«Il cibo artificiale è una tendenza sempre più comune che consiste nello sviluppo di nuovi prodotti alimentari sintetici, ultra processati, attraverso l’utilizzo delle più recenti tecnologie in campo di biologia sintetica, intelligenza artificiale e biotecnologia. Questi nuovi alimenti cercano di imitare e rimpiazzare prodotti di origine animale, additivi alimentari e quegli ingredienti considerati costosi, rari o causa di questioni etiche sociali (come nel caso dell’olio di palma) – spiegano da Navdanya International – Aziende biotecnologiche e giganti dell’agroalimentare considerano l’ingresso nel promettente mercato del consumo “green” come un’opportunità, ed è per questo che la vendita di questi prodotti è indirizzata a nuove generazioni di eco-consumatori sempre più critici nei confronti della triste realtà che circonda l’industria del cibo. Di conseguenza, hamburger e salsicce non a base di carne, così come analoghi del formaggio, prodotti caseari, pesce e altri, stanno invadendo il mercato, dalle catene di fast food ai negozi di alimentari locali».
«Sebbene vengano pubblicizzati come ‘ecologici’, ‘sani’ e ‘sostenibili’, questa categoria di prodotti non potrebbe essere più lontana da questa descrizione in quanto raramente affrontano il problema posto dall’agricoltura industriale e le conseguenze su ambiente e salute – prosegue la nota di Navdanya – Conseguenze che sono largamente attribuibili alla stessa cerchia di imprenditori che finanziano lo sviluppo dell’industria biotecnologica. La realtà è che questi prodotti rappresentano la prossima generazione di cibo spazzatura ultra processato e la loro produzione non fa altro che consolidare gli attuali modelli di agricoltura industriale. Questo perché dipendono da filiere di produzione globalizzate, prodotti agrochimici, OGM, monocolture e addirittura dal tradizionale settore delle produzioni animali. In altre parole, il cibo sintetico sta velocemente diventando l’arma attraverso la quale i giganti del cibo mantengono potere e profitti senza dover affrontare le conseguenze della devastazione ecologica, del peggioramento della salute umana e dell’aggravarsi del cambiamento climatico».
«Una delle principali differenze tra il convenzionale cibo spazzatura e il nuovo cibo sintetico si trova nell’uso di tecnologiche innovative come la biologia sintetica e l’ingegneria genetica – aggiunge ancora Navdanya – La biologia sintetica è un tipo di biotecnologia all’avanguardia capace di creare organismi e microorganismi completamente nuovi attraverso modificazione genetica o progettazione di strutture interne di un organismo così da riconfigurarne la genetica. Inserendo nei microorganismi parti di DNA proveniente da altri organismi, o riconfigurandone l’informazione genetica interna, queste nuove tecnologie fanno sì che microorganismi, cellule e altre forme di materiale genetico inizino una processo di ‘fermentazione’ e riproduzione creando ingredienti completamente sintetici. L’utilizzo strategico del termine ‘fermentazione’, nell’ambito della biologia sintetica, crea una falsa analogia tra forme tradizionali naturali di fermentazione microbica e le nuove biotecnologie artificiali».
«Queste tecnologie vengono utilizzate da aziende come Beyond Meat, Motif Foodworks, Ginkgo Bioworks (creatrice di microbi ad-hoc), BioMilq (produttrice di latte materno coltivato in laboratorio), Nature’s Fynd (che offre prodotti alternativi a carne e latte cresciuti dai funghi), Eat Just (produttrice di sostituti delle uova a base di proteine vegetali), Perfect Day Food (creatrice di prodotti lattiero-caseari coltivati in laboratorio) o NotCo – si legge nella nota – Aziende come la Beyond Meat e Impossible Foods usano una sequenza di DNA codificante, proveniente da semi di soia o pisello, per creare un prodotto che ha le stesse caratteristiche organolettiche della carne vera. Anche imitazioni di formaggi e altri alimenti lattiero-caseari stanno iniziando a comparire. Un esempio è rappresentato dell’azienda Formo che sfrutta la fermentazione sintetica allo scopo di sintetizzare proteine del latte impiegate nella produzione di mozzarella e formaggi di origine non animale. Gli additivi che vengono aggiunti a questi prodotti fanno tuttora affidamento sull’estensiva lavorazione tradizionale delle colture OGM. E’ il caso, per esempio, di Impossible Burger: creato quasi esclusivamente utilizzando grano, mais, soia, cocco e patate prodotti industrialmente, con l’aggiunta di ingredienti risultato di bioingegneria. Proteine e carboidrati ottenuti da colture convenzionali sono estratti chimicamente, cotti ed estrusi utilizzando macchinari che li mescolano e rimodellano in una forma simile alle fibre muscolari, permettendo così all’azienda produttrice di imitare, in maniera convincente, una gamma di prodotti a base di carne».
