Noi, al sicuro nel Pentacolo Elettrico (Victoriana 46)

di Franco Pezzini

(È appena uscito per i tipi il Palindromo, a cura di Gabriele Scalessa, il volume Carnacki – L’indagatore dell’occulto di William Hope Hodgson, con le classiche illustrazioni di Florence Briscoe. Il testo che segue è la mia Introduzione.)

«Cosa intende fare?» mi domandò.

«Sarà un esperimento pericoloso?».

«Lo diventerà se non segue tutte le mie

indicazioni. Entrambi corriamo il rischio

di non uscire vivi da questa stanza. Ho

la sua parola che posso contare sulla sua

obbedienza qualunque cosa accada?».

William Hope Hodgson, “Il maiale”

Il successo delle riviste e dell’editoria popolare nell’Ottocento e specificamente nell’età vittoriana è a monte di un fenomeno la cui lunga coda interessa ancora noi oggi, cioè la nascita di una nuova epica popolarissima – diremmo di genere, con caratteri paraletterari o qualche volta pienamente letterari – che avrà strabordante fortuna postmoderna in forma transmediale. Dopo il successo infatti di diluviali saghe di eroi popolari a puntate a metà ottocento con i penny dreadful, la serialità di storie a episodi – annunciata fin dai tempi di Dupin e della Rue Morgue, 1841, con il varo del primo poliziesco moderno (ancora grondante gotico, sia pure) e del primo indagatore per “casi” – vede emergere nuovi modelli di eroi attrezzati, rispetto al passato, a un genere radicalmente diverso di quest. La nuova quest non mira all’orizzonte del sovrannaturale/meraviglioso (il santo Graal…), ma a risolvere misteri essenzialmente umani, legati spesso a un altro nuovo fenomeno già notato da Poe nel proto-poliziesco L’uomo della folla (The Man of the Crowd, 1840): il mistero della vita nella metropoli moderna, di lì idealmente a monte di una serie di romanzi che quel grembo di male notomizzavano in modo più o meno fantasioso, da I misteri di Parigi (Les mystères de Paris, 1842-1843) di Eugène Sue, a infiniti altri meno noti a firma di autori diversi (I misteri di Marsiglia, di Londra, di Napoli, di Pietroburgo etc.).

Nasce così, dalla radice-Dupin poi indefinitamente criticata dai discendenti a smarcare una propria autonomia, il detective seriale moderno: connotato da peculiarità, idiosincrasie, stigmi di eccezionalità che lo rendono più o meno un outsider, come l’Arcidetective Holmes e infiniti altri rivali (usiamo per ora questo termine, capiremo poi perché) eccellenti o miseri, pullulanti in età vittoriana, ma destinati per li rami ad arrivare ai giorni nostri e anzi proseguire oltre. La grande dinastia dei detective seriali (a volte donne, non dimentichiamolo) finisce però col gemmare due altre linee di discendenza: come ovvia conseguenza dei misteri alla Sue, quella dei “casi” di grandi ladri come Raffles o Lupin – che finiscono spesso con l’indagare pure loro, risolvendo vicende criminali, trovando tesori etc. – e quella di indagatori su un fronte del tutto diverso, cioè sovrannaturale-fantastico. Il sovrannaturale-meraviglioso afferiva a un contesto dove era ovvio pensare a santi o cavalieri devoti attivi in vere e proprie indagini, a storie edificanti di miracoli e angeli, al confronto col diavolo; il sovrannaturale-fantastico è figlio invece di un’età laica, dove in questione è l’incertezza di un corpus di casi che sovvertono la visione nota del mondo e la necessità di nuovi “specialisti” – non più religiosi nel senso di chiese fin troppo istituzionalizzate (nel poliziesco classico un caso molto particolare è quello del padre Brown di Chesterton, che però opera anche sul fronte psicologico-morale). Vero, il primo detective dell’occulto moderno, il dottor Martin Hesselius di Le Fanu, precede nel 1869 (poi nella raccolta In a Glass Darkly, 1872) il diffondersi modaiolo dei poliziotti e deve parecchio all’Apollonio del Lamia di Keats, 1820, ma il suo successore immediato e più efficiente, il Van Helsing del Dracula di Stoker, 1897, deve almeno qualcosa a Holmes. A differenza che poi nel cinema e nel fumetto, Van Helsing non è un indagatore seriale, bensì una tantum nell’ambito della vicenda che lo vede fronteggiare la battaglia apocalittica contro l’Anticristo transilvano: ma la sua lezione verrà ben appresa dal personaggio di cui parleremo.

