Loewenstein, Fazi Editore, 2024, pg. 336, € 20,00

Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo

Per prima cosa due premesse. La prima: oggi più di ieri a fare qualsiasi critica a Israele si viene tacciati di antisemitismo. Nulla di più falso per quanto riguarda la gran parte di coloro, soggetti, movimenti od organizzazioni che sostengono la Resistenza Palestinese e il diritto del popolo palestinese ad avere una sua terra. Tanto più che i palestinesi sono semiti, per cui l’accusa oltre che essere falsa è pure demenziale, se non si sapesse che chi la formula è in perfetta malafede. Se l’hasbara, ossia quella rete ben organizzata dal sionismo per screditare e buttare fango su tali realtà solidali con il popolo palestinese e che è ramificata in ogni partito istituzionale, in ogni redazione mediatica, insomma ovunque viene prodotta informazione e politica, è così potente una ragione c’è.

E qui passiamo alla seconda premessa: la ragione sta nel fatto che senza Israele, l’Occidente collettivo, ossia quella parte di mondo dominata dall’unipolarismo atlantista a dominanza USA, avrebbe seri problemi di tenuta davanti all’avanzare di quell’altra parte di mondo che si sta affermando sul piano economico e geopolitico e con i conflitti in corso anche sul piano militare. La questione palestinese non è qualcosa di a sé stante ma è parte di quella guerra mondiale a pezzi, per parafrasare il papa, che rischia ogni giorno di più di diventare mondiale e nucleare. Per questa ragione, al di là degli appelli pelosi e ipocriti di tale Occidente a una tregua in Palestina e in Libano, la potenza militare di questo cane da guardia che non conosce limiti e regole, serve eccome.

Fatte queste premesse, ora posso iniziare a parlare di questo libro fondamentale per chi voglia non solo comprendere cosa sia diventato lungo tutti questi decenni Israele, ma anche la forte correlazione con il militarismo bellicista occidentale e le sue tecnologie di guerra, come di controllo e sorveglianza sulle popolazioni in funzione di prevenzione controrivoluzionaria.

Di quest’opera, scrive su Haaretz Gideon Levy (e che abbiamo a commento in retrocopertina), giornalista e massimo oppositore della politica d’apartheid dei governi sionisti di estrema destra del suo stesso paese:
“Un libro ammirevole, documentato e basato su prove sul lato meno conosciuto dell’occupazione. Fornisce un ritratto di Israele, uno dei dieci maggiori esportatori di armi al mondo, che commercia in morte e sofferenza e le vende a chiunque le voglia comprarle.” Qui le specifiche del libro e una spiegazine sintetica data dalla casa editrice.

La prefazione è di Moni Ovadia, nella quale osserva:
“Oggi l’opera di Antony Loewenstein (…) illumina un aspetto parallelo consustanziale della pratica sionista: la ripulsa dei grandi valori etici, spirituali e universalistici dell’ebraismo, per imboccare il cammino idolatrico della forza, della prepotenza, di un nazionalismo fanatico, dell’idolatria della terra.” E definisce il sionismo: “ … un progetto colonialista di impianto etnonazionalista che ha sempre mirato a cancellare l’identità palestinese.”
E tornando alla prima premessa della mia recensione, chi si batte per il popolo palestinese è ben conscio che ci sono nel mondo associazioni ebraiche e intellettuali ebrei che si oppongono in vari modi al sionismo razzista delle classi dirigenti estremiste israeliane. E questo ci porta a iniziare inquadrando l’autore, che sicuramente appartiene a questa opposizione ebraica.

Antony Loewenstein è un ebreo cresciuto a Melbourne, in Australia, “… dove il sostegno a Israele”, scrive, “ senza essere una religione imposta, era dato per scontato” (1). I suoi nonni erano arrivati in Australia fuggendo dalla Germania e Austria naziste nel 1939.
Ha preso coscienza di cosa fosse Israele andando in Palestina. E la sua ricerca ha preso corpo con analisi e dovizia di dettagli sulla macchina bellica e tecnologica sulle armi e i dispositivi repressivi dell’entità sionista. Ne fa anzitutto la storia, partendo dall’ideologia sionista che non va confusa con l’ebraismo, anche se la prima falsifica la seconda in modo strumentale. È lo stesso padre del sionismo, Theodore Hertzl, menzionato dal Loewenstein, a dare la spiegazione più esauriente della funzione politica di Israele: “… scrisse ne Lo Stato ebraico, il suo influente pamphlet del 1896:«Lì [in Palestina] saremo un settore del muro dell’Europa contro l’Asia, fungeremo da avamposto della civiltà contro la barbarie» (2)
Non ricorda forse, a distanza di 130 anni la definizione data da Borrell sul giardino europeo e la giungla tutto il resto? La logica è la medesima ed è esattamente il suprematismo di cui si nutrono le élite dominanti in Occidente e spiega in parte la mia seconda premessa sul piano ideologico.

