A Padova – in pieno giorno e nella centralissima via Roma – succede che tre agenti della polizia municipale fermino un ragazzo di origine africana, gli stringano il collo, lo scaraventino a terra e lo blocchino per diversi minuti comprimendogli il torace. Una scena purtroppo vista tante volte in giro per il mondo, che immediatamente rimanda a quanto accaduto poco meno di un anno fa a Minneapolis, a quel “I can’t breathe” disperato urlato da George Floyd in fin di vita, a quell’uccisione che ha rotto gli argini di secoli di razzismo e privilegio bianco. L’unica “colpa” del ragazzo sarebbe stata quella di aver pedalato in pista ciclabile contromano.
Padova non è Minneapolis, per fortuna in questo caso. Ma l’episodio poteva avere conseguenze molto più gravi se non ci fossero stati le proteste dei passanti e le riprese fatte da un ragazzo con il suo smartphone e diffuse sui social network. Le scene fanno il giro del web e suscitano immediatamente un moto spontaneo e collettivo di indignazione, tanto più che l’episodio accade il 25 aprile, in una città che ancora ricorda l’eroismo della Resistenza al nazifascismo e che vanta di avere un ateneo – l’unico in Italia – che ha ricevuto la medaglia d’oro al valor militare.
Ma non occorre andare troppo indietro con gli anni per ricordare quanto Padova sia poco incline a subire inerme episodi di sopraffazione simili e in particolare contro gli abusi in divisa. Basti ricordare la partecipazione di massa in sostegno a Black Lives Matter, culminata nel grande murales colorato che fiancheggia corso Milano per denunciare proprio la morte per soffocamento di George Floyd.
In poche ore è stato lanciato un presidio sotto la sede del Corpo di Polizia Municipale, in via Gozzi, che ha richiamato tantissime persone. Nel corso del presidio è stato affisso sulla sede uno striscione con la scritta “No Justice No Peace”, che richiama le mobilitazioni globali contro gli abusi di polizia. Numerosi interventi al microfono, molti dei quali fatti da persone di origine non europea e da seconde generazioni, hanno denunciato il carattere sistemico di questi episodi, soprattutto quando commessi ai danni di soggetti razzializzati.
Sono state raccontate le paure e le angosce delle persone non bianche nel circolare nella città in cui vivono, gli sguardi sempre minacciosi da parte delle forze dell’ordine, la costante aria di intimidazione sociale che si è aggravata con le misure per contenere il Covid. È stato inoltre chiesto a gran voce l’istituzione immediata di strumenti per “controllare i controllori”, come ad esempio il numero identificativo per le forze dell’ordine, e la destinazione di risorse utilizzate per l’ordine pubblico a sanità e welfare.
Ma è stata anche fatta luce sull’importanza delle pratiche mutualistiche e solidali, le uniche in grado di infondere un reale senso di protezione per la comunità.
Infine sono state indicate le responsabilità politiche di chi governa la città, che troppo spesso si trincera dietro proclami di giustizia e integrazione, ma che non ha mai fatto realmente passi in avanti per uscire dalle classiche logiche securitarie.