
A meno di un mese dall’insediamento del Presidente Donald Trump, il Primo Ministro indiano Narendra Modi si è recato a Washington per un incontro ufficiale. A differenza degli ultimi incontri tra i due, l’evento si è tenuto a porte chiuse senza spazio per adunate oceaniche come a Houston nel 2016 Howdi Modi, o ad Ahmdebad in India nel febbraio 2020. Il meeting a porte chiuse nelle sale della casa bianca è stato focalizzato su dazi, difesa e immigrazione.
L’annuncio di nuovi dazi di Trump colpisce direttamente l’India, a cui è imputato un trattamento diseguale per la propria politica protezionistica sfavorevole all’economia americana. All’annuncio dei dazi, i titoli indiani hanno perso $180 miliardi in borsa mettendo in guardia gli analisti che hanno riscontrato che il subcontinente potrebbe diventare il paese più colpito dalle politiche doganali di Trump. La bilancia commerciale dei due paesi segna un avanzo positivo per l’India per circa $50 miliardi. I due leader hanno firmato un concordato d’intenti per arrivare ad un accordo commerciale complessivo entro l’autunno.
A facilitare le discussioni è stata l’affinità politica tra i due leader, con Modi che ha registrato assonanze tra la strategia di sviluppo Viksit Bharat 2047 ed il trumpiano MAGA: “Un’India sviluppata significa Make India Great Again, o ‘MIGA’. Quando gli Stati Uniti e l’India lavorano insieme – ‘MAGA’ più ‘MIGA’ – si crea una partnership ‘MEGA’ per la prosperità”. Per affermare questa grandezza è necessario completare il quadro delle relazioni energetiche, necessarie per l’espansione industriale.
Il progetto di costruire nuove centrali nucleari, su piccoli e grandi stabilimenti, con la possibilità di entrata di privati nella produzione, assieme all’incremento di importazioni di gas dagli USA, sono alcune delle chiavi di dialogo cercate dal governo Modi. L’esponenziale crescita industriale e demografica della quinta economia mondiale richiede un incremento di importazioni di combustibili fossili, dovuta all’impossibilità di produzione autoctona. Gli accordi sul gas sono di vitale importanza per l’India che dipende da fornitori esteri per l’85% del proprio fabbisogno di combustibili fossili.
Nell’ambito di politica estera e difesa i rapporti sono stati molto più distesi. Le aspirazioni dell’India di diventare potenza globale trovano nell’amministrazione Trump consenso, date le crescenti attenzioni verso la Cina in chiave di contenimento militare. Il rafforzamento dell’accordo di difesa indopacifica QUAD, con India, USA, Giappone ed Australia, è stato discusso dal ministro degli esteri indiano S Jaishankar nei giorni dell’insediamento al campidoglio di Trump. Stessa propensione è riscontrabile sulla questione russo-ucraina. L’atteggiamento di distensione nei confronti di Zelensky e Putin, con scambi diplomatici e personali, è condiviso in una politica di dialogo istituzionale di cui si registra la comune propensione a farsi promotori della fine del conflitto armato.
La sicurezza marittima è funzionale ad assicurare all’India il ruolo di nodo portuale-commerciale internazionale nel pacifico, per bypassare i porti di proprietà del governo cinese o di sue aziende come Cosco. La posizione strategica del subcontinente, assieme alla nuova installazione di porti gestiti in forma ibrida con aziende private, permette alle navi cargo di bypassare porti costruiti da Sri Lanka e Pakistan nell’ambito del progetto One belt, one road, cruciali nella circolazione di merci globali provenienti dall’area del sud-est asiatico.
Il progetto India-Middle East-Europe Economic Corridorvede coinvolti India, USA, Israele ed Italia, con gli ultimi due Stati sempre più legati a Modi e Trump in accordi di varia natura ed a livello ideologico. Lo scopo ultimo dell’accordo è di installare accordi commerciali complessivi su commercio, produzione ed infrastrutture strategiche come telecomunicazioni. Questo va a rinsaldare il Memorandum of Understanding firmato durante il G-20 presieduto dall’India nel 2023 tra India, USA, Emirati Arabi Uniti – firmatari dell’accordo di difesa comune I2U2 –, Arabia Saudita, Francia, Italia e Germania.
Stessa concordia è stata trovata sulla questione migratoria. L’inasprimento delle frontiere voluto dalla presidenza Trump ha avuto come primi effetti il rimpatrio di 104 immigrati irregolari indiani, caricati in catene su un C-17 dell’aviazione americana ed atterrato dopo 42 ore di volo all’aeroporto di Amritsar. Nessuna condanna da parte del governo indiano, anzi, la deportazione ha ricevuto il plauso del governo che ha firmato una dichiarazione congiunta per il contrasto dell’immigrazione clandestina ed il traffico di esseri umani. Diverso trattamento è riservato ai lavoratori specializzati negli USA con visto H-1B. Musk, ha più volte dichiarato di voler continuare la concessione di visti in quanto necessari all’industria hi-tech statunitense, in cui c’è carenza di forza-lavoro specializzata disponibile a lavorare a salari più bassi della media con la promessa di poter restare negli USA. Negli ultimi giorni la polizia indiana ha aperto un’indagine su 4300 visti, nell’ambito di un sospetto racket di visti H-1B falsi rilasciati ad immigrati non beneficiari.
L’immigrazione significa per i due governi sicurezza nazionale. La richiesta di Modi di assicurare alle patrie galere Tahawwur Rana, indagato per gli attacchi terroristici del 26 novembre del 2008 che provocarono 195 vittime, è stata accolta con favore. Più spinosa la spy story che coinvolge un funzionario dell’ambasciata indiana statunitense, coinvolto nel tentato assassinio del leader di Gurpatwant Singh Pannun, attivista Sikh per la creazione dello Stato separatista Khalistan – comprendente il Punjab indiano e pakistano. Il tentato omicidio ricalca l’assassinio di Hardeep Singh Nijjar, anch’esso nel movimento separatista, avvenuto in suolo canadese. Più dura fu la risposta di Trudeau nell’imputare le responsabilità ai servizi segreti indiani.
L’incontro rafforza l’idea di plutocrazia promossa dai due leader, caratterizzata da nazionalismo autoritario interno e potenziamento militare all’estero. Sullo sfondo dei rispettivi ritratti politici restano le ingombranti sagome degli oligarchi. Pesa la relazione tra Modi ed il miliardario Gautam Adani, secondo uomo più ricco del subcontinente. L’ascesa dell’oligarca coincide con quella di Modi, il cui trattamento di favore in concessioni economiche e di commesse statali è da tempo manifesto.
Adani non è ben visto negli USA in seguito all’inchiesta condotta dal gruppo Hinderburg su ricapitalizzazioni anomale atte a gonfiare il valore dei titoli azionari. L’inchiesta è stata più volte classificata come un attacco all’India da parte della maggioranza a sostegno di Modi. In una delle poche conferenze stampa rilasciate rigorosamente all’estero dal primo ministro indiano, ha fatto da scudo all’impresario “due leader di due Paesi non si riuniscono su questo argomento e non discutono di questioni personali”. Le dichiarazioni lasciano poco spazio all’immaginazione, rafforzando il rapporto di sinergia tra oligarchi e Stato che connota la destra hindu-nazionalista indiana e quella trumpiana.
* Luca Mangiacotti, è studente di Scienze Politiche all’Università di Firenze, attivista del collettivo eXploit-Pisa e collaboratore della rivista online DinamoPress, ha scritto per Jacobin Italia.