La tecnologia militare israeliana ha supportato e supporta con la vendita di armi e istruttori militari i peggiori regimi totalitari: il Guatemala di Rios Montt, El Salvador, Colombia, Haiti dei Doc padre e figlio, Birmania dei militari, Paraguay (che aveva dato per altro rifugio a Mengele! pecunia non olet), il Cile di Pinochet, il Nicaragua di Somoza e altri, la lista è lunga, tanto che Loewenstein scrive: “Il “Sud globale” è stato e controllato e pacificato con le armi (principalmente) israeliane e statunitensi. Né che l’antisemitismo né l’estremismo hanno impedito la collaborazione con Stati che depredano le risorse o le persone. A distanza di decenni dalla sua creazione, questo sistema di collusione è ancora in piedi e opera senza problemi. Niente ha mai ostacolato seriamente lo sviluppo, né durante la guerra fredda né nel contesto dopo l’11 settembre 2001.” (3)

Scrive Loewenstein: “Chiaramente Israele desiderava essere un complice compiacente negli obiettivi di dominio di Washington nell’America Centrale degli anni Ottanta. Un ministro israeliano dell’Economia, Yaakov Meridor, nei primi anni del decennio disse che Israele voleva essere un mandatario degli interessi statunitensi laddove la superpotenza globale non poteva o era restia a vendere armi direttamente. «Noi diremo agli americani : non fateci concorrenza nei Caraibi o in altri posti dove non potete vendere armi direttamente. Lasciate che lo facciamo noi. […] Israele sarà il vostro intermediario.” (4)

L’attività di ricerca e produzione riguarda le armi in senso classico, sempre più sofisticate, ma anche la cybersicurezza e tutte quelle tecniche del controllo sociale e sulle persone. Lascio ai lettori la copiosa documentazione di quest’opera. Mi limito a fare un paio di considerazioni che non possono sfuggire o essere sottovalutate in chi intende contrastare la guerra interna ed esterna che USA-UE-NATO-Israele stanno conducendo nei vari quadranti e al proprio interno.

Israele si vanta in campo pubblicitario vero e proprio dell’efficacia dei suoi prodotti, avendoli sperimentati sui campi di battaglia, come sosteneva David Ivri, che è stato direttore generale del ministero della difesa israeliano (5) Questo aspetto non è secondario: la migliore promozione delle tecnologie belliche e cyber israeliane è la sperimentazione sul campo sulle popolazioni, le persone in genere, in una sorta di mengelismo a fini di profitto e di sostegno al dominio Occidentale.

Foto tratta da Infopal: www.infopal.it

La prima considerazione è nella “sorveglianza di massa israeliana”, ossia nel trattare in particolare e con un certo piglio scientifico da laboratorio-lager il popolo palestinese in Cisgiordania. Infatti lo spezzettamento del territorio che dovrebbe essere secondo risoluzioni ONU di pertinenza dell’Autorità Palestinese, non è solo al servizio di un’inarrestabile colonizzazione da insediamento, ma è funzionale alla sperimentazione e applicazione di tecnologie del controllo e della sorveglianza, molte delle quali in modalità soft e molto meno invasiva, ci ritroviamo anche nei nostri territori. Colonizzazione, controllo in loco ed export di metodologie, applicativi cyber, dispositivi d’ogni tipo integrati tra loro trasudano sangue e sofferenza palestinesi.

La cyber “sicurezza” israeliana, di cui Pegasus della NSO Group, società di cybersorveglianza è emblematica di come le aziende high tech israeliane siano alla base sia della sorveglianza nell’apartheid in Palestina, ma anche nell’export verso altri stati alleati di queste tecnologie del controllo a fini di spionaggio, e terrorismo, come si è visto nell’attacco ai dispositivi cerca persone in Libano a metà settembre. Uno stato canaglia come Israele che disprezza ogni risoluzione ONU, che compie massacri indiscriminati sui civili, da Gaza al sud del Libano, ha in mano e su questo collabora con gli USA, con MOSSAD e CIA insieme (6), ha il potere di condizionare le politiche per esempio di stati africani che acquistano i sistemi di sorveglianza israeliani e in cambio assicurano il loro voto in sede ONU (7).

