«Lo repetimos en voz alta porque nos sigue pareciendo increíble. Pero el aborto es legal a partir de hoy. Pará todas las que vienen, por las que lucharon tantos años para llegar a hoy». (Antiprincesas / Chirimbote).
Con queste parole la marea verde ha salutato l’alba di un nuovo giorno in Argentina. Con 38 voti favoreggi, 29 contrari e un astenuto la legge sull’aborto passa in Senato.
«Siamo ancora incredule», si sente dire a Buenos Aires, ma finalmente dopo anni e anni di lotta si è arrivati ad una vittoria storica: aborto legal y seguro, questa è la sentenza.
L’Argentina è diventato il più grande paese latinoamericano a legalizzare l’aborto. In Sudamerica ci sono altri pochi esempi, come l’Uruguay, che ha depenalizzato la pratica nel 2012, e la Guyana, dove è legale dal 1995. Inoltre, Cuba ha legalizzato la pratica nel 1965, come anche Città del Messico e lo Stato messicano di Oaxaca. Nella maggior parte dei Paesi, tra cui il Brasile, gli aborti sono permessi solo in circostanze estremamente limitate come lo stupro o il rischio per la vita della madre, mentre in alcuni, come la Repubblica Dominicana e El Salvador, sono vietati del tutto.
Il disegno di legge – “Regolazione dell’accesso all’interruzione volontaria della gravidanza e l’assistenza per l’aborto”- che legalizza le interruzioni di gravidanza nelle prime 14 settimane è stato approvato dalla Camera all’inizio di questo mese, dopo essere stato presentato al Congresso dal presidente, Alberto Fernández.
«C’è un’Argentina ipocrita che nega l’aborto, proprio come era abituata a negare l’omosessualità», ha detto Fernández alla vigilia del voto, definendo l’aborto meramente come un «problema di salute pubblica».
Una vittoria storica, quindi, che si spera possa avere riverbero in tutta l’America Latina. Diversi infatti sono i movimenti femministi che chiedono un cambiamento, come in Colombia dove di recente è stata intentata una causa alla Corte Costituzionale che chiede di eliminare l’aborto dal codice penale del Paese, oppure in Cile dove si spera che la nuova costituzione possa aprire la porta ad un’estensione dei diritti delle donne. Nella nazione più popolosa della regione, il Brasile, le attiviste stanno aspettando che la Corte suprema si pronunci su un ricorso legale del 2018 che decriminalizzi l’aborto nelle prime settimane di gravidanza.
L’Argentina ha inviato un forte messaggio di speranza a tutto il continente, soprattutto se parliamo del Paese più cattolico dell’America Latina, che ha dato i natali pure a Papa Francesco. Si temeva infatti che la popolarità di Bergoglio nel suo Paese d’origine avrebbe avuto effetti sul voto, dando ancora del filo da torcere alla legalizzazione dell’aborto.
Il voto del Senato è il risultato di cinque lunghi anni di marce di protesta di massa del movimento delle donne argentine, iniziato come una campagna su Twitter contro la violenza di genere sotto l’hashtag #NiUnaMenos.
È il 3 giugno 2015 quando, in reazione all’omicidio della quattordicenne Chiara Páez, trovata sepolta sotto la casa del fidanzato dopo essere stata picchiata a morte e incinta di qualche mese, Marcela Ojeda – giornalista radiofonica – twittava: «Non alzeremo la voce? Loro ci stanno uccidendo»
È il 2015 quando nasce la prima di molte marchas che hanno portato decine di migliaia di donne a riunirsi nella Piazza del Congresso di Buenos Aires.
Mentre l’anno successivo – nel 2016 – le femministe argentine hanno organizzato uno sciopero di massa in risposta allo stupro, all’omicidio e all’impalamento della sedicenne Lucía Pérez nella città costiera di Mar del Plata.
Ed è proprio in quel momento che ci si è rese conto che la lotta contro il feminicidio poteva comprendere anche le richieste di accesso all’aborto legale.
Hanno adottato un pañuelo verde – indossato come bandana, sciarpa o attorno al polso – come simbolo del loro movimento, una tendenza che si è rapidamente diffusa in altri paesi latinoamericani e in tutto il mondo. Paesi in cui il verde è venuto a simboleggiare la più ampia lotta per i diritti delle donne.
Quella sciarpa verde è un’allusione alle Madri di Plaza de Mayo, che indossavano un foulard bianco mentre affrontavano la feroce dittatura argentina del 1976-83 per la scomparsa dei loro figli.
Un iter tortuoso, che subisce una battuta d’arresto nell’agosto 2018 quando il Senato, sotto la pressione della Chiesa cattolica, respinge il progetto di legge.
Due anni fa il presidente Mauricio Macri era contrario, ma ha permesso il dibattito legislativo e ha annunciato che non avrebbe posto il veto alla legge se fosse stata approvata.
Cosa è cambiato da allora? Il suo successore, Alberto Fernández, è il primo presidente di seduta a sostenere l’aborto legale. Egli sostiene che criminalizzare la pratica non ha scoraggiato coloro che sono determinate ad interrompere la gravidanza. «Ha permesso che gli aborti avvenissero clandestinamente solo in numeri inquietanti. Ogni anno, circa 38.000 donne vengono ricoverate in ospedale per aborti mal eseguiti», ha detto inviando il disegno di legge al Congresso.
Nel 2018, l’ultimo anno con dati ufficiali, 35 donne sono morte per complicazioni dovute ad aborti clandestini. «Se questa legge passerà, non violeremo le convinzioni di nessuno. Avremo meno sofferenze di donne e meno morti evitabili».
L’elezione di Fernández l’anno successivo ha portato nuove speranze, poiché ha promesso di sostenere la spinta al cambiamento.
Ma il vero merito è delle donne argentine, instancabili, che non hanno mai smesso di occupare le strade e i social network – nemmeno sullo sfondo della pandemia – e hanno continuato a lottare, senza fretta ma senza mai fermarsi.
«Es Ley! Es vida para las pibas!
È vita per le ragazze!»
** Pic Credit: La Vaca.org, un articolo di Claudia Acuña