Carne e prodotti lattiero-caseari sintetici provenienti da coltura cellulare
«Carne e prodotti lattiero-caseari coltivati in laboratorio vengono commercializzati come l’ennesima alternativa ai prodotti di origine animale e sono molte le aziende che investono nelle colture cellulari o nella ‘fermentazione’ del cibo a partire da vere cellule animali. Nel caso della carne coltivata, il tessuto ottenuto in vivo dai bovini viene combinato con cellule staminali e cresciuto in laboratorio per trasformarsi in fibre muscolari. Una volta ottenuto un numero sufficiente (all’incirca 20.000), queste fibre muscolari vengono colorate, macinate, mischiate con del grasso e modellate a forma hamburger – spiega ancora Navdanya – Un esempio è quello di Upside Foods (precedentemente nota come Memphis Meats) che produce carne sfruttando cellule animali auto-riproducenti. Alla base di questo approccio ci sarebbe il tentativo di eliminare il bisogno di allevare e macellare un alto numero di animali, riducendo preoccupazioni di tipo etico ed ecologico lungo la filiera di produzione. Anche se la carne coltivata in vitro non è ancora commerciabile, aziende come Upside Foods stanno investendo somme considerevoli in ricerca e sviluppo per far sì che questi prodotti, a lungo termine, possano rappresentare una valida alternativa a buon mercato, alla carne commerciale. L’azienda canadese Better Milk, per esempio, sta investendo ingenti capitali nella produzione di latte vaccino partendo da cellule delle ghiandole mammarie bovine. L’idea che migliorare il cibo creato in laboratorio farà di questo un’opzione economicamente conveniente è tutto ancora da vedere. Un articolo pubblicato da ‘the Counter’ riflette sui limiti posti dal potenziale trasformativo di questa tecnologia emergente, sottolineando innumerevoli ostacoli che le aziende, che si occupano di carne coltivata in laboratorio, devono affrontare. Attraverso una rigorosa analisi dei dati scientifici, questo articolo dimostra che la carne coltivata in laboratorio dà luogo a molte inefficienze e problemi di adattabilità, rappresentati dalla necessità di utilizzare macchinari sofisticati, limitazioni strutturali derivate dal metabolismo cellulare e immunità contro contaminanti esterni, oltre a richiedere una serie di processi complessi. Questi fattori contribuiscono alla mancanza di competitività a livello di prezzi se si paragonano ai prodotti contenenti carne convenzionale a cui vogliono sostituirsi. Questo perché la produzione di carne coltivata è nettamente inferiore a quelle ottenuta attraverso la macellazione convenzionale. Specialmente quando il numero delle strutture necessarie alle colture cellulari non è mai stato disponibile».
Chi c’è dietro il cibo artificiale e chi ne trae vantaggio?