Lowenstein scrive (8): “Il whistleblower dell’NSA Edward Snowden definisce NSO e altre aziende simili «l’industria dell’insicurezza». Ci v giù duro:
«Il telefono nelle vostre mani esiste in uno stato di perpetua insicurezza, aperto a infezioni a opera di chiunque sia disposto a investire in questa nuova “industria dell’insicurezza”. I suoi affari consistono nell’inventare nuovi tipi di infezioni capaci di aggirare i più recenti vaccini digitali – noti anche come aggiornamenti di sicurezza – per poi venderli paesi che occupano l’intersezione incandescente di un diagramma di Venn tra «desidera disperatamente gli strumenti dell’oppressione» e «Gli manca totalmente la capacità avanzata di produrli al proprio interno». Un’industria così , il cui unico obiettivo è la produzione di vulnerabilità andrebbe smantellata.»

E infatti Pegasus, scrive Lowenstein lo ritroviamo anche nell’intreccio tra stato messicano e organizzazioni criminali, come accaduto a Griselda Triana, giornalista, attivista dei diritti umani e moglie di Javier Valdes Cardenas, assassinato dal cartello di Sinaloa per l’attività del suo settimanale ch indagava su corruzione e criminalità legata al traffico di droga (9). Triana dopo la morte del marito è stata spiata attraverso Pegasus e lo stato messicano non ha mai voluto dare spiegazioni in merito, del perché queste attenzioni nei confronti di una cittadina non certo pericolosa per le autorità messicane. O forse sì…

Nel capitolo 7. “le società dei social media non amano i palestinesi”, diviene chiaro come Meta (Facebook, ecc.) censurino tutto ciò che proviene dalla Palestina e che sia critico verso Israele, emerge la collaborazione tra colossi social e l’Unità Cyber sionista, che ha carta bianca dalla Corte Suprema israeliana per operare dietro le quinte e di tenere dietro le quinte rapporti segreti con società come Meta (10). La scusa “di prevenire atti di violenza” suona piuttosto ironica, se consideriamo la sproporzione in termini di violenza tra uno stato genocida e avvezzo alla pulizia etnica e una Resistenza esistenziale da parte di un popolo. Dunque non solo gli stati in capo al dominio USA, ma anche le multinazionali dei vari settori (in questo caso i tecnologici della comunicazione) cooperano attivamente con Israele, secondo il fine posto nella mia seconda premessa.

Sappiamo benissimo come la censura su Facebook operi in modo sistematico anche sui nostri account. Su questo tema non sono riuscito a spiegare a un “compagno”, tra l’altro con la professione legata alla comunicazione (illustratore, ma tant’è…), che infestando la mia bacheca sosteneva che se non voglio essere censurato basta solo che non usi Facebook (sic!), che il fatto di censurare e filtrare a milioni di persone le notizie spacciando le critiche per fake news, significa che dei grandi privati per conto dei governi imperialisti controllano l’opinione pubblica mondiale. A questo punto è arrivata certa inconsapevolezza.

Ma possiamo dire con una certa e documentata da Loewenstein ragione, che gli apparati scientifici e di ricerca (quelli che vedono la collaborazione delle nostre università con quelle israeliane), quelli militari e industriali sono parte di una enorme e ramificata rete di controllo e gestione nel mondo di ogni ambito con cui la sovrastruttura di potere dell’imperialismo si regge: delle tecnologie di guerra alla produzione di armi, alla produzione di sistemi di sorveglianza e spionaggio, alle comunicazioni e al controllo selettivo della rete, in una sorta di marketing totalizzante e goebbelsiano sulla pubblica opinione occidentale.
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E qui arriviamo alla questione finale, che dà il sottotitolo di questo libro: Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo. Non mi soffermerò sulla parte che riguarda il controllo e la sorveglianza sionista sul popolo palestinese: dai tornelli alla biometria, dalle banche dati alle attività di spionaggio elettronico, alla selettività discriminatoria su milioni di cittadini che ogni giorno devo attraversare i check point israeliani per andare a lavorare o all’ospedale, con restrizioni nei movimenti nel territorio. Un incubo. Tanto che lo stesso Ovadia, sempre nella sua prefazione inquadra questo aspetto ben documentato da Loewenstein:
“I governi sionisti scelgono la cultura delle armi più distruttive, delle più sofisticate tecnologie militari e di spionaggio sperimentate nel laboratorio Palestina per dominare, opprimere e terrorizzare il popolo più solo del mondo e sterminare migliaia di donne e bambini…”

