Riprendiamo un testo di Rise Up 4 Climate Justice sulla tragica alluvione che ha colpito la scorsa notte le Marche. Un evento che, come tanti altri, viene dipinto come “eccezionale”, ma che invece rappresenta la drammatica norma della crisi ecologica. Questa volta il prezzo in termine di vite umane è stato altissimo: al momento si contano 10 morti, 4 dispersi e oltre 50 feriti. Sono centinaia le abitazioni distrutte o gravemente danneggiate.
Stanotte nelle Marche una forte alluvione ha colpito le province di Ancona e Pesaro-Urbino. I comuni intorno al Mise sono stati sommersi e al momento si contano nove vittime e quattro dispersi. Alle popolazioni colpite da lutto e distruzione va tutta la nostra solidarietà.
In poco più di due ore sono caduti 420mm di pioggia, l’equivalente di circa sei mesi di precipitazioni in tempi “normali”. Dopo una lunga estate di siccità, ora le alluvioni. Un controsenso? Niente affatto. È il normale corso della crisi climatica, che dalla fascia equatoriale spinge più a nord e più a sud i fenomeni atmosferici tropicali.
In queste ore si sta cercando di capire meglio se vi siano state altre concause: le piogge fortissime hanno causato smottamenti ad alta quota, provocando lo sradicamento di moltissimi alberi. I tronchi, spinti dalla forza dell’acqua, sono scesi a valle e si sono incastrati sotto un ponte, determinando l’alluvione delle aree intorno agli argini.
Stando a questa ricostruzione, probabilmente ancora parziale, possiamo comunque dire almeno due cose. Che per quanto questo sia il “normale corso del surriscaldamento globale”, nel surriscaldamento globale di questa era non c’è nulla di normale. Non c’è nulla di naturale nelle tonnellate di CO2 che da circa duecento anni vengono pompate nell’atmosfera, nei combustibili fossili che vengono estratti, nella produzione industriale di merci che non servono a nessuno se non a chi le produce. Non c’è nulla di naturale nella cementificazione selvaggia, nelle grandi opere, nelle mega farm, nella monocoltura intensiva.
E la colpa di tutto ciò non è di una doccia troppo lunga, di un termosifone di mezzo grado più alto del consentito. La colpa di non è di quellə a cui viene chiesto di sacrificarsi, di fare i “piccoli gesti”. È di chi estrae impunemente milioni di metri cubi di gas e petrolio, dei governi e delle istituzioni che lo consentono, delle multinazionali che avvelenano la terra e l’aria, delle compagnie assicurative che le tutelano, delle banche che investono e speculano su materie prime e crisi climatica.
La seconda riflessione è che, al netto del fatto che fenomeni atmosferici come quelli di ieri non dovrebbero riguardare le nostre latitudini, il territorio non era minimamente preparato. Questa non è la prima alluvione nella zona del Mise, ma dall’ultima del 2014 non ci sono stati interventi di messa in sicurezza. La manutenzione ordinaria delle aree boschive, dei letti fluviali, non avviene. Non è una priorità. Anzi, le aree interne in particolare vengono sempre più abbandonate, in termini di investimenti economici e sociali.
E questa è una colpa, è una responsabilità ben precisa: di chi amministra i territori, di chi sceglie e ha scelto di non interessarsi della sicurezza e del benessere delle comunità di cui si dice rappresentante.
Colpevole è l’incuria, colpevole la deregolamentazione.
Da mesi, da anni cerchiamo di fare capire che il clima ha dei nemici con nomi, cognomi, acronimi chiari. Un messaggio che – stando alle manifestazioni, alle proteste, alle azioni dirette, alle campagne che ogni giorno attraversano il pianeta – viene recepito e capito perfettamente dalle “persone comuni”, ma sistematicamente ignorato da istituzioni, governi, multinazionali.
E allora proviamo a dirglielo ancora una volta, tuttə insieme, a voce alta. Il 23 settembre andiamo a dirlo chiaramente che otto persone sono morte questa notte perché le loro vite valevano meno di un barile di petrolio, di un gasdotto, di un fertilizzante.