Di Claudio Vitagliano per ComeDonChisciotte.org
Se dovessimo usare due parole chiave per trasmettere in estrema sintesi cosa ha rappresentato la seconda avanguardia sovietica, sceglieremmo queste: libertà e poesia.
L’arte sovietica del secolo scorso ha avuto un percorso ondivago e spesso, molto singolare, specialmente se paragonata a quella di altri paesi. La prima avanguardia infatti, nutrì e contemporaneamente si fece fagocitare dalla rivoluzione del 1917, mentre dalla morte di Lenin e con l’avvento di Stalin al potere, essa sparì dalla vita culturale della Russia, per risorgere anni dopo sotto le forme più svariate con i nomi di arte non ufficiale, non conformista, seconda avanguardia e altri appellativi ancora.
Non ufficiale poiché essa non era rispondente ai canoni che il partito comunista e il ministero della cultura sovietico avevano approntato e che gli artisti di regime erano dovuti a tenere in considerazione. Dall’avvento di Stalin fino alla perestroika negli anni 80, l’arte ufficiale fece più o meno sempre da stampella culturale al regime comunista, prendendo forma con quello che per decenni è stato chiamato realismo socialista.
Addirittura, con l’avvento al potere di Stalin, i sindacati degli artisti furono messi sotto il controllo diretto del partito comunista, che stabilì rigide prescrizioni atte ad escludere dall’arte accettata dal regime quattro orientamenti: l’arte a tema religioso, l’arte politica, quella erotica e quella formale, comprensiva di astrattismo, espressionismo e concettualismo.
Da quel momento e negli anni che seguirono, chi svolgeva l’attività artistica, perse la dignità di autore e si vide ridotto a semplice esecutore di un’arte che era quasi esclusivamente destinata a celebrare le virtù del socialismo reale.
Sull’arte di regime comunque, crediamo sia importante puntualizzare che non tutta era classificabile come mediocre, lo stile severo ad esempio, ebbe una certa rilevanza artistica, sia sotto l’aspetto formale che per i contenuti trattati.
Il motivo di queste “felici anomalie” all’interno della produzione artistica di regime, era figlia a nostro parere dallo spirito russo, che impone comunque l’attenzione al “dovere”, e che portò quindi molti artisti a dare il meglio di sé, anche se metaforicamente ammanettati dal potere comunista ai propri cavalletti. Ma in realtà, era tutto il mondo sovietico nell’epoca da noi presa in considerazione, a presentarsi come un coacervo di fatti indecifrabili, con percorsi mai lineari e una cronologia irta di eventi avulsi dalla logica; per lo meno, dalla logica come la intendiamo noi occidentali.
E quindi, ecco che, nel firmamento artistico dell’URSS, il percorso già accidentato della storia dell’arte ebbe un ulteriore sobbalzo qualche anno dopo la morte di Stalin. Infatti, dopo la stagione del disgelo promossa da Krusciov, che segnò un allentamento della sorveglianza del partito sulla produzione artistica, cosa che incoraggiò molti di loro a intraprendere nuove strade (sperimentando soprattutto l’astrattismo), favorendo anche la nascita di una pallida nuova alba di libertà, accadde che qualche anno dopo, alla mostra del maneggio nel dicembre 1962, lo stesso segretario del partito comunista, lanciò il famoso anatema contro la nuova avanguardia, tacciandola di formalismo e di miseria creativa, e avviando così di fatto una nuova stretta sull’operato dell’intera categoria degli artisti.
Una inversione a U che mise gli stessi artisti di fronte ad una responsabilità gravosa, e cioè, quella di decidere se aderire di nuovo ai diktat del partito, tornati inflessibili come sotto Stalin se non di più, oppure scegliere apertamente di percorrere la via della libertà, che comportava però il rischio di venire emarginati dalla società, senza commissioni e con la possibilità addirittura di finire internati nei gulag.