«Negli ultimi due anni, insieme a una inarrestabile comparsa di nuove startup, il mercato delle alternative vegetali (detto anche cibo ‘plant based’) e dei prodotti sintetici ha registrato una rapida crescita grazie al sostegno finanziario aumentato esponenzialmente nel 2020. The Good Food Institute, una lobby che appoggia l’adozione di alternative ai prodotti origine animale, ha riportato che negli Stati Uniti il mercato ‘plant based’ e già cresciuto da 4.9 miliardi di dollari nel 2018 a 7 miliardi di dollari nel 2020, con una crescita complessiva delle vendite, in dollari, del 43% negli ultimi due anni. Analogamente, anche il mercato della carne ‘plant based’ è in forte espansione, avendo raggiunto il valore di 1.4 miliardi di dollari con una crescita del 72% nel 2020. Beyond Meat è stato uno dei titoli azionari più caldi del 2019 registrando una crescita del 859% durante i primi tre mesi di vita – prosegue ancora Navdanya – L’industria della biologia sintetica non è certo da meno in quanto ha raggiunto i 12 miliardi di dollari negli ultimi dieci anni e si prevede che il suo valore duplici entro il 2025, raggiungendo 85 miliardi di dollari nel 2030. Aziende specializzate in questo settore hanno aumentato di sei volte il loro valore negli ultimi dieci anni. E’ evidente come l’industria agroalimentare tragga profitto da questo mercato redditizio in rapida espansione. Di conseguenza, non dovrebbe sorprendere che molti colossi dell’industria della carne come Tyson Foods, Cargill, Nestlé e Maple Leaf Foods stiano investendo in questo fiorente mercato. Per di più, grandi investitori del settore delle tecnologie digitali, come il fondatore di Microsoft Bill Gates e Jeff Bezos di Amazon, si sono uniti a startup e aziende biotecnologiche che perseguono innovazione in questo settore, fornendo un importante sostegno finanziario. Bill Gates da solo ha già investito 50 milioni di dollari in Impossible Foods e finanziato Beyond Meat, Ginkgo Bioworks, BioMilq, Motif Foodworks, C16 Biosciences e Memphis Meats (diventata Upside Foods) attraverso il suo fondo di investimenti chiamato ‘Breakthrough Energy Ventures’. Altre note startup finanziate dal Bill Gates includono- Eat Just (produttrice di sostituti delle uova a base di proteine vegetali), Perfect Day Food (che crea prodotti lattiero-caseari in laboratorio) e NotCo (produttrice di cibo ‘plant based’ utilizzando IA), giusto per citarne alcune. Visto il grande successo dell’industria ‘plant based’, non c’è da stupirsi se aziende come la Bayer, che si occupa di miglioramento genetico delle piante, riconosca in questo mercato una grande opportunità di investimento ed espansione. Come afferma Bob Reiter, capo di ricerca e sviluppo della divisione Bayer Crop Science, in riferimento alle aziende produttrici di carne vegetale: “Stanno ottenendo diversi tipi di colture e questo potrebbe rappresentare un’opportunità anche per noi che siamo un’azienda che si occupa di miglioramento genetico delle piante”».
Una scelta ecologica o un lupo travestito da agnello?
«Molti studi stanno mettendo in discussione la presunta sostenibilità di questa industria che, ad oggi, comprende una miriade di nuove startup ‘green’ – continua l’intervento di Navdanya – Non c’è da stupirsi se il fenomeno del cibo sintetico cresce di pari passo con questioni di origine etica relative all’industria della carne e lattiero-casearia. Appena l’industria agroalimentare si è sentita minacciata dall’apatia dei suoi consumatori, ha cercando di sfruttare il nuovo mercato, fatto di consumatori consapevoli in cerca di alternative eco-friendly, per evitare di perdere profitti. Per questo motivo, la promozione di cibo sintetico non è altro che un’ingegnosa tattica di mercato atta a ridirigere i guadagni verso le stesse vecchie aziende facendo passare le distruttive tecnologie della Rivoluzione verde, combinate con nuove biotecnologie, per ‘alternative sostenibili’. Il potenziamento del modello di produzione industriale diventa evidente se si guarda agli ingredienti che compongono i cibi sintetici. Composti primariamente da piselli, patate, soia, cocco e mais coltivati in maniera tradizionale, questi alimenti fanno affidamento su trasformazioni intense, monocolture, prodotti agrochimici, OGM, deforestazione e una filiera globale estremamente inquinante. Eppure le aziende continuano a sostenere che la produzione di carne ‘plant base’ richieda meno acqua, meno terre e produca meno emissioni di gas serra rispetto alla carne di origine animale eliminando, allo