Perché i media non raccontano tutta la storia delle alluvioni in Libia

Jonathan Cook – declassifieduk.org – 15 settembre 2023

La realtà dell’attuale politica estera dell’Occidente – commercializzata negli ultimi due decenni con il principio della “Responsabilità di proteggere” – è fin troppo visibile tra le macerie dell’alluvione libica.

Molte migliaia di persone sono morte o disperse nel porto di Derna, dopo che due dighe che proteggevano la città hanno ceduto questa settimana sotto i colpi della tempesta Daniel. Vaste aree di abitazioni nella regione, compresa Bengasi, a ovest di Derna, sono in rovina.

La tempesta stessa è considerata un’ulteriore prova della crescente crisi climatica, che sta cambiando rapidamente i modelli meteorologici in tutto il mondo, rendendo più probabili disastri come l’inondazione di Derna.

Ma la portata della calamità non può essere semplicemente attribuita al cambiamento climatico. Anche se la copertura mediatica oscura volutamente questo punto, le azioni della Gran Bretagna di 12 anni fa – quando si vantava della sua preoccupazione umanitaria per la Libia – sono intimamente legate alle attuali sofferenze di Derna.

Gli osservatori sottolineano giustamente che il cedimento delle dighe e l’inefficacia dei soccorsi sono il risultato di un vuoto di potere in Libia. Non esiste un’autorità centrale in grado di governare il Paese.

Ma ci sono ragioni per cui la Libia è così poco attrezzata per affrontare una catastrofe. E l’Occidente è profondamente coinvolto.

Evitare di menzionare queste ragioni, come sta facendo la stampa occidentale, lascia al pubblico un’impressione falsa e pericolosa: che ai libici, o forse agli arabi e agli africani, manca qualcosa li renda intrinsecamente incapaci di gestire correttamente i propri affari.

Politiche disfunzionali

La Libia è di fatto un disastro, invasa da milizie in lotta tra loro, con due governi rivali che si contendono il potere in un’aria generale di illegalità. Anche prima di quest’ultimo disastro, i governanti rivali del Paese faticavano a gestire la vita quotidiana dei loro cittadini.

Come ha osservato Frank Gardner, corrispondente della BBC per la sicurezza, la crisi è stata “aggravata dalla politica disfunzionale della Libia, un Paese così ricco di risorse naturali eppure così disperatamente privo della sicurezza e della stabilità che il suo popolo desidera“.

Nel frattempo, Quentin Sommerville, corrispondente dell’agenzia per il Medio Oriente, ha affermato che “ci sono molti Paesi che avrebbero potuto gestire un’inondazione di questa portata, ma non uno così travagliato come la Libia. Ha avuto un decennio lungo e doloroso: guerre civili, conflitti locali e la stessa Derna è stata conquistata dal gruppo dello Stato Islamico – la città è stata bombardata per allontanarli da lì“.

Secondo Sommerville, gli esperti avevano già avvertito che le dighe erano in cattive condizioni, aggiungendo: “Nel caos libico, questi avvertimenti sono rimasti inascoltati“.

Disfunzione“, “caos“, “travagliato“, “instabile“, “spaccato“. La BBC e il resto dei media britannici hanno sparato questi termini come proiettili di una mitragliatrice.

La Libia è ciò che gli analisti amano definire uno Stato fallito. Ma ciò che la BBC e il resto dei media occidentali hanno accuratamente evitato di dire è il perché.

Cambio di regime

Più di dieci anni fa, sotto il dittatore Muammar Gheddafi, la Libia aveva un governo centrale forte e competente, anche se altamente repressivo. I proventi del petrolio del Paese venivano utilizzati per fornire istruzione e assistenza sanitaria pubbliche gratuite. Di conseguenza, la Libia aveva uno dei tassi di alfabetizzazione e un reddito medio pro capite più alti dell’Africa (neretto aggiunto dal Traduttore).

Tutto è cambiato nel 2011, quando la NATO ha cercato di sfruttare il principio della “Responsabilità di proteggere”, o in breve R2P, per giustificare l’esecuzione di un’operazione illegale di cambio di regime a seguito di un’insurrezione.

