Il ballottaggio presidenziale svoltosi domenica 11 aprile ha visto vincere, un po’ a sorpresa, il banchiere dell’Opus Dei Guillermo Lasso, leader della coalizione CREO, al terzo tentativo di scalata alla poltrona presidenziale. La rimonta di Lasso è stata notevole nelle ultime settimane, arrivando a convincere a dargli fiducia oltre 4,6 milioni di ecuadoriani, vale a dire il 52,48% delle preferenze, oltre il doppio dei voti ottenuti al primo turno. Staccato di più di 400 mila voti Andrés Arauz, candidato “correista” che fino all’ultimo sembrava in grado di poter vincere.
L’analisi del voto è impietosa e non lascia spazio ad accuse di brogli, peraltro questa volta inesistenti. Il voto di domenica più che essere una vittoria di Lasso però è stata una sconfitta, chissà se definitiva, di Correa da cui Arauz non è riuscito ad affrancarsi totalmente nonostante nelle ultime settimane abbia teso la mano al movimento indigeno. Un voto contro un modello autoritario e clientelare che ha diviso la sinistra del paese e attaccato pesantemente il movimento indigeno. Senza andare troppo indietro nel tempo, il tentativo di strumentalizzare la rivolta di ottobre (2019) da parte del “correismo” e il successivo smarcamento dalle legittime richieste di giustizia per la dura repressione subita nelle piazze, sono state le gocce che hanno allontanato definitivamente due mondi che alla base sono anche simili ma che sono invece lontanissimi nei quadri dirigenti, sia per quanto riguarda i diritti civili, come per esempio sul diritto all’aborto di cui Correa è un fermo oppositore, sia per quanto riguarda le politiche estrattiviste e la conseguente repressione ai movimenti indigeni di resistenza.
Chi sembra aver “tenuto” è il movimento indigeno che, dopo aver lanciato l’appello per il voto nullo ideologico, aveva visto alcuni dirigenti prendere posizioni differenti smentendo la posizione ufficiale. Tra tutti, il presidente della CONAIE Jaime Vargas che aveva invitato a votare per Arauz mentre la ex candidata vice presidente di Pachakutik, Virna Cedeño, pochi giorni prima delle elezioni aveva annunciato il sostegno a Lasso in chiave anti Correa. Presa di posizione che le è costata l’espulsione dal partito Pachakutik. Il fronte per il voto nullo è stato sostenuto in particolare dalla base della CONAIE, dal presidente del Movimiento Indígenas Campesinos de Cotopaxi e tra i leader della “rivolta di ottobre” Leonidas Iza ma anche dallo stesso Pachakutik e da Yaku Perez. Confrontando i voti presi da Yaku Perez al primo turno (1,79 milioni) con i voti nulli del ballottaggio ((1,74 milioni), appare evidente che l’appello all’unità ha funzionato; va inoltre considerato che nelle roccaforti indigene in Amazzonia, Lasso ha ottenuto percentuali notevoli tali da far pensare che la differenza tra i voti di Yaku al primo turno e i voti nulli del secondo turno, sia andata proprio a Lasso e non ad Arauz.
Interessanti le dichiarazioni pubblicate dall’ex presidente Correa sui social. All’uscita dei primi exit-poll, Correa non ha esitato a dichiarare vincitore Arauz e a lanciare preventivamente l’allarme brogli. Con il passare delle ore però la situazione si è rovesciata e alla fine Correa è stato costretto ad ammettere la palese sconfitta e ad augurare buon lavoro al nuovo presidente Lasso, chiedendogli un’unica cosa: che termini il “lawfare” nei suoi confronti e nei confronti del suo ex vicepresidente Glas, in carcere per corruzione. Una richiesta che potrebbe anche essere accolta da Lasso, considerato l’appoggio datogli dallo stesso Correa nel sostenere il “sorpasso” in extremis a Yaku Perez al primo turno.
Per il nuovo presidente tuttavia non sarà facile governare. Innanzitutto, Lasso si porta in “dote” l’appoggio dato al governo di Lenín Moreno negli ultimi anni e soprattutto alla repressione messa in campo ad ottobre. Il suo governo inoltre dovrà vedersela con un parlamento che al 70% è composto dall’opposizione, espressione della volontà popolare sancita al primo turno. Oltre all’opposizione istituzionale dovrà vedersela inoltre con un’opposizione “callejera”, guidata dal movimento indigeno, molto agguerrita, che potrà mettere in difficoltà le scelte politiche neoliberiste dettate dal Fondo Monetario Internazionale al quale Lasso ha confermato il suo impegno. Importante da questo punto di vista sarà il prossimo congresso della CONAIE che si terrà il primo maggio e dal quale potrebbe scaturire il programma di lotta e resistenza al nuovo governo, oltre all’inevitabile espulsione del presidente Jaime Vargas per l’appoggio dato ad Arauz al ballottaggio.
A livello continentale la giornata elettorale dell’11 aprile ha smontato la narrazione retorica della nuova “ola” del progressismo nel continente mostrandoci un’avanzata inesorabile delle destre: oltre alla vittoria di Lasso in Ecuador, infatti, anche le elezioni presidenziali in Perù hanno favorito partiti conservatori come pure i ballottaggi per i dipartimenti di Chuquisaca, La Paz, Pando e Tarija in Bolivia hanno visto l’affermazione secca delle opposizioni al MAS. Un nuovo passo opposto che dimostra come l’instabilità e l’alternanza destra/sinistra al potere sia ormai la normalità, come suggerisce l’analista politico Raúl Zibechi. Chi si appresta a guidare questi paesi come Laso dovrà farlo tenendo presente che all’orizzonte si profilano proteste sociali importanti contro le politiche neoliberiste dettate dal Fondo Monetario Internazionale con la scusa della pandemia e di conseguenza dovrà essere pronto e freddo nel mettere in campo tutta la forza militare disponibile per reprimerle.