Una nuova ondata di violenze ha investito il paese andino nelle ultime settimane. Il motivo del contendere è lo scontro politico sulla data delle nuove elezioni presidenziali, rimandate più volte, alle quali il MAS e i suoi movimenti satellite riuniti nel Pacto de Unidad si sono opposti con forza.
La telenovela sulla data delle elezioni, d’altra parte, non poteva che “scaldare gli animi” già accesi dalle vicende dell’ultimo anno: salita al potere la Añez dopo la sollevazione popolare e il conseguente colpo di stato, si è passati da “elezioni in tre mesi” a “elezioni a maggio” e, successivamente a doverle posticipare ad agosto per l’avvento della pandemia. In un primo momento la situazione sanitaria in Bolivia non era grave ma poi, causa una pessima gestione della crisi da parte del governo provvisorio, i casi di positività al coronavirus sono aumentati esponenzialmente costringendo il governo e il Tribunale Supremo Elettorale a rivedere la propria decisione. In giugno, dopo un infinito tira e molla le parti politiche si sono accordate per il 6 settembre, ma ancora una volta si è messa in mezzo la pandemia, o per meglio dire, l’incapacità – o la non volontà – del governo di gestirla che ha costretto il TSE a posticipare nuovamente le elezioni al 18 ottobre, un anno dopo l’inizio della crisi politica e sociale.
La decisione non è andata giù al MAS che ha accusato il governo di “prorroguismo”, vale a dire di volersi mantenere al potere senza passare per le elezioni per il timore della sconfitta. La cosa dovrebbe fare anche un po’ sorridere dal momento che proprio Morales ha stravolto la Costituzione e inventato “diritti umani” impostati sulla sua persona pur di farsi rieleggere per la quarta volta, quando la Costituzione, da lui stesso modificata, permetteva al massimo due mandati. L’opposizione radicale del MAS, le critiche e le accuse hanno scatenato le organizzazioni aderenti al Pacto de Unidad. La potente COB (Central Obrera Boliviana) ha guidato le proteste popolari dapprima lanciando manifestazioni di protesta e in seguito, dopo un ultimatum al governo, uno sciopero generale a tempo indefinito fatto di blocchi stradali e presidi in tutto il territorio andino che hanno limitato i rifornimenti (anche quelli di ossigeno per gli ospedali) da Oruro a Potosí, da Cochabamba a La Paz. Nel momento più duro della protesta si sono contati oltre 150 blocchi diversi.
I blocchi e le proteste sono proseguiti per più di dieci giorni. Raccontare ciò che è successo non è semplice perché ancora una volta la propaganda masista e di governo stravolge gli avvenimenti in atto per il proprio tornaconto personale, come successo per esempio con la teoria dello sfruttamento del litio quale causa del golpe di ottobre che l’antropologo Devin Beaulieu ha smontato così: «L’immaginazione della sinistra internazionale, fa della Bolivia e della sua gente, un semplice oggetto sul quale proiettare le proprie fantasie ideologiche. La cospirazione di interessi sul litio è un racconto cinese, che permette alla sinistra di vittimizzarsi senza riflettere sulla propria sconfitta».
Così, per raccontare gli eventi preferisco citare le parole dei los de abajo, liberi da vincoli di partito come il collettivo Chaski Clandestina. Riporto qui uno stralcio del loro racconto: «La situazione è molto più complessa di quella che riflette in modo manicheo la stampa che mostra una parte della realtà o nascondono quello che sta succedendo nel paese. Ci sono manifestanti del MAS che si sono mobilitati per esigere elezioni subito, ma in vari blocchi la stessa dirigenza è stata esautorata perché a questo si aggiunge un malcontento in vari settori popolari contro le politiche repressive, intimidatorie e persecutorie instaurate dal regime añecista, e per la situazione del sistema di salute pubblica con lo scandalo di corruzione che ha visto protagonista il regime nel caso dei respiratori per i malati di covid-19».
