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Articolo di Bernardo Severgnini
“Non avrai nulla e sarai felice” è uno dei più celebri slogan prodotti dal World Economic Forum (WEF), organizzazione finanziata dalle più grandi multinazionali del pianeta, che ogni anno raduna a Davos, in Svizzera, esponenti di primo piano della politica e dell’economia internazionale con intellettuali e giornalisti accuratamente selezionati, per discutere delle questioni più importanti che il mondo si trova ad affrontare, anche in materia di salute e di ambiente.
Lo slogan, in originale ”You’ll own nothing. And you’ll be happy” che potete vedere qui, se recepito con superficialità, può richiamare aspetti della decrescita felice, ma che in realtà, se analizzato a fondo, rappresenta un concetto ben diverso.
Da sempre, e ancor più oggi, nel mondo dell’immagine, dei twit e della propaganda fatta a slogan, il lessico è un’arma che il potere utilizza con disinvoltura e con malizia per affermare e conservare sé stesso, per neutralizzare il dissenso e per contrastare le pulsioni verso un reale cambiamento del sistema. La storia è piena di esempi in questo senso: il termine anarchia, che di per sé indica una forma di organizzazione che supera le forme di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, è stato nel tempo caricato di accezioni violente, è stato fatto diventare sinonimo di disordine, è stato snaturato del suo significato autentico. Oppure in tempi più recenti sovranismo, che di per sé indica il diritto dei popoli a non essere etero-diretti, principio scomodo per i progetti globalisti, è stato fatto diventare sinonimo di razzismo e xenofobia.
Quando la propaganda di regime non riesce nell’intento di distruggere un termine a lei scomodo, tende a farlo proprio, snaturandone il significato a proprio vantaggio.
E’ il caso ad esempio del termine democrazia, troppo positivo per poterlo rendere sgradevole agli occhi dell’opinione pubblica, che viene oggi usato per definire istituzioni altamente oligarchiche come l’Unione Europea. Oppure il termine ecologia, usato per promuovere operazioni commerciali di greenwashing che ben poco hanno contribuito e contribuiranno al miglioramento delle condizioni ambientali.
Anche il termine decrescita ha ricevuto un trattamento particolare, lo si è caricato di significati che non gli appartengono, come se volesse perseguire la povertà o il rifiuto della modernità. Questo è servito per allontanare l’opinione pubblica dai reali concetti e dai reali principi che la decrescita felice propone, e che se messi in pratica, rappresenterebbero un duro colpo al business di quei gruppi di potere di cui la propaganda si fa portavoce.
Ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato nell’approccio del sistema mediatico mainstream nei confronti della decrescita. Se è vero che il vocabolo in sé continua ad essere disprezzato e deriso, è anche vero che la prospettiva di una inevitabile necessità di ridurre i consumi globali nel prossimo futuro è sotto gli occhi di tutti, WEF compreso. Da qui l’urgenza di governare il periodo di sobrietà forzata che i signori di Davos hanno predisposto per le masse per i prossimi anni. Fare in modo che le masse lo accettino senza remore, e possibilmente con entusiasmo. Ecco il senso dello slogan non avrai nulla e sarai felice, uno slogan che strizza l’occhio alla decrescita felice, pur senza nominarla.
Uno slogan che richiama troppo da vicino la decrescita felice per non rischiare di essere frainteso. E’ importante dunque che si mettano in chiaro in modo netto le differenze tra ciò che si intende con decrescita felice e ciò che invece intendono a Davos.
Innanzitutto, questo slogan non dice “non avremo niente”, ma dice “non avrai niente”.
Non si usa il verbo alla prima persona plurale, ma alla seconda singolare. Scelta di parole curiosa promossa da chi partecipa al Forum di Davos volando su jet privati e consumando migliaia di volte più dei normali cittadini, personaggi che difficilmente rinunceranno ai loro privilegi. Ecco, la decrescita felice non è nulla di tutto questo. Non ci può essere decrescita felice senza uguaglianza sociale. In una società della decrescita non è prevista una classe sociale di super ricchi che sta al di fuori e al di sopra.
Inoltre, l’uso dei modi e tempi verbali sembrano indicare un futuro certo e inevitabile, come se fosse già tutto scritto.
Hanno deciso così e ci vogliono informare della loro decisione, non è previsto un confronto costruttivo. I dibattiti, questi metodi novecenteschi che fanno solo perdere tempo! Anche qui, non c’è nulla di più distante dalla decrescita felice, che promuove un modello di società dove le decisioni partono dai confronti con le comunità, non certo dai CEO di qualche multinazionale.
Infine, la decrescita felice significa scegliere di rinunciare a quel superfluo che diventa dannoso.
Non significa dover rinunciare a ciò che serve, ma semmai ottimizzare, attraverso la condivisione, la fruizione di beni e servizi che saranno comunque sempre nella disponibilità di tutti. E’ qualcosa di molto diverso da “non avrai nulla”.
Ricordiamoci sempre che la decrescita felice è una società di abbondanza condivisa, una società non realizzabile singolarmente, ma solo attraverso la condivisione e la collaborazione. Una società che non ci potrà venire imposta, ma potrà solo essere scelta attraverso processi democratici. Per questo motivo, non si potrà realizzare senza che i suoi concetti rivoluzionari siano diffusi nella cultura popolare. La comunicazione è dunque la nostra sfida più grande. Una comunicazione che sappia resistere alle trappole semantiche del potere, e che al contrario sappia rappresentare la scintilla in grado di aprire una grande stagione di lotta collettiva per la giustizia sociale e ambientale.