Padova – “Dove abita la libertà?”. Contro ogni deriva autoritaria e securitaria

Sabato 15 febbraio a Padova 22 persone sono state fermate dalla polizia dopo aver risposto a una provocazione neofascista e tenute in Questura per molte ore. Tre di loro sono state arrestate ma immediatamente rimesse in libertà, 12 hanno ricevuto un foglio di via di 4 anni, con effetto immediato, le altre 10 hanno ricevuto l’ Avviso Orale del Questore. 

Insomma, mentre il reale svolgimento dei fatti e le responsabilità oggettive restano ancora tutte da acclarare, l’autorità di Pubblica Sicurezza si è lanciata a perdifiato nella via delle sanzioni discrezionali, irrogabili arbitrariamente ed immediatamente efficaci.

Non è la prima volta, purtroppo: la grande cronaca confina in un trafiletto a piè di pagina le decine di casi di questo tipo, si pensi alle campagne persecutorie contro l’attivismo ambientale, gruppi come XR o Ultima Generazione; si pensi alla sorveglianza speciale, comminata ad attiviste ed attivisti di ritorno dal Kurdistan, ritenuti socialmente pericolosi per il solo fatto di essere stati in Rojava.

Non basta. Le disposizioni amministrative sono le stesse che dal 1998 permettono di rinchiudere migranti nei CPR: ora fino a 18 mesi una persona può essere privata totalmente della libertà di circolazione e movimento, per una disposizione amministrativa. Senza processo, senza difesa, senza dibattimento: sollevando completamente l’accusa dall’onere della prova, si presume colpevolezza acclarata ed irreversibile, tocca a chi subisce la sanzione difendersi liberandosi in prima battuta dalla stigmatizzazione sociale. Stigma sociale in larga misura costruito, serve ricordarlo, dai titoloni sensazionalistici della misera stampa locale.

In questo caso si tratta di persone radiate dalla città:  studiano all’università, sono titolari di contratti di affitto, alcune lavorano e, in ogni caso, fanno parte di quella fetta di popolazione che caratterizza Padova socialmente, culturalmente, ed anche economicamente. Motori attivi insomma di un organismo complesso chiamato città, una città – Padova, come molte in Italia, resa viva  proprio dalla componente universitaria. Già questo basterebbe a dimostrare che ci troviamo di fronte a una  misura che non guarda alla realtà delle cose. Data sulla base di una presunta assenza di rapporti con il territorio, ignora il fatto che ognuna di queste persone avesse una rete sociale, un’occupazione, un progetto di vita in città.

L’attuale Governo Meloni non fa che accelerare una torsione autoritaria ormai in atto da un decennio buono, il cui ingrediente fondamentale sono proprio gli strumenti del diritto amministrativo, più che il codice penale – modificato solo per aumentare le pene. l’ Questo è lo strumento cardine di un nuovo autoritarismo estremo, che tende alla marginalizzazione di una parte importante della nostra società e mira ad uno stato securitario e repressivo del dissenso e della cosiddetta devianza sociale. 

I fogli di via non sono altro che uno strumento vecchio, di derivazione monarchica e di uso fascista, utilizzato in questo nuovo paradigma applicato alla gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica, che mira esclusivamente ad espellere  ogni forma di dissenso e non conformità, in nome del decoro e della lotta al degrado. In questa direzione vanno infatti molti dei provvedimenti presi dal governo in termini di decoro, di sicurezza, di migrazione: dal decreto Caivano, al ddl Sicurezza, al ddl Zaffini, al decreto Cutro. Una serie di misure che – inserite in un contesto di smantellamento del Welfare – assumono i connotati di una vera e propria guerra ai poveri.

Nella nostra città abbiamo avuto ben presto occasione di osservare questa deriva autoritaria  questa deriva autoritaria. In primis con l’istituzione delle “zone rosse”, chiamate a Padova “zone ad alto impatto” (per nascondere sotto una foglia di fico il fatto che una giunta di centro sinistra stia applicando alla lettera una direttiva espressamente di destra), un provvedimento che individua alcune zone in città, inotrno alla stazione e del centro, dov’é vietato l’accesso a soggetti ritenuti pericolosi, sulla base di precedenti penali o comportamenti potenzialmente lesivi della sicurezza pubblica.

Le prima multe nei confronti di alcune persone senza dimora  non sono tardate ad arrivare, così come un massiccio aumento dei controlli da parte delle forze dell’ordine, spesso guidati da dinamiche di profilazione razziale. Non a caso i giornali esultano, in questi giorni, celebrando come una vittoria il fatto che le strade siano vuote: vuoto determinato dalla paura generata nella componente sociale – migrante per lo più – che usualmente fruisce di servizi ubicati, e non per caso, proprio in queste strade, come mense popolari e sportelli legali, nonchè esercizi commerciali condotti da migranti già stabilmente insediati in città. Seguendo alla lettera le misure securitarie guidate dal principio del “decoro urbano”: l’unica soluzione proposta è quella di allontanare dagli occhi, marginalizzare ancora di più cacciando nell’invisibilizzazione più di quanto non fosse già, quella  componente cittadina che si trova in stato di indigenza per causa delle politiche razziste e classiste dei governi degli ultimi anni. Ora la situazione precipita!

Alla luce di tutto ciò, ci chiediamo: dove abita la libertà? 

La repressione che ha colpito le antifasciste e antifascisti non è un fulmine a ciel sereno, ma il farsi pratica di un nuovo sistema di prassi amministrative che si staglia dentro un quadro ideologico ben definito: Stato autoritario, azione poliziesca immediata e senza discussione, espulsione – da una sola piazza, da una sola città, dal territorio dello Stato. La torsione autoritaria sposta dal giudice al questore, annulla il tempo, per svuotare lo spazio urbano, civico e civile di ogni forma di presenza non immediatamente funzionale alla riproduzione economica dei piccoli commerci o della rendita immobiliare. La libertà insomma non può risiedere nelle città, e per di più: costa! l’opposizione ad un provvedimento amministrativo si fa presso i TAR, Tribunali Amministrativi Regionali, che richiedono il versamento di un “contributo unificato” di 650 Euro: la paga mensile di un rider arriva a tanto!

Poveri, giovani, migranti, persone con disagi mentali: voilà chi turba il quieto passeggiare nel borgo storico, da scacciare e possibilmente farlo nel silenzio e senza troppo clamore, che nessuno lo sappia! 

Per questo nasce questa campagna: per unire e mettere in luce sia le dinamiche più strettamente politiche con poi le ricadute vere che colpiscono chi non rispetta i criteri di socialità imposti, per alzare la voce e non chinare mai la testa davanti a niente e nessuno, questore giudice o governante che sia!

Uniamoci, prendiamo parola e organizziamoci assieme: le condizioni di guerra globale permanente in cui viviamo da 20 anni ora stanno deflagrando, e lorsignori stanno semplicemente cercando di creare il nemico interno. Ecco dunque perché i processi autoritari si rafforzano identificando e opprimendo un ‘nemico interno’, creando costantemente un clima di paura e controllo che giustifica qualsiasi oppressione in nome della “ragion di Stato”.

Con un occhio attento alla marginalità, proprio per questo è necessario riconoscersi tra chi, da questi provvedimenti che hanno come obiettivo la società tutta, ne è più colpito. Bisogna creare così una nuova solidarietà, di resistenza ma anche di rilancio, che vada oltra la sola sopravvivenza legale e burocratica quotidiana, e trovi nuove forme di vita sociale e comune.

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