Il movimento di protesta inglese Extinction Rebellion ha comunicato che non farà più azioni eclatanti di protesta ma cercherà di convincere i cittadini con altri metodi. Creare disagio ai pendolari, incollarsi da qualche parte simbolicamente, farsi arrestare, forse non sono le strategie migliori per coinvolgere le persone in un cambiamento profondo, per quanto le ragioni di tali proteste possano essere condivisibili.
Ci sono strategie e azioni che hanno senso e altre che ne hanno meno o alcune sono addirittura controproducenti.
In fondo da ormai 50 anni Greenpeace realizza azioni eclatanti per avere visibilità; azioni anche lodevoli ma che non hanno spostato di molto la situazione.
Facciamo un ragionamento sull’impatto di queste azioni eclatanti e altro tipo di azioni, meno eclatanti ma a mio avviso più efficaci. Organizzazioni simili hanno attivisti anche a livello internazionale, hanno spesso, come nel caso di Greenpeace, un potere finanziario e di azione non indifferente grazie ai loro tanti sostenitori, inoltre coinvolgono molte persone nelle loro iniziative dimostrative. Immaginate se tutte le persone che si impegnano e supportano queste organizzazioni, si impegnassero in prima persona in progetti concreti di cambiamento, magari meno appariscenti ma più efficaci.
La cartina di tornasole sull’efficacia di questa o quella azione ce l’ha il fatto che, se facessimo un censimento di tutti quelli che compiono tali azioni o supportano queste organizzazioni e vedessimo come vivono quotidianamente, avremmo delle notevoli sorprese. Un po’ come vedere le manifestazioni oceaniche contro le varie guerre per il petrolio e poi sapere che chi fa queste passeggiate non sa nemmeno cosa sia un pannello solare o tiene i suoi soldi proprio nelle banche che finanziano più o meno direttamente i responsabili delle suddette guerre. Peggio ancora, magari fa un lavoro che direttamente o indirettamente supporta un sistema per il quale fare le guerre, rapinare altri paesi, inquinare l’impossibile è necessario e prassi normale. Magari con il suo lavoro è un ingranaggio della catena che produce “cinafrusaglie” a ripetizione che contribuiscono anche loro a peggiorare la situazione, però poi finito l’orario di lavoro, fa l’attivista.
Fare delle passeggiate, issarsi da qualche parte, srotolare striscioni qui e lì, può essere anche giusto e simpatico ma assai meno efficace rispetto al fatto di realizzare giorno dopo giorno, in tutti i propri gesti, quel cambiamento che si vuole vedere nel mondo. Ed è importante farlo iniziando proprio dalle cose che contano di più in assoluto cioè quale lavoro si fa, quale conto in banca si ha, come, dove e cosa si compra, se si fa dell’autoproduzione, quanto effettivamente si incide sul pianeta in ogni proprio gesto e soprattutto se si sta costruendo insieme agli altri un progetto collettivo di cambiamento.
Se si agisse più in questo modo, forse vedremmo meno striscioni colorati in giro e molti più progetti concreti, che poi sono quelli che incidono davvero. Ma queste significherebbe un impegno che forse è più ostico che non partecipare a campagne su questo e quello e poi fare più o meno il contrario nella vita di tutti i giorni.
Qui di solito l’obiezione è: ma si possono fare entrambe le cose. Forse, ma nessuno ha materialmente il tempo di fare entrambe le cose e difatti praticamente nessuno le fa: se si è impegnati nel cambiamento profondo, difficilmente si ha il tempo di fare anche il resto perché spesso non lo si ritiene così efficace.
Infine credo che sia sempre valido il grande pensiero di Richard Buckminster Fuller che diceva: «Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la (vecchia, nda) realtà obsoleta». E aggiungo io: non desiderabile.
Probabilmente in questo modo si aggregherebbero anche più persone attratte da un sistema diverso e alternativo che funziona e che dà opportunità rispetto alla sola protesta.