Nel frattempo è successo dell’altro: l’alta marea dell’irrazionale che dal boom dello spiritismo (idealmente l’ultima delle rivoluzioni del 1848) capitalizza il convulso orizzonte dell’esoterismo tra Sette e Ottocento, vede impennare l’occulto nei salotti borghesi tra tavolini ciangottanti, illuminazioni, viaggi astrali e paludamenti similegizi dei nuovi teurghi e goeti: la nascita nell’Inghilterra vittoriana (1887-1888) dell’Hermetic Order of the Golden Dawn ne è solo l’evento più clamoroso. In breve gli indagatori dell’incubo spopoleranno, quasi a colmare un’imperiosa necessità dell’immaginario in tensione tra i due poli del positivismo scientifico e delle sirene dell’irrazionale: con l’avvertenza però che lo stesso positivismo di moda – che tanto influisce sullo spiritismo e in fondo sull’approccio pragmatico del “purché funzioni” di tante esperienze esoteriche – entra in gioco anche nell’approccio alle storie di indagatori dell’occulto. Nell’età del ballo Excelsior, che celebra i nuovi eroi di estrazione borghese portatori di luce – ingegneri, inventori, chimici e altri specialisti nelle più varie scienze & tecniche, magari con un pizzico di massoneria – a confrontarsi col sovrannaturale per salvare un “paziente” sarà sempre più frequentemente un medico: un buon vecchio dottore come l’Haberden de La Polvere bianca (Novel of the White Powder) in I tre impostori (The Three Impostors, 1895) di Machen, i perplessi colleghi dei racconti di Lovecraft, o invece un vero dottore psichico come il raffinato John Silence (1908) di quell’Algernon Blackwood confratello di Machen sotto i labari Golden Dawn, ma assai meno critico di lui sulla vocazione occultista dell’Ordine. John Silence è in effetti un iniziato nelle cui elegantissime storie emerge un complesso tessuto di conoscenze gnostiche e teurgiche, un illuminato che fronteggia il male con la sua spiritualità luminosa – sulla base di convinzioni esoteriche, filosofiche ed etiche dello stesso Blackwood.

Ben diverso è il caso dell’esoterismo genuinamente letterario (o paraletterario, se si preferisce) di un altro occult detective collega di Silence e di poco successivo, il Thomas Carnacki del britannico William Hope Hodgson, nato nel 1877 e morto sul campo di Ypres in Belgio nel 1918. Un autore di straniante potenza i cui romanzi fantastici – si pensi a Naufragio nell’ignoto (The Boats of the “Glen Carrig”, 1907), La casa sull’abisso (The House on the Borderland, 1908), I pirati fantasma (The Ghost Pirates, 1909), La terra dell’eterna notte (The Night Land, 1912) – spalancano in forme originalissime vertiginose prospettive allucinatorie tra inconscio e distopia fantascientifica, apocalittica e cosmologia, orrore e spaesamento psichico. Ricordare il suo ruolo di predecessore di Lovecraft è persino scontato, ma a fronte di un culto pop di spiacevole naïveté che sembra far arenare su HPL ogni tipo di discorso a detrimento di altri autori, va detto che la lezione di Hodgson sarà fondamentale per un po’ tutto il fantastico orrifico del Novecento.

Certo, a fronte dei grandi romanzi hodgsoniani, le storie di Carnacki possono venire giudicate una prova minore, dettate dalla necessità di sbarcare il lunario: Lovecraft le stroncava un po’ acidamente come “vastly inferior” agli altri lavori di Hodgson, “his poorest work” e Carnacki sarebbe un mediocre stereotipo di detective dell’occulto (è noto come HPL non cogliesse il fascino dell’occulto “tecnico”). Vero, i casi di John Silence si presentano assai più ricchi letterariamente e più profondi sul piano interiore. Eppure le storie di Carnacki sono testi di grande interesse, di intatto divertimento per i lettori e capaci di rivelare un aspetto diverso della genialità dell’autore, portando una ventata di novità in un filone destinato altrimenti a ripiegarsi nelle imitazioni delle voci di Le Fanu, Blackwood e pochi altri mattatori. Alcuni aspetti di questi racconti richiamano del resto la produzione maggiore dell’autore, e sembra sbagliato ignorare i nessi (per quanto impliciti): Il maiale (The Hog, pubblicato postumo nel 1947) fa pensare alle disturbanti creature simil-suine de La casa sull’abisso (oltre ovviamente alla simbolica biblica del maiale come animale impuro e in particolare all’episodio evangelico del branco di maiali indemoniati: Mt 8,28-34, Mc 5, 1-20, Lc 8,26-39); Il “Jarvee” infestato (The Haunted “Jarvee”, 1929) rimanda alla ricca serie di testi marinari di varia ampiezza varati da Hodgson negli anni; la cosmologia impazzita delle rivelazioni dispensate da Carnacki è coerente con le visioni distopiche dei romanzi, al di là del meccanismo tranquillizzante del rito ripetitivo dei “casi” (la riunione tra amici, etc.). Tratteniamo per ora queste considerazioni.