Il preteso “intervento umanitario” in Libia è stato una versione più sofisticata dell’invasione dell’Iraq, altrettanto illegale, l’operazione “Shock and Awe” da parte dell’Occidente, otto anni prima.

Al tempo, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lanciarono una guerra di aggressione senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite, sulla base di una storia del tutto fasulla secondo cui il leader iracheno, Saddam Hussein, possedeva scorte nascoste di armi di distruzione di massa.

Nel caso della Libia, invece, la Gran Bretagna e la Francia, sostenute dagli Stati Uniti, sono riuscite a ottenere una risoluzione di sicurezza delle Nazioni Unite, con un mandato limitato a proteggere le popolazioni civili dalla minaccia di attacchi e a imporre una no-fly zone.

Armato della risoluzione, l’Occidente ha creato un pretesto per intromettersi direttamente in Libia. Hanno affermato che Gheddafi stava preparando un massacro di civili nella roccaforte dei ribelli, Bengasi. La storia più scabrosa suggeriva addirittura che Gheddafi stesse distribuendo il Viagra alle truppe per incoraggiarle a commettere stupri di massa.

Come per le armi di distruzione di massa dell’Iraq, le affermazioni erano del tutto prive di fondamento, come ha concluso cinque anni dopo, nel 2016, un rapporto della commissione Affari Esteri del Parlamento britannico. L’indagine concluse che: “L’ipotesi che Muammar Gheddafi avrebbe ordinato il massacro di civili a Bengasi non è supportata dalle prove disponibili“.

Il rapporto aggiungeva: “I 40 anni di spaventose violazioni dei diritti umani da parte di Gheddafi non includevano attacchi su larga scala contro i civili libici“.

Campagne di bombardamento

Tuttavia, questa non era un’opinione condivisa dal primo ministro David Cameron o dai media quando i parlamentari britannici votarono a favore di una guerra contro la Libia nel marzo 2011. Solo 13 legislatori dissentirono.

Tra questi, in particolare, c’era Jeremy Corbyn, allora deputato, che quattro anni dopo sarebbe stato eletto leader dell’opposizione laburista, scatenando una lunga campagna diffamatoria contro di lui da parte dell’establishment britannico.

Quando la NATO lanciò il suo “intervento umanitario”, il bilancio delle vittime dei combattimenti in Libia era stimato dall’ONU in non più di 2.000 persone. Sei mesi dopo, il bilancio si avvicinava a 50.000, con i civili che rappresentavano una parte significativa delle vittime.

Citando la sua missione R2P, la NATO ha patentemente superato i termini della risoluzione ONU, che escludeva specificamente “una forza di occupazione straniera di qualsiasi forma“. Le truppe occidentali, comprese le forze speciali britanniche, hanno operato sul terreno, coordinando le azioni delle milizie ribelli che si opponevano a Gheddafi.

Nel frattempo, gli aerei della Nato hanno condotto campagne di bombardamento che spesso hanno ucciso proprio i civili che la Nato sosteneva di dover proteggere.

È stata un’altra operazione occidentale illegale di rovesciamento del regime, che si è conclusa con il filmato di Gheddafi massacrato per strada.

Mercati degli schiavi

Lo stato d’animo autocelebrativo della classe politica e mediatica britannica, che si vanta delle credenziali “umanitarie” dell’Occidente, era evidente in tutti i media.

Un editoriale dell’Observer dichiarò: “Un intervento onorevole. Un futuro pieno di speranza“. Sul Daily Telegraph, David Owen, ex segretario agli Esteri britannico, scrisse: “In Libia abbiamo dimostrato che l’intervento può ancora funzionare“.

Ma ha funzionato?

Due anni fa, persino l’arci-neoconservatore Atlantic Council, il think tank per eccellenza degli insider di Washington, ha ammesso: “I libici sono più poveri, più in pericolo e subiscono in alcune parti del Paese una repressione politica pari o superiore a quella del governo di Gheddafi“.

Ha aggiunto: “La Libia rimane divisa politicamente e in uno stato di guerra civile incancrenita. La frequente interruzione della produzione di petrolio e la mancata manutenzione dei giacimenti petroliferi sono costate al Paese miliardi di dollari di mancati introiti“.

