Perché in un festival di editoria indipendente si parla di distribuzione? Perché, oltre alla bellezza di leggere e scrivere libri, bisogna fare i conti con il “lato oscuro” della produzione e del mercato editoriale? Il panel “Guida galattica per lettorə, editorə e libraiə” tenutosi all’ultima edizione di Sherbooks Festival ha provato a rispondere proprio a queste domande, senza accomodarsi in risposte semplici, ma provando a trattare la questione sviscerandone le tante contraddizioni. Alla discussione hanno partecipato Davide Gallucci di Cronache Ribelli, Ilaria Leccardi di Capovolte, Francesco Quatraro di Effequ, Emmanuele Jonathan Pilia di D Editore, Matteo Pinna di Wom Edizioni.
Ad aprire la discussione è stata Luisa Longobucco, di Sherbooks: «Negli anni il nostro festival è cresciuto e ci siamo trovati sempre più a che fare con il mondo della distribuzione, un processo di cui spesso i lettori non hanno consapevolezza. Il claim di questo festival è “scegliere cosa e come leggere è una scelta politica” ed è per questo che troviamo essenziale aprire spazi di confronto che toccano trasversalmente i tanti soggetti che fanno parte della filiera del libro».
L’editoria italiana è trainata da pochi grandi gruppi che si spartiscono sia il mercato delle pubblicazioni che quello della distribuzione. Questi gruppi controllano direttamente una grandissima fetta di mercato, ma il vero problema è che hanno un controllo indiretto anche sulla restante fetta. Per far sì che i propri libri arrivino sugli scaffali delle librerie, le case editrici fondamentalmente devono stabilire un accordo con un distributore. La maggior parte delle librerie di catena, che costituiscono la parte più consistente del mercato, non accettano accordi diretti con gli editori e, anche nel caso delle piccole librerie, senza avere qualcuno che promuova i testi risulta complicato conquistare spazi per i libri dei piccoli editori.
Per il loro lavoro i distributori si tengono una fetta importante del prezzo di copertina del libro, e utilizzano in molti casi un sistema di preacquisto e poi reso che rischia di far collassare gli editori. I libri vengono infatti preordinati e, talvolta pre-acquistati, col 60% di sconto solitamente ma se poi il libro non viene venduto entro un certo periodo il distributore lo rende all’editore chiedendo il conto. Un editore può avere migliaia e migliaia di libri che girano in numerose librerie su spinta del distributore ma che poi non vengono venduti e gli tornano addosso come un macigno. Questo sistema non penalizza solo gli editori, in particolare i piccoli editori, ma anche i lettori.
Quali sono le maggiori criticità di questo sistema? Esistono alternative possibili, in un contesto economico generale che è dominato dal profitto e dalla rendita? «È importante chiedersi che significato abbia il concetto di “indipendenza” in un regime di oligopolio» dice Francesco Quatraro. «La gran parte delle realtà editoriali non ha un’indipendenza di fatto e proprio la distribuzione è un nervo scoperto. Ogni anno che passa vengono stampati più libri a fronte di una diminuzione dei lettori e questo già dovrebbe farci capire che c’è un problema strutturale. Per garantire una bibliodiversità reale, muoversi in un terreno di indipendenza significa rompere questa funzione quantitativa, per portarne avanti una qualitativa».
Non tutte le esperienze e le esigenze delle case editrici sono uguali e molti aspetti sono legati alle dimensioni e alla quantità di libri che si decide di pubblicare in un anno. «Come piccola casa editrice ci siamo affidati a un distributore piccolo, che ci chiede uno sconto sul prezzo di copertina» dice Ilaria Leccardi, «La criticità importante sta nella difficoltà di promuovere al meglio i titoli in un mercato saturo, che spesso mina la sostenibilità stessa di un progetto editoriale». Ci sono però delle sfide comuni da affrontare che riguardano soprattutto come creare canali comuni che sappiano oltre questo meccanismo.