stesso tempo, ogni timore circa il benessere animale. In questo modo aggirano deliberatamente le conseguenze dannosi della filiera di produzione industriale dalla quale dipende la produzione dei loro stessi prodotti. Per giunta, la carne prodotta in laboratorio richiede un numero elevato di bioreattori e l’utilizzo di attrezzature di plastica sterile monouso. Per adeguare la produzione all’attuale consumo di carne, ad esempio, gli impianti di produzioni dovrebbero aumentare di decine di milioni con un maggiore consumo di plastica e di energia richiesta; al contempo dipendendo ancora da modelli di agricoltura industriale globalizzata e filiera di produzione tradizionale. Va considerato che per la messa in funzione dei bioreattori serve un elevato numero di nutrienti che permette ad una cellula di crescere e riprodursi. Data la limitata produzione di singole formulazioni di aminoacidi adatti a questo tipo di colture, sarebbe vantaggioso ricavare il completo profilo aminoacidico, necessario alla crescita cellulare, dalla soia. Questo però non farebbe altro che aumentare la potenza distruttiva della coltivazione della soia. In maniera ironica ed agghiacciante al tempo stesso, anche altri costituenti del brodo di coltura cellulare derivano direttamente dall’attuale allevamento industriale. Alcuni di questi provengono da sangue di feto di vitello ottenuto macellando bovine gravide. Come anche cellule staminali necessarie alla riproduzione di cellule in vitro. Sorge spontaneo chiedersi se la crescita di carne coltivata in laboratorio sia possibile senza macellazioni di massa di feti bovini. E ancora, può la carne coltivata in vitro essere la soluzione al benessere animale e al degrado ambientale se è completamente dipendente da ingredienti derivati dalla produzione industriale di carne bovina? La raccapricciante realtà sembra provare il contrario. Analoghi della carne e carne coltivata in vitro producono emissioni di carbonio maggiori di quello che siamo portare a credere. Un recente studio ha dimostrato come l’energia derivata da combustibili fossili, richiesta per la produzione di carne in vitro, non è sostenibile perché sorpasserebbe di molto quella emessa da allevamenti suini e avicoli. L’energia richiesta per la produzione di cibo sintetico è considerevole e sono diverse le fasi di produzione in cui è richiesto un elevato apporto di energia; tra queste la messa in azione dei bioreattori, i controlli di temperatura, di aerazione e i processi di miscelazione. Pertanto, sulla base di questi elementi, il settore non può di certo affermare che la produzione di carne sintetica sia una pratica intrinsecamente più sostenibile rispetto a quella tradizionale. Studi come questo sottolineano che l’ampliamento della produzione di carne sintetica non condurrà verso una società a zero emissioni di carbonio, soprattutto se si considera la portata degli attuali livelli di consumo, a cui questo nuovo settore sta cercando di sostituirsi».
Il cibo ‘plant based’ è più sano? Non se è ultra processato
«E’ ormai noto come la lavorazione industriale riduca le proprietà nutritive del cibo rendendolo nocivo alla salute umana e, secondo un recente rapporto, l’ultima generazione di cibo spazzatura di origine sintetica non fa eccezione – scrivono ancora da Navdanya – Per permetterne la produzione, proteine proveniente da colture intensive come quelle della soia, del pisello e della patata vengono estratte chimicamente, aggiunti aromi, additivi alimentari e, a rendere il tutto più preoccupante, vengono mischiati ingredienti artificiali geneticamente modificati per cercare di ottenere un gusto e consistenza simili a quelli dei veri prodotti animali. Rispetto al cibo naturale, quello ultra processato contiene livelli di sodio, di grassi ed esaltatori di sapidità elevati che ne aumentano il gusto, questo fa sì che si possa classificare come cibo spazzatura. Inoltre, i cibi ultra processati contengono ingredienti raffinati che mancano di nutrienti normalmente presenti nei prodotti di origine animali, come lo zinco, il ferro e la vitamina B12. I nutrienti e altri ingredienti fortificanti aggiunti alla carne sintetica in un secondo momento non vengono assorbiti in modo altrettanto efficace rispetto ai prodotti naturali che non hanno subito trasformazioni industriali, causando così interferenze dannose con altri nutrienti. Il nostro corpo, pertanto, trae meno benefici da questi alimenti che non dovrebbero essere considerati parte di una dieta nutriente ed ecocompatibile».