Intrigante anzitutto la vicenda editoriale. Inizialmente di Carnacki compaiono sei storie, pubblicate tra il 1910 e il 1912 sulle riviste The Idler e The New Magazine, e riunite in volume nel 1913; più tardi, nel 1947, un’edizione Mycroft & Moran legata ad Arkham House ne aggiungerà tre – due apparse postume su riviste (The Premier Magazine, Weird Tales), la terza mai prima pubblicata. Il sospetto che le abbia scritte August Derleth, responsabile della casa editrice e uso a riprendere spunti lovecraftiani, sembra però si debba respingere: c’è una coerenza stilistica tra le prime e le ultime storie pubblicate.

A differenza della luminosa vita interiore che permette a Silence di fronteggiare il Male (e gli offre uno spessore empatico particolarmente gradevole), nel caso del rigido e bizzarro edoardiano Carnacki il pragmatismo e un certo positivismo innestato sulla tecnica prevalgono. Sia perché a lui interessa la soluzione concreta dei problemi sottopostigli – poi oggetto di divertiti resoconti del dopocena agli amici – assai più che le sorti dell’anima sofferente in quanto tale (eccettuato forse il caso dell’impressionante Il maiale, più simile per rapporti tra detective e paziente ai casi di Silence); sia perché in effetti i misteri possono trovare soluzione naturale (frodi, manipolazioni eccetera) o ibrida, insieme naturale & sovrannaturale.

Per risolverli l’ingegnoso Carnacki, memore forse di un nesso onomastico con il conte Michel de Karnice-Karnicki, inventore di una elaborata safety coffin detta Le Karnice per salvare accidentali sepolti vivi, si appoggia a un’intera santabarbara di strumenti tecnici. A partire dalle macchine fotografiche care agli studiosi coevi di spiritismo (“Certe volte la macchina fotografica riesce a vedere cose che sfuggono alla normale vista umana: capite cosa intendo?”) ma in fondo già a Jonathan Harker (il Dracula stokeriano pullula di nuovi ritrovati della tecnica moderna) e dal “fonografo modificato con auricolari al posto dell’altoparlante”; fino ad attrezzi tali da combinare tecnologia e magia, come “un disco di vetro composto di tubi a vuoto disposti in maniera particolare” o il delizioso e originalissimo Pentacolo Elettrico. Suggestioni che sembrano preannunciare quello che oggi chiamiamo steampunk, e aprono al filone occultista nuove prospettive nel segno di un’improbabile tecnologia. Carnacki utilizza poi una serie di tradizionali mezzi magici: e sul punto l’Autore mostra di saper giocare con ammiccanti allusioni alla scuola del maestro Le Fanu, ma già in qualche modo, anche qui, preludendo a Lovecraft.

Troviamo dunque richiami sornioni a una serie di pseudobiblia, nel segno dell’ormai consolidato filone dei libri arcani, autentici (Poe, Le Fanu) o fittizi (Bierce): un fantomatico testo di formule protettive del XIV secolo, il Manoscritto Sigsand; la monografia di un certo Harzam, Astral and Astral Co-ordination and Interference con Addenda a cura di Carnacki; alcuni saggi di tal professor Garder (Experiments with a Medium e Astral Vibrations Compared with Matero-involuted Vibrations Below the Six-Billion Limit); False Re-Materialisation of the Animate-Force through the Inanimate-Inert sembra invece non un testo ma il nome di una teoria. Una menzione merita poi il misterioso Rituale Saaamaaa legato a un certo incantesimo di Raaaee (nome di entità?), di pericoloso utilizzo ma in grado di bloccare temporaneamente le forze malefiche… dove l’uso di lettere raddoppiate o triplicate (le edizioni circolanti dei presentano una certa varietà di grafie) già parla il linguaggio degli onómata barbariká, i nomi barbari usati in magia, che – raccomandano gli Oracoli caldaici, fr. 150 – “non [devi] cambiarli mai”.

