Durante il periodo del lockdown e della crisi dovuta al Covid-19, è emersa in modo drammatico una situazione socio-economica-climatica senza precedenti. Diciamo emersa perché come sappiamo la crisi climatica, le disuguaglianze economiche, sociali, di genere e, più ampiamente, culturali hanno radici di lunga data. Il periodo di lockdown ha però inasprito il tutto, portando alla luce non solo i «nemici» di quello che le popolazioni indigene chiamano «buen vivir» ma anche le forme attraverso cui tali inimicizie si manifestano, e le relazioni che mantengono e nutrono lo sfruttamento e le disuguaglianze planetarie.
In questo periodo gruppi di lavoratori e lavoratrici della cultura, hanno sperimentato nuove forme di azione e discussione per uscire da una condizione di emergenza. In particolare si è attivato un gruppo legato al settore delle arti sceniche, interrogandosi profondamente sulle condizioni di lavoro che hanno portato alla grave crisi del settore. Il problema emerso non era tanto come risolvere la questione nell’immediato, ma quali presupposti avrebbero permesso una ripresa in grado di unire efficacemente la battaglia per un modello economico e sociale più equo con quella di un vivere dignitoso. In questo senso la rivendicazione di un reddito incondizionato o di base è parsa dirimente ed ha aperto lo scenario a una lotta in comune con altre categorie lavorative culturali e non.
Sempre durante il lockdown l’ILVA di Taranto, che conosciamo per i danni ecologici e sanitari che ha causato in questi anni e per le battaglie portate avanti dai Tarantini, ha continuato a produrre nonostante un caso di Covid-19 accertato al suo interno, ennesima riproposizione della strumentale opposizione tra lavoro e salute. Sono stati gli operai, attraverso un volantino, a suggerire la soluzione: «tutti a casa a stipendio pieno […] Non ci vergogneremo a stare a casa pagati, abbiamo già dato in fatica e salute sull’altoforno e in acciaieria, ora è tempo di curarci, respirare aria buona, studiare per istruirci, scrivere poesie»
Ancora, durante le vacanze di Natale del 2019, esce sul web una lettera scritta da un gruppo di lavoratori e lavoratrici delle arti performative intitolata “Nessun* tocchi il Fallo/Fabre. Alcune note su violenza, sessismo e lavoro artistico” in cui viene sollevata una questione fondamentale: l’arte non è un campo innocente, non è un altro mondo, «la mia performance è una performance, la mia vita no» quali sono i «no» che possiamo dire e a quali condizioni? Quali sono le condizioni ideali per poter dire di no?
Domande e temi attraverso cui lavoratori e lavoratrici dello spettacolo si interrogano sulle condizioni di esistenza ancor prima che sulle rivendicazioni settoriali. La questione del reddito ritorna e risuona, non è di certo la sola condizione di cui abbiamo bisogno, ma è la più urgente, quella che permetterebbe (fatto non secondario) di intraprendere sul serio una necessaria transizione ecologica della produzione, poiché libererebbe la società dal ricatto di un lavoro sempre più insostenibile dal punto ambientale e sociale.
Negli anni del boom economico fino all’incirca alla fine degli anni ’90, quando molte categorie lavorative godevano di garanzie contrattuali, il settore arte e spettacolo (musica, danza, teatro, arti visive…) navigava dai tempi dei tempi nella totale precarietà, una precarietà che spesso è stata romanticizzata dagli e dalle artist* stess* e che ha avuto un ruolo non da poco nell’estensione di tale condizione anche alle altre categorie. Lo spettacolo fungeva da avamposto dove organizzare la precarietà, e ridisegnare i rapporti sociali dentro uno schema di flessibilità e mobilità continua.
Naturalmente sappiamo che al di là della specificità dello spettacolo, questa condizione intermittente e precaria, portatrice di crescente vulnerabilità e ricattabilità, ora non riguarda più solo il settore arte e spettacolo, ma il mondo del lavoro in generale con tutta la rete della vita, l’ambiente e la natura non umana, soggetta a violente politiche estrattive. Tale consapevolezza dovrebbe farci adottare uno sguardo aperto e dotarci di un sentire comune. La discussione sul cambiamento climatico include il ripensamento dei termini stessi di disciplina attraverso alcuni punti che generano tale vulnerabilità in relazione all’ambiente naturale
1. Divisione del lavoro
2. accesso alle risorse e “femminizzazione della povertà”
3. Disuguaglianze di genere
4. Esclusione dai processi decisionali.
Tutti temi già affrontati nella scorsa edizione del Venice Climate Camp
Come artist*, lavorat* dello spettacolo, dell’arte del cinema abbiamo un percorso da fare assieme ad altr*, quello di aprirci come essere-umani-implicati-nel-mondo, gli esperimenti collettivi richiedono anche definizioni espanse di collettivi per includere altre esistenze umane e non umane. Isabelle Stengers ci suggerisce di operare verso “un’ecologia delle pratiche”, come luoghi di attaccamento, forza e trasformazione – che mettono in atto forme di “obbligo” creativo che possono avere la capacità di “rispondere a sfide e sperimentare cambiamenti”.
Il gesto estetico non adempie più a tutte le funzioni del politico, come rispondere allora alle sfide poste dal cambiamento climatico a partire da un ripensamento dei modi di produzione dell’industria cinematografica per esempio? Come attuare pratiche produttive intersezionali, inclusive, ecologiche? In che modo possiamo lavorare verso una cultura multipla della natura?
Quali sono le condizioni materiali dalle quali possiamo aprire tali prospettive?
Per questo invitiamo tutt* al Venice Clime Camp di Venezia, che si terrà al Centro Sociale Rivolta nelle giornate del 9 settembre per la manifestazione di lavorat* spettacolo alla Mostra del Cinema (Lido di Venezia), il 10 settembre per la riunione della rete professionist* dello spettacolo e alla giornata del 11 settembre in cui Adl Cobas (Associazione Difesa Lavoratori) promuove un’assemblea sui temi del lavoro e del reddito.
PRIME FIRME
S.a.L.E. DOCKS
IRI (Institute Of Radical Imagination)
INCOMMON (Università IUAV di Venezia)
IL CAMPO INNOCENTE
Art Workers Italia
Maria Roveran (attrice/cantante)
Stefano Scandaletti (attore/ regista)
Roberta Da Soller (attrice)
Silvia Calderoni (performer/ attrice/ DJ)
Nicoletta Maragno (attrice/ insegnate)
Giada Cipollone (ricercatrice)
Ilenia Caleo (attrice, performer, ricercatrice)
Marianna Andrigo (danzatrice/ performer)
Jessica Tosi (fotografa, videomaker)
Massimo Scola (attore)
Caterina Serra (scrittrice, sceneggiatrice)
Helga Greggio (attrice)
Giorgio Fandin (Radio Cooperativa)
Collettivo EXTRAGARBO