Non è “la vita degli altri”. È la nostra.

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di Marco Schiaffino (Attac Milano)

Si chiama “digital transformation” e le sue conseguenze non si declinano solo in termini più o meno “simpatici” come startup, industria 4.0, realtà aumentata o cittadinanza digitale. Il lato oscuro della digital transformation fa rima con parole molto meno rassicuranti, come “controllo” e “repressione”. Quello che l’evoluzione tecnologica si trasformi in un vero incubo, infatti, è un rischio decisamente più concreto di quanto venga percepito normalmente.

Nella seconda settimana di aprile, la Commissione Giustizia della Camera ha discusso un provvedimento riguardante le intercettazioni. A leggere certa stampa si sarebbe trattato della solita querelle sulle intercettazioni, caratterizzata dall’opposizione tra “legalisti” e “mariuoli”. Il provvedimento, almeno da un punto di vista formale, riguardava esclusivamente le tariffe per le attività di spionaggio. In realtà, il documento si spingeva parecchio in là. Perché nella definizione delle “prestazioni” era compresa l’acquisizione di tutte le email e i documenti memorizzati sul dispositivo intercettato. Insomma: una sorta di perquisizione a tappeto.

E che le intercettazioni stiano diventando un fenomeno fuori controllo, lo dimostrano anche le recenti vicende legata alle indagini della procura di Trapani sulle ONG e della procura di Locri nel caso Mimmo Lucano, in cui i PM hanno intercettato decine di giornalisti pur di acquisire informazioni per sostenere le loro accuse.

Il tutto in un calderone in cui diventa difficile capire chi abbia “stimolato” le indagini. Oltre alla magistratura, infatti, possono intervenire forze di polizia, servizi segreti, governo (il Ministero dell’Interno) e chiunque abbia titolo ad avviare una qualsiasi “raccolta di informazioni”.

A livello di opinione pubblica, il tema viene trattato come se vivessimo ancora negli anni ’60 e le intercettazioni di cui si parla fossero semplici registrazioni di chiamate telefoniche. Non è più così. L’uso dei cosiddetti “trojan di stato” permette di rastrellare in un attimo messaggi, chat, email e documenti di qualsiasi “indiziato”. Il tutto con la partecipazione (poco e mal regolata) di società private che offrono i loro “servizi” alle autorità competenti e che, potenzialmente, hanno accesso a tutti i dati sottratti.

Un “cocktail securitario” che è composto da una parte di sciatteria, due parti di ignoranza e tre parti di desiderio di disinnescare qualsiasi contestazione nei confronti dell’autorità costituita. A noi il compito di rivendicare la vera “sicurezza”: quella di non essere vittime di una repressione tecnologica di massa.

Photo Credits: Image by succo from Pixabay

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 46 di maggio-giugno 2021:  “La salute non è una merce

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