Oltre però a queste due scelte contrapposte, se ne profilò una terza, e fu quella che vide molti artisti decidere pubblicamente di continuare a produrre arte o grafica secondo i criteri stabiliti dal potere, mentre nello spazio privato dei loro studi portavano a termine opere dettate esclusivamente dalla loro sensibilità, scaturite in alcuni casi, da una tenace forma di escapismo.
Questo fu un fenomeno assolutamente originale e poco studiato, anche dopo la caduta del comunismo, e di cui parleremo in un articolo a parte.
Per capire meglio ancora, il clima di ostracismo in cui operava la seconda avanguardia, citiamo la mostra dei bulldozer, evento che si verificò nel 1974. In questa occasione, alcuni artisti decisero di esporre le loro opere per strada a Mosca, chiedendo comunque l’autorizzazione al comitato esecutivo del Soviet cittadino, che si limitò solo a “sconsigliare” la manifestazione.
In virtù di questo atteggiamento delle autorità piuttosto ambiguo, gli organizzatori decisero di dare comunque il via alla mostra, ma subito dopo però, essa venne smantellata, i quadri distrutti e alcuni artisti finirono agli arresti, sotto gli occhi del pubblico e della stampa internazionale.
Questi sono pochi incontestabili fatti, che abbiamo estrapolato dalla miriade di eventi anche contraddittori tra di loro che hanno caratterizzato l’arte non conformista della seconda metà del secolo scorso, e che possono servire da punto di partenza per iniziare un discorso chiarificatore su ciò che essa realmente rappresentò.
Iniziamo col dire che, proprio per il carattere di clandestinità con la quale l’arte Russa non conformista prese vita, e con le relative difficoltà degli artisti a stabilire una comunicazione metodica tra di loro, essa non si sviluppò tramite la creazione di movimenti organizzati con una poetica comune o manifesti sottoscritti come avvenne anni prima con il raggismo o il costruttivismo, ma visse per lo più di individualismi e ricerche svolte in solitudine.
Questo diede il via ad una infinita varietà di modi espressivi, che sono stati poi accorpati solo in seguito, grazie alla catalogazione avvenuta quasi esclusivamente ad opera di storici e critici occidentali, primi tra tutti quelli cecoslovacchi.
Serve precisare però, che tale opera di ordinazione fu piuttosto travagliata, poiché alcuni studiosi prendevano in considerazione come non conformista molta parte dell’arte dall’inizio degli anni 50 in poi, e quindi non solo quella degli artisti già apertamente ribelli, ma anche di alcune forme di espressione interlocutorie o diciamo così preparatorie, e altri invece la facevano partire senza indugi dal 1962, in pratica dalla mostra del maneggio in poi, con la storica esternazione di Krusciov, facendo così collimare l’arte non ufficiale con la sola seconda tarda avanguardia.
Sicuramente, grazie ai primi, di alcuni artisti non accostabili a gruppi o tendenze che sarebbero stati senza dubbio dimenticati, ne fu al contrario riconosciuta l’importanza in un secondo tempo.
Poniamoci ora due domande che ci premono moltissimo, e che possono apparire banali ma da cui a nostro parere non si può prescindere.
La prima: l’arte Russa non ufficiale, visse di vita propria? Ovvero, ebbe caratteristiche peculiari, un suo originale valore innovativo e sue specifiche poetiche e quindi una assoluta indipendenza da tutto ciò che avveniva nell’altro emisfero, o nell’ansia di rinnovarsi e di non restare indietro attinse acriticamente dai movimenti dell’occidente temi e stili proponendoli in patria più o meno pedissequamente?
La seconda: nella percezione che ebbe l’occidente del fenomeno, non ci fu una sovrapposizione della ragione ideologica a quella puramente artistica? E se questo realmente accadde, è plausibile che questa visione distorta portò la maggior parte degli operatori, ma anche del pubblico americano ed europeo, a sovrastimare la refrattarietà al regime comunista degli artisti dissidenti, dando così la stura ad una lettura eccessivamente politica del fenomeno avanguardia?
