Mar Mediterraneo: 229mila tonnellate di plastica vi finiscono ogni anno

L’inquinamento da plastica nel Mar Mediterraneo ha raggiunto dimensioni a dir poco preoccupanti. Delle circa 229mila tonnellate di plastiche riversate ogni anno nel Mar Mediterraneo (come se ogni giorno 500 container scaricassero in acqua il loro contenuto), più della metà proviene da soli tre Paesi: il 32% dall’Egitto, 15% dall’Italia e 10% dalla Turchia.

Come spiegato in un dossier realizzato dal Wwf, in collaborazione con l’Istituto Alfred Wegener per le ricerche polari e marine (AWI) e nel quale si analizzano oltre 2.590 studi sull’inquinamento da plastica negli oceani, il Mar Mediterraneo è tra le aree che hanno già superato la soglia massima tollerabile di inquinamento da plastica oltre la quale esiste un rischio ecologico significativo, ossia 120mila oggetti per metro cubo. È stato calcolato, infatti, che tra il 21% e il 54% di tutte le microplastiche globali si trova proprio nel Mar Mediterraneo, mentre nelle acque del Mar Tirreno se ne trova la più alta concentrazione mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato. Fonti principali della plastica dispersa sono le attività costiere e una gestione inefficiente dei rifiuti, che peggiora ulteriormente in estate per l’aumento dei flussi turistici e delle relative attività ricreative. Seguono (con il 22%) le attività in mare con pesca, acquacoltura e navigazione che disperdono nasse, reti, cassette per il trasporto del pesce.

Peraltro, le microplastiche stanno contaminando l’intero pianeta: dalla vetta dell’Everest agli oceani più profondi. Ma se finora queste particelle, ingerite o inalate attraverso il cibo e l’acqua, erano state trovate nelle feci di adultie bambini, per la prima volta sono state rintracciate nel sangue  umano. In uno studio olandese pubblicato su Environment  International, gli autori le hanno trovate in quasi l’80% delle persone testate, dimostrando così che particelle di microplastiche possono “viaggiare'” nel corpo e depositarsi negli organi. Il loro impatto sulla salute è ancora sconosciuto, ma i ricercatori – si legge sul Guardian – sono preoccupati perché, in laboratorio, sono stati osservati danni alle cellule.

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