Raccontati così, i fatti escono dalla logica polarizzante che appare ogni qual volta si parla di Bolivia. Il tema è ampio e andrebbe affrontato a parte, qui mi limiterò a una breve sintesi utile per comprendere l’attualità: Morales è diventato presidente grazie allo straordinario ciclo di lotte vinte, dalla guerra dell’acqua a quella del gas. Negli anni del suo “regno” però, grazie anche al suo vice Garcia Linera, ha utilizzato il potere acquisito per corrompere, comprare, cooptare le numerose organizzazioni artefici delle sue vittorie elettorali e per mettere in pratica quello che lui stesso ha definito il “capitalismo andino”. Il MAS, da strumento politico delle popolazioni indigene è divenuto strumento politico di una nuova élite che ha utilizzato e sfruttato gli indigeni, alleandosi con i soliti gruppi di potere economici per perpetuarsi al potere. Marco Gandarillas, sociologo del CEDIB, spiega bene questo agire prevaricante: «Il MAS ha preso il potere delle dirigenze della CSUTCB o della COB. Con piccoli e significativi colpi, rimpiazzando i leader democraticamente eletti con altri imposti […]. In forma più violenta ha assestato gli stessi colpi contro la CONAMAQ (i quali sono stati sgomberati dalla propria sede insanguinati nel 2013) o la CIDOB che furono sgomberati dalla loro “casa grande” con violenza». Le conseguenze di questo agire sono state la base della sollevazione dell’ottobre scorso, o per meglio dire, della non sollevazione popolare a difesa di Morales, che ha permesso poi alle destre di approfittarne con il golpe che ha portato la Añez alla presidenza.
A lato delle proteste popolari sono cominciati anche le trattative tra le forze politiche e il TSE per arrivare a una decisione condivisa sulla data delle elezioni. A questo proposito è bene ricordare una cosa: il golpe ha lasciato una situazione politica inedita (quanto meno per un golpe), con la destra che ha assunto la presidenza ma con il MAS che ha mantenuto il controllo del parlamento, producendo di fatto una situazione di co-governo, o comunque di trattativa permanente, proprio tra le forze politiche autrici e vittime del golpe. Le trattative sono terminate il 13 agosto quando il portavoce del TSE Salvador Romero ha annunciato che «Il Tribunale Supremo Elettorale ha approvato, all’unanimità la risoluzione 205, che conferma e stabilisce domenica 18 ottobre 2020, come data definitiva, inamovibile e non posticipabile della giornata elettorale» contro firmata subito anche dalla presidente Añez. La notizia, ha scatenato nuovamente reazioni contrastanti che confermano ancora una volta la frantumazione del tessuto organizzativo operaio e indigeno operato dal MAS nei suoi anni di governo. La COB inizialmente ha parlato di “tradimento” da parte dei dirigenti del MAS presenti in parlamento mentre la CSUTCB ha presentato una denuncia di fronte al Tribunale di La Paz contro la dirigenza della COB con la richiesta che cessino i blocchi stradali che impediscono i rifornimenti di cibo. Qualche ora dopo, la COB ha fatto marcia indietro, annunciando la sospensione dei blocchi fino al 18 ottobre, ma promettendo di rimanere in stato di allerta. Un cabildo popolare a El Alto composto da organizzazioni di quartiere, contadine e indigene ha poi sconfessato la decisione della sospensione dei blocchi della COB: «Si stabilisce di seguire con le azioni di pressione fino a che se ne andranno dal Palazzo di Governo. Continuiamo fino all’ultima conseguenza. La COB e il Patto di Unità, a partire da oggi non ci rappresentano». Tutti questi eventi, oltre a determinare la perdita del controllo delle organizzazioni sociali da parte del MAS, mette in evidenza l’esistenza di due diverse motivazioni di lotta: da una parte ci sono le organizzazioni legate ai partiti, o meglio ancora le loro dirigenze, che rispondono agli interessi elettorali, dall’altra i los de abajo liberi dalle imposizioni del MAS che lottano contro un regime oppressivo.