Poco importa che i chiarimenti tecnici appaiano spesso fumosi, come in un certo linguaggio esoterico da bollettini spiritisti o teosofici, visto che l’insieme resta godibile e divertente al lettore. Lo spiritualismo di queste storie è alla grossa quello di età edoardiana, con l’enfasi sul tema del piano astrale: che però Carnacki collega con un cerchio rotante di gas esterno al pianeta. Lì ristagnerebbero ab-umani e mostruosità esterne come nel mare – si è osservato in relazione alla sua passione per storie di navigazione – allignano mostri marini; ma a reggerlo sarebbero comunque fantomatiche Forze Protettive – “In other words, it is being proved, time after time, that there is some inscrutable Protective Force constantly intervening between the human-soul (not the body, mind you) and the Outer Monstrosities”. Forze dai connotati non chiari, visto che le spiegazioni fantareligiose o demonologiche sono di solito evitate, al di là di alcune somiglianze tra ab-umani e mostruosità esterne coi demoni: si può parlare di una fanta-fisica con forze che conservano e altre che distruggono, ma è probabile che l’autore abbia costruito tutto questo sistema – in qualche rapporto, come detto, con gli scenari febbricitanti dei romanzi – attraverso progressivi colpi di teatro, senza la preventiva organizzazione di una teoria. A complicare le cose è anche l’uso di varianti lessicali rare o inventate (talune presenti solo in certe edizioni), come astarral che sembra intendersi per astral (uno, astarrale/asteriale, aggettivo e l’altro, l’astrale, sostantivo?), Monstrocities (mostruocità? cfr. ferocities, atrocities) per Monstrosities, etc.

Tutto il “sovrannaturale” o piuttosto Ab-naturale dei suoi racconti muove nel segno di energie sfuggenti e impatti sull’etere, ricadute di oscure leggi cosmologiche, forze psichiche e induzioni inconsce di pensiero, sull’onda in fondo delle arzigogolate speculazioni mistico/fisiche tra Sette e Ottocento che nutrono la formazione esoterica dei predecessori di Carnacki, cioè Hesselius e colleghi (“scientifiche” o letterarie: si pensi solo alla fantomatica “forza odica” di Karl von Reichenbach, al “Vril” di Bulwer-Lytton, etc.), ma appunto anche di fantasie spiritualiste o teosofiche coeve. I fantasmi veri e propri sarebbero forze di traumi umani inizialmente inanimate ma che acquisiscono un’inopinata animazione: tra questi fenomeni rilevano in particolare le manifestazioni Aeiirii – in apparenza le più comuni, incapaci di recare una completa materializzazione (cfr. aer come aria?) ma in grado di attaccare oggetti solidi – e Saiitii (anche Saaaiti, Saaitii: cfr. Sais in Egitto?), queste ultime particolarmente allarmanti perché coinvolgono la materia, ma ancora legate a dinamiche umane. A differenza dell’aggressione “demoniaca” di ab-umani e mostruosità esterne, spiriti astrali memori forse delle antiche tiritere di demoni gnostici o di cognizioni magico-astrologiche rinascimentali ma da Carnacki senz’altro riconducibili a nebulose (magari “lunghe migliaia di chilometri”) ed “emanazioni” cosmiche.

Come i grandi detective del poliziesco, Carnacki – ispirato a Sherlock Holmes ma anche a Hesselius – ha le sue fisime: vive in un alloggio da single e racconta i propri casi a quattro amici che poi, puntualmente, butta fuori “in modo amichevole” alla fine della serata. Uno di questi è Dodgson (cfr. Hodgson), una specie di Watson che funge da narratore: un ruolo funzionale a distanziare l’Eroe (un tipetto molto particolare e vagamente bizzoso, come del resto spesso gli indagatori popolari), garantendogli una sorta di camera stagna col mondo misterioso cui si confronta. Si noti l’assonanza onomastica tra il personaggio e lo scrittore; viene del resto il dubbio che a questo richiamo nobile se ne abbini uno più infastidito, quell’hog de Il maiale come possibile storpiatura del nome di Hodgson, pesantemente bullizzato durante la sua esperienza giovanile sul mare. Non si fatica a immaginare le dinamiche derisorie e la trasfigurazione fantastica di questo male in senso cosmico-metafisico.