«Anche la sicurezza alimentare di questi nuovi ingredienti e additivi sta suscitando grande preoccupazione. Ad esempio, per far ‘sanguinare’ l’Impossible Burger come fosse di carne vera, viene aggiunto un complesso eme ottenuto sinteticamente dalla leghemoglobina di soia e colorato con lievito geneticamente modificato – si legge ancora nell’articolo di Navdanya – La scelta di questo ingrediente brevettato da poco è a dir poco controversa. Il Center for Food Safety sostiene che l’Agenzia Americana per gli Alimenti e i Medicinali (FDA), nel 2019, abbia condotto verifiche inadeguate prima dell’approvazione dell’additivo e, a seguito di una sperimentazione animale durata pochissimo, sono state riscontrate diverse potenziali reazioni avverse come aumento del peso corporeo, cambiamenti ematici indicativi di stati infiammatori o nefropatie, interruzione del ciclo riproduttivo e possibili segni di anemia. Malgrado ciò, i prodotti a marchio Impossible Food, contenenti il gruppo eme geneticamente modificato, sono presenti sugli scaffali di molti supermercati americani come l’esempio lampante della mancanza di test e regolamentazione per questi nuovi prodotti e tecnologie. Il glifosato, un pesticida altamente tossico, è stato ritrovato nei prodotti Impossible Burger in quantità sufficienti da indurre una serie di effetti negativi sulla salute. Il che senza considerare effetti sinergici che il pesticida potrebbe avere con tutta una serie di additivi tossici, aggiunti dalle aziende per mascherare i sapori. A questo vanno aggiunti gli effetti ancora sconosciuti che gli additivi risultato di tecnologie di biologia sintetica hanno sulla salute umana».
Brevetti vantaggiosi
«Il cibo sintetico rappresenta l’ennesimo sistema a scopo di lucro utilizzato da miliardari e società per azioni, per sfruttare al massimo tecnologie proprietarie e aumentare il controllo sulle risorse globali – prosegue l’analisi dell’associazione Navdanya – Questo si riflette nell’incessante caccia delle aziende a brevetti di qualsiasi tipo: da nuovi processi di biologia sintetica a ingredienti geneticamente modificati come la leghemoglobina di soia o processi di testurizzazione delle proteine fino a brevettare l’utilizzo di materiale genetico come materia prima. Come dimostrato nel report ‘Gates to a Global Empire’, pubblicato da Navdanya International, 27 brevetti sono stati assegnati ad Impossible Foods, e più di 100 brevetti di prodotti pensati per sostituire la carne, dal pollo al pesce, sono in attesa di essere sperimentati. Il sistema di brevetti che sta alla base del movimento del cibo sintetico, considera animali e natura come elementi usa e getta, facilmente sostituibili da tecnologie di laboratorio più efficienti. Questo modo di pensare è estremamente pericolo perché riduce gli animali a mera merce all’interno del sistema di produzione, ignorando completamente la relazione che l’uomo ha con l’ambiente e aumentando il divario tra noi e la natura, tra il cibo e la vita. Cedere il controllo del cibo ad una manciata di multinazionali non solo ci rende sempre più dipendenti da loro, ma può portare dannose conseguenze sul sistema agroalimentare locale ed erodere la sovranità alimentare degli agricoltori biologici».