Voglio solo osservare come queste tecnologie si estendono anche nei nostri territori. Il periodo pandemico ha ben dimostrato di essere terreno di sperimentazione sul controllo e la sorveglianza di un’intera popolazione. L’Italia è stato forse il laboratorio più avanzato di queste tecniche.
Premialità e discriminazione anche solo per verificare la virtù in un condominio o nel fare la differenziata, sono solo un piccolo assaggio delle potenzialità che il sistema di potere capitalistico, i suoi apparati possono mettere in opera quando e come vogliono, oltre ogni immaginazione distopica. Gran parte di queste metodologie e tecnologie portano il simbolo della Stella di David e sono state sperimentate sulla pelle del popolo palestinese.

Qualcuno per esempio può vedere l’agenda 2030 “per lo sviluppo sostenibile” messo in cantiere dall’ONU(11) come un programma virtuoso, così come la città dei 15 minuti. Ma se ben lo guardiamo, il 1984 di Orwell è dietro l’angolo. Le limitazioni di movimento nello spazio urbano, l’obbligatorietà di azioni da compiere nella vita quotidiana sono l’ultima frontiera di un capitalismo che ci riduce a palestinesi che devono solo lavorare, consumare e crepare.

Il saggio di Loewenstein aggiunge un importante tassello nel darci il quadro di questa proiezione autoritaria globale, perché il tassello sionista è parte integrante e imprescindibile di tutte le pratiche totalitarie che l’Occidente (e non solo) sta mettendo in opera per contrastare l’altra parte del mondo, quella dell’80% che si sta affermando con il multipolarismo. Ma i rischi non sono solo in Occidente unipolare: ogni classe dominante, anche nel nome di nobili ideali collettivistici nasconde sul piano della più neutra tecnologia una volontà di dominio sulla popolazione. E questo potrà accadere finché esisteranno classi al potere (che siano composte da grandi privati, o burocrazie di stato, o un loro mix) e classi subalterne nel sistema mondo della riproduzione sociale capitalistica.

NOTE:

1. Laboratorio Palestina, pag. 7

2. Ibidem pag. 44

3. Ibidem pag. 43

4. Ibidem pag. 54

5. Ibidem pag. 40

6. Ibidem pag. 185

7. Ibidem pag. 186

8. Ibidem pag. 187

9. Ibidem pag. 184

10. Ibidem pag 234

11. Qui e qui .

Inoltre:

Per approfondire l’Agenda 2030, due contributi di Enzo Pennetta, docente di scienze naturali:
https://www.youtube.com/watch?v=LL3e6vHbLxI
https://www.youtube.com/watch?v=eSD3tc5UGyc

Infine, qui un’analisi di Manlio Dinucci sulla strategia del terrore israeliano, dove la copiosa documentazione di Loewenstein trova riscontro a partire dal prima citato episodio dell’attacco esplosivo a Hezbollah per mezzo dei cercapersone: una preparazione di anni (che quindi nulla c’entra con l’attuale escalation, ma molto con la vocazione terroristica dell’entità sionista) con sofisticate tecnologie, con l’uso di aziende fittizie create apposta e di prestanome, con un lavoro dei servizi di intelligence che facciamo fatica a pensare che siano limitati al solo Mossad.

(Apprendo in questo momento, in cui sto predisponendo questo articolo alla pubblicazione, dell’assassinio di Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah insieme a svariati comandanti della resistenza libanese in riunione nel quartier generale a seguito di un attacco terroristico di Israele che, neanche a dirlo, ancora una volta viola ogni regola riconosciuta a livello internazionale.)

Sergej Lavrov, ministro degli affari esteri della Federazione Russa ha definito “disumano l’attacco di Israele al Libano mediante l’uso di dispositivi mobili esplosivi” e ha sollecitato un’indagine. Inoltre ha dichiarato che “Gli Stati Uniti erano a conoscenza dei preparativi di Israele per l’attacco con dispositivi mobili esplosivi in ​​Libano” (fonte: l’Antidiplomatico).

Israele, con il suo governo di terroristi assassini e genocidi, e con il pieno appoggio degli USA e dei suoi ignobili vassalli, tra cui il protettorato, come definirlo, il bantustan italiano, ci sta portando dritti alla terza guerra mondiale.

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