Dopo oltre dieci giorni di presidio permanente nello Zócalo capitolino dei genitori dei 43 ragazzi desaparecidos e di proteste degli studenti nelle strade della capitale con alcune azioni di forte impatto mediatico per chiedere al Presidente López Obrador di riprendere il dialogo, la notte di mercoledì 6 marzo Yanqui Kothan Gómez Peralta, studente della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos, è stato assassinato dalla polizia dello Stato del Guerrero nella strada che collega Chilpanchingo a Tixtla.
Era lo scorso 26 febbraio quando i genitori, in occasione dell’ennesima giornata di lotta come avviene il 26 di ogni mese da quasi dieci anni, hanno annunciato l’installazione di un presidio permanente nello Zócalo della capitale Città del Messico, proprio davanti al Palacio Nacional: obiettivo dei genitori quello di farsi nuovamente ricevere dal Presidente López Obrador dopo che quest’ultimo, negli ultimi mesi si è negato ad incontrarli e anzi, ha messo in dubbio i risultati ottenuti dalle contro inchieste, ha attaccato pesantemente le organizzazioni di difesa dei diritti umani che accompagnano i genitori e ha cercato, invano, di dividere e cooptare il comitato dei genitori e il movimento.
Ad accompagnare i genitori in queste nuove giornate di protesta, oltre alle organizzazioni sociali della capitale, sono arrivati anche gli studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos che hanno occupato – e poi rilasciato – addirittura dieci pullman per farsi trasportare nella capitale. In questi giorni di mobilitazione gli studenti sono stati protagonisti di radicali azioni di protesta contro le istituzioni, responsabili col precedente governo della sparizione forzata e del castello di menzogne chiamato “verdad histórica” e ora con l’attuale governo dell’insabbiamento delle prove per proteggere l’esercito.
Nella giornata di lunedì 5 marzo una manifestazione di protesta che ha percorso e occupato il Paseo de la Reforma, una delle principali arterie della città, si è conclusa con una sassaiola e con una camionetta che ha divelto un portone della sede della Fiscalía General de la Republica, il massimo organo di giustizia dello Stato che è a capo dell’inchiesta ufficiale. Due giorni dopo, una nuova mobilitazione proprio nello Zócalo, si è conclusa in modo simile, coi manifestanti che hanno usato un veicolo come ariete per sfondare la maestosa porta del Palacio Nacional.
Il radicale atto di protesta nei confronti di un governo che ogni giorno di più si allontana dal movimento, dopo averlo usato in chiave elettorale, ha ovviamente suscitato polemiche ed è stato utilizzato nuovamente dal Presidente per attaccare e criminalizzare tutto il movimento che chiede verità e giustizia per i 43 studenti desaparecidos. Il Presidente, a seguito di queste proteste, ha sì annunciato un incontro coi genitori nelle prossime settimane ma ha anche attaccato i manifestanti accusandoli di non essere parte del movimento e che è «un movimento contro di noi» interessato solo a provocare il Governo.
La notte seguente il tragico epilogo di questi dieci giorni di mobilitazione: secondo quanto riportano i media messicani un veicolo che trasportava due studenti non si sarebbe fermato a un posto di blocco della polizia statale del Guerrero lungo la strada che collega la capitale dello Stato Chilpanchingo con la cittadina di Tixtla nei pressi della quale sorge la scuola. Gli agenti avrebbero quindi aperto il fuoco, ucciso Yanqui Kothan Gómez Peralta e ferito gravemente un altro studente ora in stato di fermo in ospedale. Venuti a conoscenza dell’accaduto, gli studenti della scuola hanno raggiunto Chilpanchingo e sarebbero riusciti ad entrare in possesso di una pattuglia della polizia dandole successivamente fuoco.
Gli studenti della normal hanno poi emesso un comunicato nel quale responsabilizzano lo Stato messicano e chiedono sia fatta giustizia per lo studente ucciso. Il comunicato si chiude con un eloquente «per il governo è più pericoloso uno studente degli stessi delinquenti che camminano ovunque. Il governo intende silenziare la nostra voce. Pretende che abbandoniamo la ricerca dei nostri fratelli scomparsi. Tuttavia, gli diciamo che Ayotzinapa non tacerà mai, che continueremo a gridare più forte che mai che sono dei maledetti assassini».
Sull’assassinio hanno preso parola anche i genitori dei 43 studenti. Per Cristina Bautista, madre del normalista desaparecido Benjamín Ascencio Bautista, intervistata su Desinformémonos, «è un colpo in più per tutti noi. Un altro studente assassinato ci riempie di tristezza, di coraggio, di rabbia. Dicono che gli hanno sparato perché non si sono fermati. Uno studente viene ucciso a colpi di arma da fuoco perché non si ferma mentre i veri criminali passeggiano a Chilpancingo con le loro armi e non gli fanno nulla».
Un assassinio che allontana ancora di più le parti, il comitato dei genitori e il governo di López Obrador (che ricordiamo è – finalmente – giunto agli ultimi mesi di mandato). Da una parte infatti ci sono i genitori che con grandissima dignità non si piegano, non si vendono e continuano ad esigere quegli 800 fogli nascosti in qualche caserma dell’esercito che potrebbero portare a chiarire il caso e a scoprime dove sono gli studenti scomparsi. Dall’altra parte un governo sempre più ostile, deciso a difendere ad ogni costo l’esercito e i suoi generali e quindi a costruire una nuova “verdad histórica” per i propri scopi politici e per mettere a tacere quei genitori così forti, integerrimi e incorrutibili.
Solo così si possono capire i continui tentativi del Governo di dividere il comitato dei genitori, di reprimere senza pietà gli studenti della scuola e di attaccare e screditare l’avvocato Vidulfo Rosales e le organizzazioni di difesa dei diritti umani come il GIEI o il Centro Prodh. Secondo il Presidente, queste organizzazioni avrebbero manipolato i genitori e agirebbero per fini politici contro di lui e contro la “quarta trasformazione” e non per ricercare la verità e ottenere la giustizia nel caso. Accuse che si fondano sul niente ma che López Obrador ha promesso di chiarire e di documentare nel prossimo incontro coi genitori.
Con l’assassinio del giovane Yanqui il governo di López Obrador ha superato un limite pericoloso, rendendosi responsabile dell’assassinio di uno studente di quella scuola che aveva promesso di difendere in campagna elettorale. Un triste epilogo per un uomo e un partito che proprio sulla volontà di abbattere il muro di impunità, arrivando alla verità e rendendo giustizia alle vittime di palesi casi di ingiustizia (di cui il caso Ayotzinapa è un caso esemplare), aveva improntato il suo mandato ridando speranza a un Paese intero. Speranza che si è infranta in quello stesso muro di impunità mai realmente abbattuto, facendo diventare anche questo governo complice dell’ingiustizia e della violenza di Stato.