Scaricata la tensione della pandemia, il mondo della salute si muove e si mobilita per uscire dall’invisibilità prontamente costruita dalla retorica dell’eroismo e della prima linea.
Da anni conflittualità latenti sono state scaricate con promesse e contentini: ora, soprattutto una parte, quella più combattiva e giovane (e che forse mantiene ancora una unità categoriale, che non si da invece per altre figure lavorative della salute a causa di frammentazioni per appalti ed esternalizzazioni) decide di scendere in piazza per rivendicare diritti e tutele: quella degli specializzandi, ma più in generale, la filiera della formazione medica.
Gli antefatti: il dott. Donato, in una web-conference sul covid, assegnava la maggior parte della responsabilità della trasmissione del virus agli specializzandi, “rei” di avere una vita sociale molto più attiva dei colleghi strutturati, e quindi, oggettivamente, di essere stati veicolo del contagio. Come spesso accade, la scintilla ha incendiato la prateria. Gli specializzandi, letteralmente forza lavoro a basso costo (uno specializzando spesso svolge gli stessi compiti di un medico strutturato, con un monte ore esageratamente esuberante rispetto al previsto dal contratto di formazione specialistica) hanno reagito in maniera composta, unitaria e determinata. È stato il primo sciopero della storia italiana dei medici in formazione specialistica.
Una questione di dignità del lavoro, certo, ma che si porta dietro un problema ineludibile: la riforma del contratto di formazione specialistica. Gli specializzandi si sono trovati in prima linea ancora, come sempre, anche nella gestione dell’emergenza, e si sono ammalati perché convivono con altri colleghi per ridurre i costi della vita dati i bassi salari (anzi borse di studio!), perché senza DPI (alla faccia della retorica degli eroi), perché costretti a cambiarsi prima del turno in spazi angusti e inadeguati.
Da quello sciopero è nato un percorso che ha portato alla giornata di oggi 29 Maggio 2020.
Le parole in cui si sono riconosciuti sono state: “Medici in Mobilitazione Permanente: Uniti per il SSN”. La chiamata è stata generale: dagli studenti in medicina, agli specializzandi, ai camici “grigi” (medici laureati, non entrati nella formazione specialistica e con contratti altamente precari o in P. IVA) per ripensare non solo la formazione medica, ma anche il sistema sanitario nazionale in generale.
A Padova, in Piazza Garibaldi, hanno promosso un presidio statico con un flashmob simbolico di lancio dei camici a terra, a simboleggiare la dignità calpestata. Ci ha detto Gabriele Gazzaneo (Chi si cura di te? Padova): “chi ha lavorato ha sostenuto turni massacranti esposti ad un altissimo rischio, spesso senza DPI. Le dichiarazioni del dott. Donato sono state solo la punta dell’iceberg. Siamo considerati lavoratori per sopperire all’organico dell’ssn, ma studenti quando rivendichiamo diritti e tutele.” Ci sono stati molti interventi, tutti critici verso la gestione della sanità non tanto come tema di finanza pubblica, ma come nodo cruciale nei discorsi sulla cura collettiva, delle comunità, che non può essere demandata a modelli iperverticistici e senza interconnessioni territoriali.
Oltre alle rivendicazioni più strettamente settoriali (comunque importanti), sulla modifica della figura da studente a lavoratore del medico in formazione, al ripensamento del percorso formativo in toto del medico, a un nodo che ci pare centrale: quello della salute del territorio. Nelle piattaforme rivendicative dei soggetti promotori, infatti, salta all’occhio una spiccata propensione al superamento dell’ “istituzione totale” del megaospedale per acuti e malattie rare, di un investimento attrattivo nella salute e nella medicina di comunità e prossimità, che intenda la cura non solo come prestazione mercificata di “riparazione” di un corpo pronto al lavoro, ma di salute pubblica, di cura collettiva del corpo sociale, tramite il rafforzamento e l’attrattività delle professioni come il medico di medicina generale, i servizi di continuità assistenziale, la cura domiciliare, la psicologia di base ecc.
In tutta Italia ci sono state oltre venti piazze. Alcuni sono stati ricevuti dai rispettivi responsabili regionali e a Roma i rappresentanti dei vari sindacati/associazioni sono stati ricevuti a colloquio col ministro Manfredi.
“Bene che il ministro ci abbia ricevuto – dice Nicola Pelusi, Chi si cura di te? – ma le rassicurazioni non ci bastano. Il nostro obbiettivo minimo è il rapporto 1:1 tra laureati e borse di specialità, un vero contratto collettivo nazionale di formazione che definisca diritti e tutele sul lavoro, ma anche e soprattutto una ridefinizione del sistema sanitario nazionale, a partire dalla privatizzazione e dal modello ospedalocentrico”. Insomma, va potenziata la medicina sul territorio, sia in termini di assetti di potere, sia in termini di formazione medica che di continuità assistenziale.
Dicono di aver solo cominciato la mobilitazione, di sicuro questo campo sarà uno di quelli fondamentali nei mesi a venire nei rapporti materiali delle nostre città.