L’Ecuador rimane tra le braccia, armate, di Noboa

In un Consejo Nacional blindato e attorniata dai militari, la presidente dell’organo elettorale Diana Atamaint solo poche dopo la chiusura del voto ha letto il bollettino che ha sancito la “tendenza irreversibile” in favore di Daniel Noboa Azín: l’imprenditore e attuale presidente ha vinto il ballottaggio disputato domenica 13 aprile riconfermandosi presidente del Paese. La candidata della Revolución Ciudadana, Lucia González, è uscita nettamente sconfitta dalla contesa, nonostante l’accordo con i dirigenti del movimento indigeno e lo scarto minimo previsto dai sondaggi, e ha denunciato brogli elettorali chiedendo il riconteggio dei voti. 

Qualora dovessero essere confermati, i risultati appaiono chiari e non lasciano spazio ad interpretazioni: il popolo ecuadoriano ha scelto di rimanere tra le braccia, armate, di Daniel Noboa. Il presidente ha ottenuto infatti il 55,7% dei voti che corrispondono a oltre 5 milioni e 700 mila preferenze. Per Luisa González ha votato invece il 44,3%, vale a dire 4 milioni 550 mila preferenze. Sempre stando ai dati ufficiali degli oltre 13 milioni di ecuadoriani aventi diritto, solo 11 milioni si sono recati alle urne (2 milioni e 250 mila i non votanti) e di questi, il 7% circa ha preferito optare per scheda bianca o nulla. 

A stupire non è solo la forbice che separa i due contendenti (oltre un milione di voti il divario), ma soprattutto le differenze rispetto al primo turno quando Noboa ha ottenuto 4 milioni e 527 mila voti contro i 4 milioni e 507 mila di Luisa González. Per il riconfermato presidente dunque un incremento di quasi un milione e mezzo di voti mentre per la candidata correista un incremento di nemmeno cinquanta mila preferenze. 

Nonostante al momento non siano state presentate prove dei brogli denunciati da Luisa González, le elezioni si sono svolte in un clima di tensione totale, con la violenza e l’eterna polarizzazione tra correismo e anticorreismo a dominare la scena politica. Solo pochi giorni prima del voto, il Governo ha decretato lo “stato d’emergenza” in varie province del Paese, una misura che ha suscitato forti polemiche per il pericolo di lasciare il controllo delle operazioni di voto nelle mani dei militari. 

Un’altra misura contestata è quella relativa al divieto di utilizzare i telefoni cellulari all’interno dei recinti elettorali. Per gran parte dell’opposizione questa misura è stata considerata preoccupante per l’impossibilità di testimoniare eventuali brogli elettorali. Secondo i dati ufficiali, almeno 400 persone sarebbero state arrestate per essere stati scoperti in flagrante ad utilizzare i telefoni all’interno delle cabine elettorali. 

Che sia stata un’elezione altamente militarizzata tuttavia è chiaro: solo poche ore prima dell’annuncio dei risultati, la sede del Consejo Nacional Electoral di Quito è stata recintata col filo spinato e resa inaccessibile alle eventuali proteste. La stessa presidente del CNE, Diana Atamaint ha poi annunciato i risultati attorniata da militari con le armi in mano. Un messaggio inequivocabile e inquietante per il futuro a cui va incontro il Paese. 

Una prima e senza dubbio superficiale analisi del voto porta a chiedersi quanto abbia influito il voto del movimento indigeno: che direzione avranno preso gli oltre 500 mila voti portati in dote dalla candidatura di Leonidas Iza? Il candidato del movimento indigeno nei due mesi seguiti al primo turno si era speso per una riconciliazione tra il movimento indigeno e il correismo, con un discorso rivolto al futuro e cercando di superare le divergenze del passato. 

Per Iza questo era il momento di schierarsi contro il fascismo che avanza rappresentato da Noboa, per questo aveva stretto un accordo con Luisa González in cui la candidata del correismo si è impegnata, tra le altre cose, a rispettare il referendum ambientale sullo Yasuní e il Chocó andino e le consultazioni popolari, a difendere i diritti umani, ad abrogare i decreti di Daniel Noboa che attentano ai diritti dei popoli e dei cittadini indigeni, a non consentire la privatizzazione di settori strategici o imprese pubbliche ed evitare l’ampliamento della frontiera estrattivista. 

Tuttavia, ad un primo sguardo, sembra evidente che quei 500 mila voti del movimento indigeno non siano confluiti nella candidata del correismo, se non in minima parte. La frattura provocata dalle politiche estrattiviste e neoliberali di Rafael Correa, è dunque ancora forte all’interno delle organizzazioni indigene e nemmeno la leadership forte di Leonidas Iza è riuscita a ricucire. 

Il tema sicuramente centrale di queste elezioni è stato quello della spirale di violenza che sta martoriando il Paese: guardando i risultati, non c’è dubbio che a vincere sia stata l’opzione militarista, e questo nonostante la dottrina della “guerra interna” messa in atto da Noboa da più di un anno non abbia risolto il problema. Da quando si registrano i dati, il mese di gennaio 2025 è stato il più violento della storia dell’Ecuador, con 781 omicidi in un mese (1517 tra gennaio e febbraio). 

Tuttavia, con la scelta di Noboa sono a rischio anche le prospettive sociali ed ambientali, come la conquista del referendum sullo Yasuní e il Chocó andino di due anni fa. Ora con Noboa sarà ben difficile che i due ecosistemi siano difesi dallo sfruttamento ambientale. E sarà ben difficile difendere nelle piazze anche i diritti sociali, del lavoro e indigeni, con un passe militarizzato dove i gruppi criminali imperversano, dove lo Stato è responsabile di esecuzioni extragiudiziali e dove sarà rischioso organizzarsi, manifestare, resistere.

Ánimo país que ya vendrán días peores”.

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