Quando parliamo di “made in Italy” le immagini che si affacciano alla mente sono quelle di mucche “felici” in alpeggio, delle greggi “libere” in montagna, della pesca “slow”. Pensiamo alle filiere controllate e alle produzioni familiari, a pascoli verdi e all’aria sana di montagna. Tutto questo è il risultato di costanti mistificazioni pubblicitarie e mediatiche che, oltre ad averci insegnato che esistono modi eticamente accettabili per uccidere e consumare animali non umani, hanno creato una rappresentazione della zootecnia totalmente lontana dalla realtà: il 99,3% dei polli, il 99,3% dei maiali, il 93,3% dei bovini allevati in Italia non ha mai visto un prato verde neanche in fotografia.[1]
Lontanissimo da questi immaginari bucolici, quello della zootecnia e dell’agroalimentare è, invece, uno dei settori più redditizi in assoluto in termini di guadagni, uno dei peggiori in termini di impatto ambientale (secondo solo al settore energetico) e contribuisce in modo considerevole al disastro ecologico.
Ne è un esempio inquietante il Cremonini Group, gigante internazionale che si sta espandendo in maniera inarrestabile e conta di una rete di produzione, macellazione e distribuzione che gli conferiscono quasi un monopolio italiano.
Nel 1963 Cremonini inizia la sua attività nel settore delle carni bovine con la fondazione di Inalca e alla fine degli anni ’70 avvia una politica di diversificazione, espandendosi inizialmente nel settore contiguo dei salumi e successivamente in due mercati complementari: nel 1979, con l’acquisizione di MARR, si impossessa quasi per intero della distribuzione di prodotti alimentari al foodservice e nel 1981 fa il suo ingresso nel settore della ristorazione.[2]
Vengono così gettate le basi dell’attuale struttura del gruppo: produzione, distribuzione e ristorazione, che ancora oggi ne rappresentano le tre colonne portanti.[3]
Il Cremonini Group, che include le aziende Inalca, Montana, Manzotin, Fiorani, Ibis Salumi, IF&B (Inalca Food & Beverage), MARR, Chef Express e Roadhouse Restaurant, è la prima società privata in Europa nella produzione di carni bovine e prodotti trasformati a base di carne ed è presente con enormi stabilimenti di macellazione e lavorazione in Russia e in vari stati africani, oltre a sviluppare attività commerciali di import/export con 50 paesi in tutto il mondo.[4]
Nel 2020 ha realizzato ricavi per 3.408,2 milioni di euro, di cui 2.121,5 solo sulla produzione di carne: sono stati uccisi circa 1 milione e 500.000 bovini e 3 milioni di suini negli stabilimenti di Inalca, situati in tutto il mondo, ma soprattutto in Italia (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Pianura Padana). Con la propria rete ha pescato e commercializzato il corrispettivo di 154 milioni di euro di pesce di 400 varietà, per cui ogni automezzo Cremonini ha percorso 90.000 chilometri per la distribuzione al catering.[5] Pesci, crostacei e mitili vengono rastrellati a largo della costa sud-africana, marocchina, patagona, thailandese, ecuadoriana, senegalese e tunisina da enormi navi inquinanti, spietate, che depredano quellə pochə che riescono a sopravvivere in acque lontane, producendo un profitto annuale di 1.073,7 milioni di euro.[6]
Cremonini ci ha servito 80 milioni di caffè, ci ha fornito i nostri ristoranti preferiti, i distributori automatici e ci ha sfamatə su 140 diverse linee ferroviarie in Italia ed Europa.[7]
Nave ammiraglia del gruppo è Inalca, leader europea nella macellazione e lavorazione di carni bovine, il cui fatturato deriva in buona parte dalla macellazione, trasformazione e commercializzazione dei corpi degli animali, mentre l’8% dalla produzione e lavorazione di salumi e snack. In Italia l’ubicazione degli impianti di macellazione è nel cuore della Pianura Padana, dove si concentra oltre il 70% del patrimonio zootecnico italiano, ma quasi metà del fatturato è realizzato all’estero: Inalca è infatti presente in tutto il mondo con 28 piattaforme logistico-distributive di cui 7 in Russia, 17 in Africa dislocate in sei paesi (Angola, Algeria, Congo, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico e Costa D’Avorio), 2 in Kazakistan, uno in Canada e uno in New Jersey. Si vede come l’espansione capitalista di Inalca si muove velocemente soprattutto nei paesi africani, dove le associazioni sindacali, i gruppi in sostegno dei diritti animali e della tutela dell’ambiente sono più fragili.[8]
Ogni giorno, in decine e decine di diversi paesi, Inalca schiavizza, sfrutta, abusa, uccide e smembra milioni di animali non umani che, dopo una misera vita, assistono al massacro dei propri simili prima di venire sgozzati a loro volta da un sistema che li considera mere merci e fonti di profitto e non, come invece sono, individui che resistono e si autodeterminano. Un sistema specista che, non pago di aver fatto suo l’inferno della catena di smontaggio, contribuisce in maniera preponderante alla crisi climatica e ambientale. Un sistema che crea posti di lavoro alienanti e sempre più riservati alle fasce deboli della società. Un sistema al servizio del ciò che voglio, subito e a prezzo accessibile, un sistema che ha un potere inimmaginabile sul mercato, che non è poi così diverso da ENI o da altre aziende che stanno distruggendo vite e il pianeta stesso, verso le quali per qualche strano motivo si tende a provare maggiore ostilità, mentre nel silenzio generale la catena di smontaggio miete vite inesorabilmente.
*Assemblea Antispecista è un collettivo con struttura orizzontale, non gerarchica, che conduce campagne mirate alla liberazione animale.