L’augurio è che il film “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (2022, regia di Edward Berger, produzione Netflix), recentemente premiato nella cerimonia degli Oscar con quattro statuette tra cui quella di miglior film straniero, non passi troppo inosservato.
Il film, basato sull’omonimo romanzo dello scrittore tedesco Remarque, è ambientato nello scenario catastrofico della prima guerra mondiale e i suoi contenuti sono evidentemente anti – militaristi e pacifisti. Un film storico con tematiche senza tempo? Niente affatto. Il film coglie invece lo zeitgeist dei nostri tempi e funge da monito a non scivolare verso la catastrofe della guerra, leggasi la guerra che coinvolge Russia, Ucraina e Nato su quello che con un’ironia da lasciare passare, è il “fronte orientale”.
La prima connessione che mi viene in mente è la traduzione dell’incipit del libro di Raul Sanchez Cedillo, ricercatore militante, saggista, attivo nelle lotte sociali a Madrid e membro della Fundación de los Comunes, uscito per ora in Spagna, dal titolo Questa guerra non termina in Ucraina: «[…]tanto la Prima Guerra Mondiale quanto l’attuale guerra in Ucraina hanno condizioni simili nel contesto europeo: in termini di lotta tra imperi, di Stati cardine in conflitto, e in uso di minoranze e nazioni senza Stato come casus belli. […] In entrambi i momenti, inoltre, si produce un notevole salto evolutivo nello sviluppo tecnologico delle macchine da guerra (e nel caso della guerra in Ucraina si stanno sviluppando come mai prima d’ora e presentano tutte le caratteristiche di una guerra senza limiti, ibrida, non lineare, e cibernetica, per citare i focus di analisi più comuni della guerra contemporanea)».
A proposito di queste ultime considerazioni, nel film del regista tedesco Berger ci sono alcune scene icastiche sull’uso delle nuove armi tecnologiche utilizzate nei campi da guerra della prima guerra mondiale, come maschere anti-gas, carri armati e lancia fiamme: tutte armi che si vedono in presa diretta e che più che sembrare modellini da guerra da collezione, si osservano in tutto il loro potenziale distruttivo. Infatti uno degli aspetti più impressionanti e notevoli di “Niente di nuovo sul fronte occidentale” è proprio questo: la presa direttissima delle scene di guerra in cui il protagonista, il diciassettenne soldato dell’esercito tedesco Paul e i suoi amici commilitoni, sono coinvolti in scenari da inferno sulla terra, tra trincee, filo spinato e morti truculente una dietro l’altra.
Sequenze che per la loro struttura iper-realistica ricordano i primi venti minuti di “Salvate il soldato Ryan” di Spielberg. Ma non solo: tra le scene più significative del film di Berger ci sono quelle della prima e dell’ultima parte della pellicola. Nella prima parte della pellicola (siamo nella primavera del 1917) si assiste infatti ad un discorso patriottico di un funzionario scolastico mentre Paul e i suoi amici ricevono uniformi indossate da soldati uccisi in una battaglia precedente. Le giovani reclute tedesche reagiscono con entusiasmo al discorso che ascoltano nell’istituto scolastico, ignari di quello che li aspetta la fronte.
Il discorso imbevuto di nazionalismo becero non è altro che un’ideologia tossica versata nelle orecchie di chi sta per diventare carne da macello. Nell’ultima parte del film i fatti rappresentati sono questi: siamo al 5 novembre del 1917, durante le ultime ore precedenti all’armistizio firmato da tedeschi e francesi, fissato per le 11. Il generale delle truppe tedesche Friedrichs vuole porre fine alla guerra con una vittoria tedesca e ordina che l’attacco inizi alle 10:45. Fa un ultimo discorso accorato a ciò che rimane delle truppe tedesche dal palazzo della direzione dell’esercito. Un discorso anche questo pieno di sciovinismo ed incitamento al massacro.
Ad ascoltare l’ultimo appello alla battaglia finale del generale Friedrichs si vede un Paul con il viso pieno di fuliggine e di fango, visibilmente indurito e scosso da mesi di guerra nella trincea in cui ha perso tutti i suoi amici, che appare esattamente all’opposto di come lo vedevamo nelle scene iniziali. Morirà in combattimento pochi secondi prima delle 11, e nelle ultime scene finali il regista fermerà la telecamera sul suo volto senza vita, con gli occhi abbassati: si proprio lui che sembrava averle scampate tutte attraversando il Golgota della guerra, si è ritrovato alla fine della narrazione ad essere uno dei tanti tra le fila di chi ha perso la vita.
Questo forse ha voluto dire il regista con un film manifesto contro la guerra: dinamiche storiche più grandi di noi ci coinvolgono e ci portano in mezzo a trame funeste dove non c’è un happy ending, quindi lo spettatore (e cittadino) della pellicola di Berger, è chiamato a fare attenzione. Forse un film del genere, in uno scenario di guerra come quella in Ucraina, dove in un anno non ci sono state intermediazioni diplomatiche, scientemente ed ostinatamente non cercate da nessuna delle parti, è proprio quello che ci vuole.