“No Pride in polizei”

Collettivi, realtà transfemministe e pride dal basso stanno ponendo in evidenza da mesi, e in particolare durante il mese di giugno, Il fatto che i pride di tutto il mondo si stanno svolgendo nel mezzo di una delle più massicce operazioni di pinkwashing della storia. Molte delle aziende e dei brand finanziatori dei Pride istituzionali, i cui loghi campeggiano in bella vista sui carri che sfilano per le città, sono in realtà sostenitori e finanziatori dello Stato israeliano, che sta da mesi perpetrando un genocidio nei confronti della popolazione palestinese. 

In particolare in Germania la maggior parte delle manifestazioni, piazze, marce LGBTQIA+ che si sono svolte nelle scorse settimane ha dato spazio a prospettive sioniste e islamofobe. D’altronde, ed è doveroso ricordarlo senza entrare nel merito, in Germania non solo il Governo e le istituzioni, ma anche alcuni movimenti e le realtà più di sinistra hanno una storia di posizioni sioniste e filoisraeliane importanti, per ovvi motivi storici, rendendo la questione palestinese incredibilmente spinosa. 

A Berlino, nelle scuole è stato imposto il divieto di esporre le bandiere palestinesi e agli studenti di indossare keffiyehs. In tutto il paese, usare le parole “Dal fiume al mare” è ora un reato penale. I politici tedeschi hanno ripetutamente dichiarato che la sicurezza di Israele è la “ragion di Stato” della Germania. Friedrich Merz, leader dell’Unione Cristiano-Democratica, l’anno scorso ha richiesto l’obbligo di inserire una dichiarazione firmata che confermi il “diritto di esistere di Israele” come prerequisito per ottenere la cittadinanza tedesca, tutto questo in un paese che conta la più grande diaspora palestinese in Europa.

La Germania ha sempre sostenuto Israele come suo alleato. Nonostante i crescenti atti di violenza commessi dalle forze israeliane, il governo tedesco non ha cambiato posizione. Il 12 ottobre, il Cancelliere Olaf Scholz ha dichiarato che “c’è solo un posto per la Germania”, ovvero “al fianco di Israele”, mantenendo fermamente questa linea.

Oltre a fornire un ampio sostegno politico e diplomatico, la Germania ha accelerato le esportazioni di armi per facilitare l’azione militare israeliana contro i civili palestinesi. L’élite politica tedesca ha respinto con forza le richieste di un cessate il fuoco a Gaza, reiterando la controversa affermazione che Israele ha il “diritto di difendersi” dai palestinesi, ignorando decenni di apartheid e pulizia etnica.

Da ottobre 2023, la Germania è diventata il secondo fornitore di armi a Israele dopo gli Stati Uniti. Il governo tedesco è complice dei crimini commessi da Israele a Gaza, ignorando le richieste di giustizia e umanità e reprimendo i movimenti pro-palestinesi sul proprio territorio.

Questa repressione sistematica dell’attivismo pro-palestinese riflette una realtà distopica in Germania, dove l’opposizione alle azioni israeliane è vista come antisemita e come atto di slealtà verso lo stato tedesco, giustificando la criminalizzazione di tali movimenti.

Non sorprende quindi che la repressione delle proteste e la violenza della polizia siano aumentate negli ultimi mesi.

Proprio in queste settimane si sono verificate violente aggressioni da parte della polizia durante l’”Internationalist Queer Pride” a Berlino, dove oltre 15.000 persone hanno protestato contro il genocidio del popolo palestinese. “Queers Destroy Zionists” e “No Pride in Israeli Apartheid” sono stati solo alcuni degli slogan della marcia: fiumi di persone sono scese in strada per la lotta anticoloniale, antirazzista e anticapitalista per la libertà. Venticinque persone sono state arrestate, molteplici quelle ferite. Contemporaneamente, durante l’ufficiale CSD PRIDE di Berlino, alla polizia e alle organizzazioni sioniste sono stati assegnati i propri blocchi e carri.

La repressione si compone poi di un importante apparato di censura: infatti queste notizie non vengono riportate, i media tacciono e le immagini di queste violenze circolano solo tra le persone presenti. Gli unici articoli che affrontano l’accaduto giustificano i fatti con accuse di antisemitismo. 

Solo il giorno prima, il blocco di solidarietà con la Palestina (Dykes 4 Palestine) durante la Dyke* March ha affrontato le stesse brutali aggressioni. Centinaia di keffiyehs si sono alzate per proteggere i volti delle e dei partecipanti più vulnerabili dalle telecamere della polizia, presenti ad ogni angolo. Questo non ha però fermato gli arresti e le percosse che molti manifestanti hanno subito.

È essenziale tracciare il collegamento tra il contesto storico del Pride e l’attuale stato di censura e repressione a cui stiamo assistendo. Il Pride è sempre stato una lotta contro la violenza della polizia. È proprio con i moti di Stonewall che le comunità hanno iniziato a resistere e a combattere contro le incursioni, raid della polizia nei bar, le molestie negli spazi queer, in un atto storico di liberazione. Oggi, ritroviamo questo stesso sentimento nelle forme di protesta contro tutti i governi coloni e genocidi.

I poliziotti violenti che pattugliano le strade di Berlino, mentre criminalizzano persone, slogan, cori, simboli e spazi, appartengono allo stesso sistema repressivo e oppressivo che decenni fa ha portato ai moti che oggi ricordiamo. È da qui che sono emersi i movimenti di liberazione LGBTQIA+: qualsiasi organizzazione che nasconde, giustifica e invita la violenza della polizia nei propri spazi sta corrompendo e infangando la memoria del Pride. Ed è probabilmente da qui che bisognerebbe ripartire a livello internazionale per risignificare e rendere nuovamente un momento di lotta il Pride. 

Di Simona Panunzio (Collettivo Squeert Padova).

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