Provando ad articolare le risposte, teniamo comunque presente come avvertenza, la difficoltà di accedere a qualsiasi tipo di documentazione ( specialmente per chi non riveste ruoli ufficiali ) attinente alle vicende che stiamo qui trattando. A tale riguardo, sappiamo che addirittura buona parte della storia dell’arte non conformista è stata ricostruita grazie alle testimonianze degli artisti russi emigrati in occidente. Alla prima domanda comunque, il cuore risponde no, mentre la ragione, tenendo in considerazione il fenomeno nel suo complesso, resta dubbiosa.
In realtà, già ad una prima analisi, possiamo notare differenze di sostanza tra quelli che erano i sistemi dell’arte occidentale e di quella non ufficiale Sovietica. Salta subito all’occhio che da una parte, soprattutto negli USA, avevamo già allora un mercato organizzato secondo i criteri più innovativi del marketing che patrocinava tutto il sistema dell’arte, mentre nell’altro versante il niente, se non una compravendita “artigianale”, diciamo pure fatta in casa.
Le mostre infatti venivano per lo più allestite negli appartamenti privati, e a costituire il corpo degli acquirenti erano quasi solo persone appartenenti alla intellighenzia dissidente e ai turisti, che insieme alle matrioske, portavano in occidente opere anche importanti, pagate quasi sempre pochi rubli, arrotolate e stipate nelle valigie.
A proposito dei turisti, sappiamo che molti di loro stilarono liste di artisti non allineati, scambiandosele l’un con l’altro e facendovi poi ricorso al momento di effettuare gli acquisti; e fu in parte grazie a loro che iniziò a diffondersi l’arte vietata nel resto del mondo.
Questo era ciò che accadeva nell’URSS, mentre negli Stati Uniti e in Europa le variabili di mercato dettavano i trend, condizionando in modo pesante l’operato di tutta la filiera, dagli artisti , ai critici, fino ai galleristi.
Ragion per cui, possiamo affermare senza temere smentite, che in occidente, nell’atto di nascita delle tarde avanguardie degli anni 50, nella casella riservata ai generanti ci fosse scritta la parola mercato, (Warhol è un esempio paradigmatico), mentre nell’ Unione Sovietica invece, l’arte non ufficiale era nata da un impulso diffuso e irrefrenabile a cercare la via della libertà, alla volontà di ogni singolo artista di dare sfogo alle proprie istanze poetiche senza indossare la camicia di forza imposta dallo Stato.
In questo modo le differenze dei diversi contesti si riversarono anche sulla produzione delle opere degli artisti sovietici come di quelli occidentali, determinandone sia lo stile che i contenuti.
Mettendo quindi a confronto alcuni indirizzi artistici sovietici con i movimenti europei e americani che più si assomigliano tra di loro, possiamo seppur nei limiti di un’analisi non approfonditissima, dedurre alcune fondamentali differenze ( non sempre immediatamente palesi), sia sul piano formale che etico.
Al fine di proporre tale confronto, prendiamo l’arte concettuale ( Il’ja Kabakov e Francisco Infante Arana, artisti di riferimento ) e la Sots Art ( Vitalij Komar e Alexander Melamid ) che viene comunemente giudicata la controparte della pop art.
All’interno dell’arte concettuale sovietica, intesa nel suo significato più ampio, non erano ravvisabili fenomeni che qui ebbero un’importanza e risonanza enorme come la minimal art e l’arte povera. Per i concettualisti sovietici, persino il ricorso alla figurazione, che veniva coniugata più con la poesia che con il raziocinio, non era un tabù, anzi è utile specificare che essa non è mai sparita dalla pratica quotidiana della maggioranza degli artisti alternativi.
