Tante volte abbiamo scritto dei modi in cui il braccio giudiziario del «Sistema Torino», si accanisce contro la lotta No Tav.
Nel corso degli anni dieci la magistratura del capoluogo piemontese ha sviluppato un vero e proprio «diritto penale di lotta» – o «diritto penale del nemico» – il cui fine non è vagliare i fatti per stabilire le responsabilità concrete di un imputato, ma criminalizzarne il carattere e le scelte di vita, le abitudini e predilezioni, le amicizie e frequentazioni.
Volta per volta, si prende di mira lo stile di vita di un singolo per tentare di isolarlo dalla comunità. Si punta a disarticolare il movimento No Tav, che è fatto soprattutto di relazioni, mutuo appoggio, convivialità. Tanto le misure cautelari quanto le sentenze di condanna riflettono questa strategia di fondo. Si è arrivati addirittura a criminalizzare la scelta stessa di risiedere in Valsusa: non andare a vivere altrove è ritenuta – citiamo testualmente – un’«aggravante». Di fatto, un intero territorio è considerato complice dei crimini che presuntamente vi sono commessi.
Di recente, a fare le spese di questa concezione del diritto è stata la compagna Dana Lauriola, condannata a due anni di carcere per aver parlato al megafono durante un’occupazione dell’autostrada Torino-Bardonecchia risalente al 2012, ai giorni in cui Luca Abbà, caduto da un traliccio dell’alta tensione, era in coma e in bilico tra vita e morte. Un’occupazione pacifica, fatta di cori e violini, che procurò alla Sitaf – società che gestisce l’autostrada – danni economici irrisori. Per Dana, otto anni dopo, nessuna misura alternativa, e tra le «aggravanti» messe nero su bianco dai giudici c’è proprio quella di cui sopra: la decisione di vivere in valle, a Bussoleno.
Lo stesso giorno in cui le guardie sono venute a prendersi Dana, distribuendo qualche manganellata già che c’erano, è stato arrestato un altro No Tav, Stefano Milanesi. I giornali, come già accaduto altre volte, lo hanno messo alla gogna in quanto «ex terrorista», e bontà loro che hanno messo «ex».
Più di quarant’anni or sono, Stefano fece parte di Prima Linea. Arrestato a diciannove anni nel ’77, scarcerato a ventisette nell’85, oggi di anni ne ha sessantadue e nel frattempo ha fatto un sacco di cose, una vita piena e innervata alla lotta No Tav, ma non c’è niente da fare, per i cagatitoli della Busiarda (ma non solo) è un «uomo a una dimensione»: quella dimensione là. Pietrificato a quand’era adolescente, per poter dire che il movimento è un grande «covo».
Chi vuole conoscere altre dimensioni di Stefano, può cominciare da questa lunga intervista, anch’essa – come l’occupazione dell’autostrada – risalente a quel fatidico 2012.
Ingolfati come siamo, nei giorni scorsi abbiamo avuto riflessi lenti, e di questo doppio arresto non avevamo ancora scritto nulla. Sia dunque fatta lode alle nostre sorelle e fratelli di Alpinismo Molotov, che hanno raccolto le idee e collettivamente hanno scritto un articolo perfetto. Noi non abbiamo che da rilanciarlo. → Buona lettura.
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