L’appetito internazionale per il cibo ultra processato
«Oltre ad aver invaso i nostri piatti e la nostra dieta, il cibo sintetico sta scalando le vette delle amministrazioni globali. E’ apparso lampante sia all’ultimo Vertice Mondiale sui Sistemi Alimentari (UNFSS) che alla Conferenza sui cambiamenti climatici (COP26) delle Nazioni Unite – prosegue Navdanya – Entrambi gli eventi sono vetrine utilizzate dai giganti del settore agroalimentare per rivelare le loro vere intenzioni, vale a dire mantenere l’attuale sistema invariato. Come anticipato, entrambe i vertici hanno rappresentato un’ennesima occasione persa per affrontare temi come gli squilibri di potere all’interno del sistema alimentare e pratiche agricole sostenibili, come l’agroecologia, relegate ad un ruolo marginale. Questo ha scatenato reazioni negative da parte delle associazioni ambientaliste e organizzazioni della società civile. L’intenzione di mantenere invariata la situazione, facendo affidamento su un modello di agricoltura industriale ormai fallito permettendo agli attori principali di continuare a dettare le condizioni, è stata chiaramente espressa nei temi e nelle proposte durante entrambe gli eventi internazionali. A riprova di quando affermato, sia durante l’UNFSS che il COP26, c’è stata un’esplicita promozione di cibo ‘plant based’ artificiale e ultra processato, e si è parlato di successo nella ‘diversificazione proteica’ e della ‘dieta sostenibile’. Durante il COP26 il “Plant Based Treaty” è stato promosso e sostenuto dai partecipanti, e durante l’UNFSS iniziative simili sono state promosse all’Action Track 2 guidata dalla Nestlé, dalla Danone e dalla controversa organizzazione EAT».
Quale futuro per il nostro cibo?
«E’ estremamente pericoloso quando questi tipi di discorsi vengono trattati a livello di amministrazioni globali – si legge ancora – Specialmente quando stanno a significare un ulteriore spostamento di attenzione e risorse lontano dagli agricoltori biologici e i mercati locali, verso una manciata di aziende biotecnologiche. Nonostante i sostenitori di questo tipo di cibo dichiarino che la disponibilità di alternative sintetiche può essere una soluzione alla salute animale e a molte delle crisi attuali, l’etichetta ‘plant based’ significa ben poco se basata su un modello industriale, di monocolture, di OGM, pesticidi e altre pratiche agricole distruttive che portano alla perdita della biodiversità, alla degradazione ecologica e al peggioramento della salute umana. Il cibo sintetico non è altro che una soluzione ingannevole che punta a rimpiazzare alcuni prodotti senza sfidare i poteri che sostengono il modello agricolo aziendale. Inoltre, trascura completamente le soluzioni offerte dal movimento di agricoltura rigenerativa negando totalmente l’influenza che piccoli produttori e comunità del cibo hanno sul sistema alimentare. Questo atteggiamento spiega perché gli hamburger della Beyond Meat faranno presto la loro comparsa nel menu vegetariano di McDonald quando invece ci si dovrebbe focalizzare di più sulla rigenerazione dell’agricoltura e sul cambiamento del sistema che protegge la natura e la salute delle persone».