Diciamo che rispetto poi all’arte concettuale praticata al di qua della cortina di ferro, quella messa in opera dagli artisti sovietici, non si presentava quasi mai nelle forme ermetiche o addirittura criptiche in voga da noi, ma anzi, spesso erano improntate ad un discreto lirismo.
Quella che era considerata in occidente la zavorra che impediva il dispiegarsi dei nuovi linguaggi, e cioè il retaggio delle stagioni precedenti, nell’arte concettuale sovietica continuava ad essere non solo ravvisabile, ma costituiva anzi una costante di tutta la produzione.
Anche nel raffronto tra pop art e sots art possiamo rilevare profonde differenze.
La pop art, ha descritto il mondo attraverso la messa in scena della civiltà dei consumi, lasciando che il senso galleggiasse in superficie, e addirittura eliminando ogni traccia di pathos dalla rappresentazione, quando invece nella sots art, veniva per lo più indagato il mondo sovietico attraverso i suoi emblemi e i suoi totem, ponendo domande sulla esistenzialità del vivere quotidiano, senza rinunciare ad una certa forma di racconto.
Sulla pop art stagnava un alone di ambiguità che non lasciava emergere una netta presa di posizione morale contro o pro la società dei consumi, con tutta probabilità perché ciò era funzionale al mercato. Specularmente, anche nella sots art non era ravvisabile una conclamata avversione al regime socialista, e crediamo che ciò fosse dovuto ad un certo nazionalismo di fondo, figlio delle tradizioni, che ha da sempre cementato i diversi orientamenti esistenziali in un’unica anima Russa, sempre presente, anche nei momenti di tensione politica e sociale.
In realtà, gli artisti non conformisti, volevano semplicemente essere liberi di creare opere d’arte personali, senza costrizioni di sorta.
Proviamo ora a rispondere alla seconda domanda, e a capire se il giudizio sull’arte Sovietica non ufficiale comunemente formulata in occidente era libero e non sostanzialmente viziato da fattori di natura estranei al contesto artistico.
Crediamo però, che per procedere ad un’analisi del genere, bisogna tenere in considerazione alcuni dati, e prima di altri la legge non scritta, secondo la quale in occidente, allora come ai giorni nostri, tutto ciò che non crea reddito non ha nessuna dignità e importanza, specialmente presso i potentati economici, gli stessi cioè che finanziano e patrocinano i circuiti artistici istituzionali. Indubbiamente l’arte dissidente fu valorizzata in occidente, insieme ad altre espressioni della cultura non allineata, in quanto potenziale grimaldello, utile al tentativo di scardinare e indebolire il regime socialista.
In realtà, i paesi dell’area sovietica non rappresentavano altro per Europa e USA che un immenso e potenziale mercato, che andava sondato e attivato a tutti i costi.
Il puro fattore estetico e le relative poetiche annesse, di tutta l’arte alternativa che gli artisti sovietici produssero per anni e anni, rischiando l’esilio e la morte, fu valutato secondo criteri consoni all’universo dell’arte solo parzialmente. Non parliamo qui di una cattiva coscienza degli operatori occidentali che si adoperavano per evidenziare ciò che rappresentava un fenomeno oppositivo all’interno del perimetro geografico e culturale del socialismo reale, ma di una propensione totalizzante al profitto che guidava ( allora come ora ) il sistema economico occidentale, e che si rifletteva nei più disparati contesti, compreso quello dell’arte, per mezzo dei suoi officianti.
Non è un caso che il recente fenomeno dell’artwashing sia nato e si sia diffuso in occidente, toccando solo marginalmente la società russa e che sul territorio della confederazione sia stato praticato quasi solo da multinazionali occidentali. Ci pare a questo punto di poter affermare che l’underground Sovietico, fu una ribellione partita in sordina e poi esplosa all’interno del sistema socialista, e che prese si spunto dalle nuove elaborazioni formali in atto nell’occidente, ma che corse poi sulle sue sole gambe.
