L’intellettuale specializzato: ruolo politico e riconoscimento sociale, dentro e fuori l’Accademia

La figura dell’intellettuale è stata al centro della riflessione novecentesca sul rapporto tra politica e cultura. Da un lato, il venire meno dell’interazione tra istituzioni culturali (in primis scuola e università) e politico-sociali (partiti e sindacati) ha eroso la validità delle categorie critiche che definivano il ruolo degli intellettuali a partire da tale dialettica, si trattasse della visione weberiana dell’accademico “professionale” o della distinzione gramsciana tra intellettuali organici e intellettuali tradizionali. Dall’altro, i processi in atto da trent’anni nel campo della produzione del sapere a livello globale hanno avuto ripercussioni significative sull’università italiana, in particolare in conseguenza dell’entrata in vigore della Riforma Gelmini (L. 240/2010).

In conformità alle esigenze del capitalismo avanzato, le discipline diventano più distanti tra di loro e il sapere accademico si isola in un meccanismo che risponde prevalentemente a sé stesso e alle proprie logiche interne. Alla concezione settorializzata del sapere corrisponde la comparsa dell’intellettuale specializzato, un agente che svolge la funzione di garantire un preciso livello quantitativo di produzione del sapere senza poterne determinare i fini e, in una certa misura, neanche i metodi. Il suo ruolo sociale viene neutralizzato da un’idea di scienza astratta e autoreferenziale, che disconosce l’inevitabile porosità tra sapere e società circostante. La presunta imparzialità dei parametri entro cui realizzare la produzione scientifica ne sterilizza i risultati, determinandone a monte gli orientamenti e inibendo il libero avanzamento della ricerca.

L’intellettuale specializzato non è nella condizione di esprimere una posizione difforme da quanto il meccanismo della valutazione della ricerca ritiene accettabile preliminarmente. In alternativa, si fa portavoce esperto e riconosciuto di narrazioni ideologiche centrate su aspetti specifici della realtà, a sostegno degli interessi di determinate élite sociali, politiche e economiche, con l’intento di delimitare il campo della verità a loro esclusivo vantaggio. D’altronde, l’affiliazione politica dell’intellettuale specializzato strutturato si è concretizzata prevalentemente nella partecipazione di alcuni esponenti accademici agli organi tecnico-politici di consulenza di governi e sindacati, con una modalità distinta dal profilo dell’intellettuale organico a un partito, forma istituzionale, quest’ultima, investita da un’importante crisi che tocca la sua composizione e rappresentanza, così come l’organizzazione del dibattito interno e esterno al partito stesso. In realtà, la maggior parte degli intellettuali specializzati versa in condizioni lavorative precarie e incerte, ben lontane dalla loro irenica rappresentazione pubblica. Precarietà e isolamento dal contesto sociale rendono estremamente difficoltoso, se non impossibile, per un/a precario/a lavorare su contenuti di ricerca e metodologie in controtendenza rispetto al quadro finora delineato: dall’organizzazione interna dei singoli dipartimenti al sistema di valutazione nazionale, i parametri entro cui condurre la ricerca limitano significativamente l’indipendenza dell’intellettuale specializzato.

Questo sistema dimostra tutte le sue criticità dal momento in cui non riesce a svolgere una funzione autonoma rispetto al sistema sociale di cui pure fa parte, relazionandosi criticamente con i contributi provenienti dai saperi che si trovano al di fuori dell’istituzione universitaria, in particolare nei confronti dei movimenti sociali e del mondo della scuola. La vocazione dell’intellettuale rischia così di ridursi a mera tecnica professionale. La conoscenza sterilizzata del suo portato critico, andando incontro ai bisogni di riproduzione delle scuole di pensiero e agli interessi di potere interni all’accademia, ignora l’utile sociale, inteso come definizione e negoziazione di valori in seno alla comunità democratica, parimenti coinvolta nel processo di alienazione e mercificazione capitalistica, alla quale la produzione del sapere deve guardare, se non vuole rimanere avulsa dal contesto sociale.

Dall’autoreferenzialità accademica discende, sul fronte esterno, un diffuso anti-intellettualismo. Esso danneggia in primo luogo le classi e i gruppi subalterni, assai più che il prestigio dell’istituzione accademica (che non rappresenta in sé un valore), poiché l’anti-intellettualismo nutre la credenza in teorie autoritarie, fideistiche, dogmatiche e verticistiche secondo una visione gerarchica del mondo e dell’organizzazione sociale. Un’altra sfida per la produzione di conoscenza che riguarda la fiducia verso gli intellettuali è il rapporto nell’era digitale tra società e mass media, attraverso i quali è possibile reperire informazioni e confutare il sapere specializzato dell’accademia e di altre istituzioni, facendo venire meno il ruolo e la rilevanza di alcune professioni (ricercatori/trici, docenti, medici, ecc.). Anche a fronte di questi fenomeni, i saperi specialistici sono destinati a rimanere lettera morta se non ricercano un punto di incontro con le esperienze e i saperi extra-accademici per definire i valori dell’utile sociale nel nostro tempo.

A partire da questo quadro d’analisi, il convegno svoltosi presso l’Università di Pisa il 23 e il 24 giugno 2022, aperto anche alla discussione e all’interazione con le esperienze delle e degli non specializzate/i, ha messo a confronto contributi provenienti in particolare dall’ambito filosofico, politologico, sociologico e più latamente umanistico (storia contemporanea, storia delle idee, critica letteraria), per riflettere sui caratteri propri della produzione del sapere nell’età del capitalismo avanzato e sulla condizione storica, sociologica e epistemologica dell’intellettuale specializzato, con particolare riguardo per il caso italiano ma anche per prospettive comparatiste tra Italia e altri contesti geografici. L’analisi si è interrogata sull’elaborazione di una pratica di produzione e diffusione del sapere accademico alternativa al linguaggio dominante nel mondo della ricerca, di matrice scientifico-neopositivista e rispondente alle esigenze del profitto economico e della disciplina sociale che gli si accompagna.

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