Matteo Pinna insiste sul problema dell’oligopolio: «Mondadori e Messaggerie Italiane controllano di fatto il 95% della distribuzione ed inevitabilmente la struttura produttiva orienta quella culturale. Queste due entità, con la sponda di Feltrinelli, controllano distribuzione, librerie e la produzione stessa, perché sono anche case editrici». È così la struttura diventa monopolista e questo rende impossibile alle case editrici indipendenti di esercitare un’indipendenza reale, che necessariamente deve partire dal piano economico. «Svincolarci da questo sistema significa ribaltare rapporti di potere perché queste grandi strutture hanno anche il controllo del credito di tutte le case editrici ed è per questo che c’è una sorta di obbligo a pubblicare sempre più libri».
Viene introdotto così il tema della finanziarizzazione dell’editoria, ripreso anche da Emmanuele Pillia. «Il ruolo predatorio di Mondadori e Messaggerie, possiamo descriverlo facilmente con un esempio: si presentano alla libreria “X” sotto forma di “salvatori”, azzerando di volta in volta il debito ma prendendosi sempre più quote della libreria». Molte librerie indipendenti diventano così librerie da catena mascherate: «È una strategia praticata con sistematicità, che si sta estendendo anche fuori dall’Italia (Mondadori ha acquisito molti distributori nel Balcani e in Grecia)». Lo stesso sistema viene usato per le case editrici, ma le operazioni finanziarie riguardano tutta la filiera del libro. Pillia mette in evidenza in particolare due piani: la gestione dei dati (il sistema OPAC SBN e piattaforme ad esso connesse) e il controllo politico del mondo dell’editoria attraverso la scalata alle associazioni di settore.
C’è la possibilità di costruire modelli alternativi a tutto ciò. Nel suo piccolo ci sta provando Cronache Ribelli, una casa editrice senza distribuzione. «I nostri prodotti sono solo nelle librerie a cui spediamo direttamente i nostri libri. Per avere maggiore impatto, abbiamo usato la forza del nostro progetto sui social network, e il risultato è che la maggior parte di vendite provengono direttamente sullo shop del nostro sito. In questo modo siamo stati in grado di distribuire più di 30 mila libri». Davide Gallucci ci tiene però a rimarcare che non si tratta di un vero e proprio “modello”, ma capire come aggirare collettivamente questa presa che si serra sempre di più.
Tra le domande emerse nel corso della discussione con il pubblico presente, in diversi hanno posto l’accento sul ruolo della comunità lettrice: come il monopolio della distribuzione impatta su lettrici e lettori? Quali scelte reali questi possono fare per aggirare questo sistema?
Secondo Ilaria Leccardi è un bene che il fenomeno lo si legga in tutta la sua complessità. «La sfida è immaginare possibilità nuove, anche a partire dalle tematiche che come case editrici indipendenti affrontiamo. Come Capovolte abbiamo ideato lo scorso anno il workshop “Memorie sotto pelle” basato sulla decolonialità dei saperi, che punta proprio a uscire dalla logica della lettura individuale, promuovendo l’idea di una lettura condivisa».
Ciò che ci lascia questo incontro è proprio la necessità di aprire nuovi ed alternativi spazi di condivisione e circolazione dell’oggetto libro, che possano valorizzare non tanto l’oggetto in sè come bene di produzione cartaceo, quanto l’oggetto astratto, i contenuti e il significato culturale e politico che ha. Spazi indipendenti e creati dal basso come Sherbooks Festival, in cui i lettori e le lettrici e tutte le figure professionali che ruotano intorno al libro possano trovarsi e dialogare per far vivere anche nel suo ruolo sociale e politico l’editoria indipendente. Per questo l’incontro Guida galattica per lettor3, editor3 e libra3 è solo un primo spunto di riflessione sul tema, che possa aprire una riflessione in Italia e offrire occasione di confronto e di creazione di alternative nel mondo degli addetti ai lavori.