Quello di cui abbiamo bisogno è “cibo vero”
«In fin dei conti, il cibo sintetico e artificiale distrugge la nostra connessione con la natura e, così facendo, si ignora completamente il ruolo che i processi naturali e le leggi ambientali hanno nella produzione di cibo naturale – è ancora l’organizzazione guidata da Vandava Shiva – Cercando di convincerci di non far parte dei processi ecologici della natura, queste nuove tecnologie verranno utilizzate dalle aziende per aumentare il controllo sul cibo e sulla salute umana, accelerare il collasso delle economie alimentari locali e distruggere del tutto la democrazia alimentare. La vera soluzione alla crisi ambientale e alla salute dovrebbe basarsi sul rinnovamento e la rigenerazione del pianeta attraverso l’utilizzo di processi naturali quali le coltivazione agro-ecologiche e rigenerative. Contrariamente a quanto sostenuto dalle aziende agroindustriali e dalle aziende che sfruttano tecnologie alimentari, il cibo non può essere ridotto ad un mero prodotto assemblato meccanicamente e artificialmente in laboratorio o all’interno di stabilimenti. Il cibo è la valuta di scambio della vita e rappresenta il contributo di ogni essere vivente durante tutti i suoi stadi di produzione. Affermare il contrario sarebbe come negare il sapere dei popoli autoctoni e le culture pastorali che si sono evoluti nei secoli al fianco dei diversi ecosistemi per rigenerare la biodiversità e contribuire alla diversità dei sistemi agricoli. Animali, esseri umani e natura hanno sempre avuto un rapporto simbiotico e interdipendente che, a sua volta, rigenera tutti i sistemi alla base della vita. Questa sinergia è di vitale importanza al rinnovamento della fertilità del suolo, alla creazione di un habitat di biodiversità e al rinnovamento dei cicli terrestri di acqua, carbonio e altri nutrienti. Mentre le preoccupazioni relative all’industria della carne sono legittime, integrare gli animali in un sistema agro-ecologico diversificato offre un’alternativa valida ad un sistema agricolo basato sullo sfruttamento e la distruzione dell’ambiente. Gli animali hanno da sempre una funzione centrale all’interno del sistema agro-ecologico: nutrendosi di erba, parassiti ed erbe infestanti, fertilizzano il terreno migliorano la biodiversità a tutti i livelli e aiutando ad imprigionare il carbonio nel suolo. In una relazione simbiotica ed equilibrata con piante, suolo ed essere umani, gli animali hanno ricoperto un ruolo centrale nella cultura e nell’agricoltura per millenni, contribuendo molto più che con la semplice produzione di carne. D’altro canto, con la crescita di sistemi di allevamento intensivo all’interno dei CAFO (Concentrated Animal Farm Operations), gli animali sono costretti ad un’alimentazione forzata basata su cereali e soia provenienti da colture industriali. Questo contribuisce all’aumento delle emissioni dei gas serra, causando un maggiore rilascio di metano e l’inquinamento dell’aria e delle fonti idriche. E’ importante sottolineare come questi due sistemi non siano assolutamente simili, in quanto il consumo di carne non rappresenta, di per se, il problema, piuttosto il modello di produzione industriale, di pari passo con l’agricoltura industriale, è responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra, della sofferenza animale e della degradazione ambientale. Pertanto, la reale soluzione non sta nella creazione di alternative alimentari, ma nel comprendere i bisogni degli ecosistemi di cui facciamo parte recuperando la nostra connessione con la natura. Il cibo naturale, prodotto attraverso l’agricoltura tradizionale, è il risultato diretto della cura del territorio, degli animali e dei nostri simili, e celebra la connessione tra cibo e vita. Protegge la vita di tutti gli essere umani del pianeta Terra nutrendo la nostra salute e, al tempo stesso, il nostro benessere. Il cibo artificiale è invece la diretta manifestazione di anni di imperialismo e colonizzazione alimentare che negano i diversi saperi sul cibo, la cultura alimentare e la biodiversità della Terra e i suoi ecosistemi. La speranza non va riposta in innovazioni tecnologiche come il cibo sintetico prodotto in laboratorio, che considera la natura come un sistema morto senza opportunità di miglioramento, ma nella partecipazione e rinnovamento dei processi naturali. Quello che mangiamo, come lo coltiviamo e come lo distribuiamo è una questione centrale alla sopravvivenza della specie umana e degli altri esseri viventi che costituiscono l’ecosistema. Quando coltiviamo utilizzando la conoscenza vera di come prenderci cura della Terra e della sua biodiversità e quando ci nutriamo di cibo naturale, alimentiamo non solo la biodiversità della natura, ma la nostra cultura e la nostra flora intestinale partecipando all’economia viva e reale che porta al benessere di tutti. Gli agricoltori e coltivatori di tutto il mondo stanno già preservando e sviluppando le loro terre e i loro semi attraverso la pratica agro-ecologica, nutrendo le loro comunità con cibo sano e nutriente e al tempo stesso rigenerando il pianeta».
Traduzione di Francesca Castri