Un altro aspetto da considerare è quello della violenza politica che in queste settimane è ripresa in maniera preoccupante. Con la scusa di sgomberare i blocchi, sono entrati in azione i “grupos de choque” delle destre, in particolare la Union Juvenil Cruceñista di Santa Cruz e la Resistencia Juvenil Cochala di Cochabamba che hanno provocato diversi scontri e momenti di tensione negli ultimi giorni. Questi gruppi irregolari e armati sono saliti alla ribalta nel 2003 ma poi sono scomparsi dalla scena politica per molti anni fino alla loro rinascita con l’attuale governo. Durante questi giorni di sciopero generale sono state molteplici le azioni violente commesse contro i manifestanti, compresa una marcia anti patriarcale del collettivo femminista Articulación Feminista Wañuchun Machocracia. Intendiamoci: l’utilizzo della violenza non è una prerogativa delle destre fasciste, ma anche, purtroppo, del MAS. Ancora una volta approfitto delle parole di Marco Gandarillas per spiegare la situazione: «Come ci hanno dimostrato reiteratamente, la loro capacità di fare fuoco è elevata. Hanno gruppi armati con dinamite, armi da fuoco e nessun limite morale. Hanno teso imboscate con pietre e pallottole a bus interdipartimentali e hanno distrutto fino alle fondamenta proprietà pubbliche e private. Hanno professionalizzato il terrorismo di fuoco, bruciato case e uffici pubblici. Hanno saccheggiato mercati e lapidato ambulanze in tutte le zone del conflitto. Lo hanno fatto nuovamente un paio di giorni fa ed è probabile che continuino nella loro opera perché la loro arma è la paura. Il messaggio che mandano è: il MAS non accetterà nessun risultato che non gli restituisca il controllo totale dello Stato». L’ultimo atto di violenza però è avvenuto proprio contro la sede della COB subito dopo l’annuncio della data definitiva delle elezioni. Per questo attentato il governo ha annunciato di aver arrestato sei persone senza però rivelarne l’identità e, più importante, l’eventuale appartenenza a qualche organizzazione.
Le elezioni, quindi il controllo dello stato, sono al centro degli avvenimenti di queste settimane: gli schieramenti si stanno organizzando, muovendo, nell’ottica di vincere l’appuntamento elettorale che si dimostra invece quanto mai incerto. La violenza politica, gli scioperi, i blocchi stradali, la nomina di nuovi ministri come Branko Marinkovic (personaggio legato non solo ad azioni razziste e violente del Comité Civico Pro Santa Cruz ma anche al business della soia) sono tutti movimenti strategici in vista delle elezioni, nello scontro politico in gioco c’è il potere, non la democrazia.
In questo scontro per il potere sembra che a nessuna delle parti interessi veramente la democrazia ciò che sta succedendo nel paese: la pandemia da coronavirus che sembra inarrestabile e che sta provocando migliaia di morti, la devastante situazione negli ospedali carenti di ossigeno e di strumenti per contenere e curare la diffusione del virus, gli incendi illegali dei boschi e delle riserve naturali che sono ripresi in maniera preoccupante come l’anno scorso senza che nessuno (né Añez né MAS) intervengano a fermare questo disastro, la disastrosa crisi economica che sta riducendo alla fame una parte importante della popolazione e per finire la situazione nelle comunità indigene, assediate dal virus e senza alcun tipo di aiuto, né economico né sanitario, da parte dello stato. Democrazia che però ritroviamo nelle parole della Contiocap, organizzazione che rappresenta 35 nazioni indigene boliviane: «i veri popoli indigeni originari contadini, che hanno difeso, difendono e proteggono la nostra vita nei nostri territori dalle politiche estrattiviste del governo del MAS e ora del governo di transizione, siamo relegati nei nostri territori per prevenire il contagio perché diamo priorità alla difesa della vita sul gioco elettorale, che non darà soluzioni reali e durature alla profonda crisi in cui viviamo».