La cultura Russa è sempre stata parallela a quella occidentale ma non si è mai confusa con essa, e non è mai stata intercambiabile con altre come avviene nell’epoca della post modernità tra quella americana ed europea. Questo si è riflesso nelle arti visive, e non parliamo della sola arte non ufficiale, ma anche del realismo socialista e della prima avanguardia. Il costruttivismo infatti non ha avuto movimenti somiglianti ad esso dalle nostre parti, come il raggismo, ed altro ancora.
Volendo andare un po ‘ più a fondo sul tema della singolarità russa e cercando una motivazione nella storia per afferrare il senso di questa loro vicinanza / distanza da noi, dovremmo forse, come abbiamo accennato prima, mettere sotto la lente d’ingrandimento proprio le tradizioni. Potrebbe risultare credibile che esse, permeando da sempre pesantemente l’immaginario collettivo, e sedimentandosi nei secoli, abbiano favorito il formarsi di un substrato delle coscienze individuali che travalica le contingenze, e che col tempo avrebbe connotato il DNA del pensiero russo con una ” diversità” che permette la vicinanza ma non l’amalgama con altre culture. Sicuramente, anche fattori religiosi potrebbero aver giocato un ruolo in questo stato di cose, come il grande scisma d’oriente del 1054 ( separazione tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa ), che si riverbera ancora oggi tra le popolazioni d’oriente e d’occidente tenendole unite e separate nello stesso tempo.
Tornando al nostro argomento, reminiscenze dell’arte delle icone, si possono ravvisare in tutta la produzione artistica russa contemporanea ( vedere ad esempio Marc Chagall, Grisha Bruskin ecc…) fino alla seconda avanguardia e ai giorni nostri, confermando il radicamento delle tradizioni nella vita quotidiana delle genti russe.
Diciamo infine, che se ci siamo fatti un’idea abbastanza precisa di quel che è stato il fenomeno dell’arte non ufficiale, dobbiamo ringraziare alcune persone che in circostanze particolari, sono venute a contatto con il mondo russo. Ci riferiamo in modo particolare ad Alberto Sandretti e ai coniugi Kenda e Jacob Bar-Gera che in anni e anni di appassionata ricerca hanno messo insieme collezioni che definire importanti risulterebbe riduttivo.
Crediamo infine che sia doveroso sottolineare che in entrambi i casi, la passione per l’arte della seconda avanguardia è nata in subordine al loro interesse per la Russia.
Riguardo a questa precisazione, citiamo una frase di Kenda Bar-Gera estrapolata da un’intervista sull’argomento rilasciata molti anni fa, in cui svela il motivo del suo amore per la Russia :
<< ero internata ad Auschwitz, l’8 maggio del 1945 fui liberata dai russi. Perciò, la ragione del mio interesse particolare per loro è questa : non solo mi hanno salvato la vita, ma sono stati i primi esseri umani che ho incontrato dopo un periodo di bestialità. In un’epoca simile, degli esseri umani che si comportavano come tali, restituendoti così la fiducia nell’umanità , suscitavano almeno un pò di attenzione, non le pare? >>
Questa umanità di cui parlava Kenda Bar-Gera è la stessa di cui è intrisa tutta l’arte non conformista Sovietica, pensata e realizzata solo per dare vita all’immaginario poetico che ogni artista che vi partecipò si portava dentro, e non altro.
Elenchiamo qui solo alcuni dei tantissimi artisti che parteciparono all’arte non ufficiale:
Ilya kabakov, Erik Boulatov, Ulo sooster, Edouard Steinberg, Lev Kropivnitsky, Vitalij Komar, Alexander Melamid, Lidia Masterkova, Vladimir Nemoukine, Victor Pivovarov, Ernst Neizvestny, Dmitri Plavinsky, Anatoli Belkine, Evgeni Goriounov….
Di Claudio Vitagliano per ComeDonChisciotte.org
27.09.2023
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
“Arte contro“, Skira editore, 2008
“L’arte vietata in URSS“, Electra editore, 2000