Come detto, nei racconti il sovrannaturale non entra sempre e il detective deve talora fronteggiare impostori; qualche volta la storia sovrappone i due elementi. E tutto ciò, unito a una scrittura di buon ritmo, permette di mantenere tutt’oggi agli episodi una notevole suspense.

Carnacki influenzerà con potenza la storia del filone. Le sue trovate verranno riprese da altri, sia a livello di ispirazione generale che di singoli dati. Come nel caso di Dennis Wheatley, “il principe degli scrittori thriller” esperto di stregoneria e magia nera, nell’ambito dei casi del duca De Richleau: per esempio in The Devil Rides Out (1934) troviamo non solo gli Ab-humans (cap. 12), ma “the last two lines of the dread Sussamma Ritual” (cap. 27) – come in La stanza che fischiava la quasi omofona “Unknown Last Line of the Saaamaaa Ritual” –, e i Signori della Luce intervengono a tutela dell’anima dei buoni in modo molto simile alle Forze Protettive di Hodgson… Con la differenza però che Wheatley riconduce il tutto a una tradizionale dialettica religiosa luce/tenebra, mentre nei casi di Carnacki l’ottica resta più ambiguamente fantafisica.

Inevitabile che un personaggio tanto promettente conosca nel tempo una ricca serie di sviluppi anche apocrifi, come in chiave di pastiche – nel meraviglioso fumetto di Alan Moore e Kevin O’Neill The League of Extraordinary Gentlemen, nelle puntate: Black Dossier (2007) e Century (2009), nelle storie del Diogenes Club di Kim Newman e in Sherlock Holmes: The Breath of God di Guy Adams (2012) – e persino in esplicite parodie, quali The Dragonhiker’s Guide to Battlefield Covenant at Dune’s Edge: Odyssey Two di David Langford (1988) e The Sniffling Room di Rick Kennet (2000). In precedenza si è citata la categoria dei rivali di Sherlock Holmes: e Carnacki approda sugli schermi una volta sola, nel 1970, appunto nella serie televisiva inglese The Rivals of Sherlock Holmes, interpretato da Donald Pleasence in un adattamento del racconto Il cavallo dall’invisibile (The Horse of the Invisible, 1910). Ma il cinema ha celebrato un gruppo di personaggi che in termini parodistici sembrano dovere molto alla lezione di Carnacki: e si parla della squadra di Ghostbusters, i dottori Peter Venkman (Bill Murray), Raymond Stantz (Dan Aykroyd) e Egon Spengler (Harold Ramis) dei due esilaranti film di Ivan Reitman (1984 e 1989), a monte di una serie di altri prodotti (un pallido reboot 2016, serie di cartoni animati, fumetti, videogame, giochi di ruolo…). Certo, non c’è il Pentacolo Elettrico, ma a fronteggiare spettri e divinità ancestrali soccorrono trovate tecnologico-occultistiche che ne costituiscono una sorta di ideale derivazione.

Tutto facile, insomma? Be’, non proprio. Anzitutto perché l’armamentario di Carnacki non ci garantisce – è lui ad ammetterlo – una protezione completa contro le forze dell’ab-umano, a differenza di quanto accade in molte tranquillizzanti avventure dei suoi colleghi: e del resto non si vedrebbe come, in un orizzonte – evocato dai romanzi, ma in fondo alluso dalla confusa cosmogonia dei racconti – su cui si levano nubi nerissime. Carnacki e i suoi amici possono garantirsi il rituale tranquillizzante di quattro chiacchiere attorno a un tavolo e un buon dopocena a base di storie di spettri, veri o farlocchi. Ma quel che attende il pianeta, tra bufere eteriche, apocalissi astrali e infestazioni di Monstrocities incomprensibili, resta sullo sfondo, come un panorama assurdamente altro fuori dalla finestra con le tendine: ed è persino più tremendo dell’allucinata escatologia lovecraftiana – perché persino meno comprensibile, oltre che meno telefonato da un fandom di devoti. Dunque non siamo troppo frettolosi nel giudicare questi racconti, lasciamo che ci sorprendano. Nel nostro rifugio in mezzo al Pentacolo Elettrico ci resta qualche buon motivo per tremare.

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