L’emergenza coronavirus non ha naturalmente risparmiato le migliaia di migranti in transito in Messico. La tanto decantata “democraticità” del virus “Covid 19” che sta colpendo il mondo intero si scontra ogni giorno con le notizie di ingiustizie e disuguaglianze che provengono dai “bassifondi”, dai barrios, dalle periferie urbane, dai luoghi di prigionia in rivolta, dalle frontiere militarizzate, dalle comunità indigene in resistenza di tutto il mondo.
Ingiustizie e disuguaglianze che si traducono sostanzialmente nell’abbandono dei poveri, dei migranti, dei lavoratori, dei carcerati, da parte degli Stati e nell’impossibilità da una parte di accedere a una sanità pubblica degna di questo nome, e dall’altra nella mancanza di aiuti concreti per affrontare un presente fatto di obblighi di restare a casa ma anche di bisogni di dover mangiare e sopravvivere. Così la “democratica” e allo stesso tempo ipocrita imposizione del restare a casa (dal momento che non è accompagnata da misure di sostegno economico), se per alcuni è poco più di una seccatura passeggera che costringe all’isolamento in lussuosissime case magari pure con giardino, con tutti i comfort e senza troppi pensieri, per la grande maggioranza della popolazione nel mondo si trasforma in un ostacolo ulteriore alla sopravvivenza vera e propria.
In Messico, tra i più colpiti da questa pandemia, ci sono le migliaia di migranti che attraversano il paese in fuga da fame, miseria e violenza dei paesi di origine, e alla ricerca di un luogo dove poter vivere con dignità. Già a fine marzo nel centro di detenzione Siglo XXI di Tapachula, si sono verificate le prime proteste dei migranti rinchiusi, preoccupati per le scarse condizioni igieniche in cui sono costretti a vivere e per l’avanzare dell’epidemia. A seguito dell’aggravarsi della situazione sanitaria nel paese e in tutto il continente e delle conseguenti misure contenitive decise dai governi, in particolare quella relativa alla chiusura delle frontiere, le condizioni sono anche peggiorate, tanto che moltissimi migranti si sono ritrovati ad essere prigionieri in Messico, impossibilitati a raggiungere gli Stati Uniti o a ritornare a casa e inseguiti e rinchiusi dalla “migra” messicana nei centri di detenzione.
Come ben sappiamo, a seguito degli accordi della scorsa primavera voluti da Trump, il Messico è diventato il luogo nel quale i migranti devono attendere la risposta ufficiale alla richiesta di entrata negli Stati Uniti. Lo scoppio dell’emergenza sanitaria, oltre alla chiusura della frontiera ha di fatto prodotto un aumento delle deportazioni verso il Messico dei richiedenti asilo. Come riporta Animal Politico, sarebbero già oltre 10 mila le persone deportate in Messico, messicani e centro americani. La risposta del governo messicano a questa imposizione è stata quella di accettare dagli Stati Uniti non più di 100 deportazioni al giorno e una volta in territorio messicano di rinchiudere le suddette persone in centri di detenzione.
Costretti a vivere in luoghi fatiscenti, in precarie condizioni igienico sanitarie, impossibilitati a uscire e con una pandemia in atto, i migranti hanno cominciato a protestare e ad esigere di essere rilasciati. Proprio per questo motivo a fine marzo si è verificata la rivolta al momento più drammatica nel carcere per migranti di Tenosique dove un cittadino guatemalteco, Héctor Rolando Barrientos Dardón, è morto in un incendio e altre 14 persone sono rimaste ferite, alcune gravemente. A seguito di questi drammatici eventi, l’albergue-rifugio “La 72” di Tenosique, assieme ad altre organizzazioni di difesa dei diritti umani e dei migranti, ha emesso un duro comunicato nel quale affermano che «la morte di un richiedente asilo nella stazione migratoria di Tenosique lo scorso 31 marzo è conseguenza della detenzione, della negligenza della INM (Instituto Nacional de Migración) e della partecipazione della Guardia Nacional». Il comunicato prosegue denunciando che «mantenere le persone in detenzione migratoria, in grave rischio di contagio da Covid-19, è una violazione dei diritti umani e un attentato alla vita delle persone migranti e di chi lavora nelle stazioni migratorie».
Qualche giorno più tardi, nuove rivolte sono scoppiate nei carceri per migranti di Hermosillo che ospitava oltre 300 migranti, nello stato di Sonora e in quello di Piedras Negras, nello stato di Coahuila dove un centinaio di deportati hanno fatto scoppiare un incendio nella struttura e hanno chiesto di poter rientrare nel proprio paese di origine. Dopo questi fatti, la strategia del governo messicano sembra essere cambiata: l’insostenibilità delle detenzioni ha fatto sì che moltissimi migranti deportati dagli Stati Uniti venissero accompagnati dal INM negli stati del sud, Chiapas e Tabasco in particolare, e in seguito abbandonati con un permesso di soggiorno temporaneo di 45 o 90 giorni nei pressi della frontiera col Guatemala.
Così racconta su twitter Ruben Figueroa, coordinatore del Movimiento Migrante Mesoamericano: «centinaia di persone di origine centro americana sono state abbandonate nel sud est messicano negli ultimi giorni, sono deportati in maniera rapida dagli Stati Uniti e portati dalla “migra” messicana negli stati del Chiapas e del Tabasco”, dove poi sono abbandonati. Denuncia confermata anche dalla Pastoral de Movilidad Humana
del Guatemala, organizzazione cattolica di difesa dei diritti dei migranti, che chiede «ai governi degli Stati Uniti, del Messico e centro americani di garantire il diritto alla salute e all’assistenza medica in questo tempo che affligge tutti. Chiediamo inoltre siano sospese queste deportazioni arbitrarie che sembrano più che altro azioni per non assumersi impegni e responsabilità».
Sulla questione è intervenuta anche Human Rights Watch, riconosciuta ONG che si occupa delle difesa dei diritti umani. Oltre alle già citate pessime condizioni sanitarie dei centri di detenzione, l’organizzazione denuncia anche l’uso eccessivo della forza da parte degli agenti messicani per sedare le rivolte nei centri di detenzione, il problema del sovraffollamento delle strutture, motivo di rischio in più di una possibile propagazione del virus, e l’arbitrarietà delle detenzioni che, come segnala l’ONU dovrebbero essere attuate come misura eccezionale e per un periodo di tempo il più breve possibile. Per José Miguel Vivanco, direttore per le Americhe di Human Rights Watch, «il presidente López Obrador non può sostenere che il suo governo rispetta i diritti umani dei fratelli migranti centroamericani e allo stesso tempo mettere in pratica politiche che violano apertamente gli obblighi giuridici internazionali assunti dal Messico per proteggere i diritti umani dei migranti. Dimostra così un disprezzo assoluto per la loro salute e dignità».
Disprezzo che in molte parti del mondo sembra essere l’unica risposta delle istituzioni nei confronti di chi più di tutti sta subendo le conseguenze drammatiche di questa pandemia.
** Ph. Credit Movimiento Migrante Mesoamericano