#di Nadia Urbinati
Sembra che tutta la responsabilità sia dei cittadini. Dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? La scienza non ha tutte certezze, quanto durerà la “temporanea” limitazione della libertà?
Sembra di capire che la responsabilità di tutto ricada sui cittadini – abituati alla loro libertà, che reclamano il bisogno di fare un po’ di moto. E dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? Vi è amnesia delle scelte prese in un recente passato, scelte che hanno maltrattato e indebolito il sistema sanitario pubblico? Parliamo, per esempio, delle scelte della Regione Lombardia. Secondo i dati del Ministero della Salute (consultabili sul web) l’anno 2017 mostra questo: i ventilatori polmonari erano 1 ogni 4.130 abitanti in Lombardia; 1 ogni 2.500 in Emilia-Romagna; 1 ogni 2.250 abitanti in Toscana, e 1 ogni 2.550 abitanti in Veneto. Il rischio di collasso del sistema è già contenuto in questi numeri.
La responsabilità è l’arma che i cittadini nelle democrazie costituzionali hanno e che le norme, anche quelle che regolano un’emergenza come questa, presumono – non ci sono altre misure. Non si cono scorciatoie. Non c’è posto per la repressione militare e lo stato di polizia. In aggiunta, la nostra responsabilità non è illimitata e non può essere contrastata con la minaccia di maggiori repressioni. Ma vi è anche un risvolto etico in questa politica della minaccia: non possiamo come cittadini accettare di portare sulle nostre spalle tutto il peso dei limiti del sistema sanitario – del resto deleghiamo le funzioni di governo, non governiamo noi direttamente. E le scelte dei governi, nazionali e regionali, devono essere contemplate nell’attribuzione dei livelli di responsabilità. E invece, non abbiamo sentito ancora una parola di autocritica.
Non dovremmo vergognarci di mettere in dubbio questa logica di un’escalation della repressione. Se la nostra libertà è il problema, allora c’è poco altro da dire.
Ci viene detto che reprimere e chiuderci in casa è una soluzione temporanea. Ma quanto durerà il “temporaneo”? Gli scienziati non sembrano sicuri di saper dare una risposta certa – e sulle loro certezze si basano, invece, le scelte dei nostri governanti. Non conoscono ancora bene il modo in cui il virus si diffonde e come e se muta e spesso dissentono tra loro prendendosi anche a male parole in pubblico, come fanno i politici. Se la scienza sulla quale questo intero sistema di limitazione delle nostra libertà non ha certezza, perché scandalizzarsi tanto con noi profani che ci ostiniamo a cercare il sole e l’aria, e che stiamo lentamente andando in depressione? Dobbiamo per caso attendere il vaccino prima di uscire di casa? E dobbiamo sentirci in colpa per la resilienza di questo virus o subire reprimende da parte di chi ci governa per sollevare questi dubbi?
Più delle norme emergenziali, si deve temere l’espansione di questa mentalità dispotica, che vorrebbe neutralizzare dubbi e domande. Tacere e obbedire. Ma non è un male fare le pulci al vero se, sosteneva J.S. Mill, il vero si atteggia a dogma – se poi è un ‘vero’ in costruzione, allora i dubbi e le domande sono perfino un bene!