L’idea che la NATO si sia mai preoccupata davvero del benessere dei libici è stata smentita nel momento in cui Gheddafi è stato ucciso. L’Occidente ha immediatamente abbandonato la Libia alla guerra civile che ne è scaturita, quella che il Presidente Obama ha definito “una merda“, e i media che avevano tanto insistito sugli obiettivi umanitari alla base “dell’intervento” hanno perso ogni interesse per gli sviluppi del dopo-Gheddafi.

La Libia è stata presto invasa dai signori della guerra, diventando un Paese in cui, come hanno avvertito i gruppi per i diritti umani, i mercati degli schiavi erano di nuovo fiorenti.

Come ha notato di sfuggita Sommerville della BBC, il vuoto lasciato in luoghi come Derna ha presto risucchiato gruppi più violenti ed estremisti come i tagliatori di teste dello Stato Islamico.

Alleati inaffidabili

Ma parallelamente al vuoto di autorità in Libia, che ha esposto i suoi cittadini a tali sofferenze, c’è il notevole vuoto al centro della copertura mediatica occidentale dell’attuale alluvione.

Nessuno vuole spiegare perché la Libia sia così poco preparata ad affrontare il disastro, perché il Paese sia così frammentato e caotico.

Così come nessuno vuole spiegare perché l’invasione dell’Iraq da parte dell’Occidente per motivi “umanitari” e lo smantellamento dell’esercito e delle forze di polizia abbiano provocato più di un milione di morti iracheni e altri milioni di senzatetto e sfollati.

O perché l’Occidente si sia alleato con i suoi avversari di un tempo – i jihadisti dello Stato Islamico e di Al-Qaeda – contro il governo siriano, causando ancora una volta milioni di sfollati e dividendo il Paese.

La Siria era impreparata, come lo è ora la Libia, ad affrontare il grande terremoto che ha colpito le sue regioni settentrionali, insieme alla Turchia meridionale, lo scorso febbraio.

Questo schema si ripete perché è utile a un Occidente guidato da Washington che cerca la completa egemonia globale e il controllo delle risorse, o quello che i suoi politici chiamanodominio a tutto campo“.

L’umanitarismo è la storia di copertura – per mantenere docili le opinioni pubbliche occidentali – mentre gli Stati Uniti e gli alleati della NATO prendono di mira i leader degli Stati ricchi di petrolio in Medio Oriente e Nord Africa, considerati inaffidabili o imprevedibili, come Gheddafi in Libia e Saddam Hussein in Iraq.

Un leader ribelle

La pubblicazione da parte di WikiLeaks di cablogrammi diplomatici statunitensi alla fine del 2010 rivela un quadro del rapporto mercuriale di Washington con Gheddafi – un tratto caratteriale che, paradossalmente, in una registrazione l’ambasciatore statunitense a Tripoli attribuisce al leader libico.

Pubblicamente, i funzionari statunitensi erano desiderosi di avvicinarsi a Gheddafi, offrendogli uno stretto coordinamento della sicurezza contro le stesse forze ribelli che avrebbero presto assistito nella loro operazione di rovesciamento del regime.

Ma altri cablogrammi rivelano preoccupazioni più profonde per il comportamento di Gheddafi, comprese le sue ambizioni di costruire gli Stati Uniti d’Africa per controllare le risorse del continente e sviluppare una politica estera indipendente.

La Libia possiede le più grandi riserve di petrolio dell’Africa. Chi ne ha il controllo e chi ne trae profitto è di importanza centrale per gli Stati occidentali.

I cablogrammi di WikiLeaks raccontano che le aziende petrolifere statunitensi, francesi, spagnole e canadesi furono state costrette a rinegoziare i contratti a condizioni molto meno favorevoli, con un costo di molti miliardi di dollari, mentre Russia e Cina si aggiudicavano nuove opzioni di esplorazione petrolifera.

Ancora più preoccupante per i funzionari statunitensi era il precedente che Gheddafi stava impostando, creando un “nuovo paradigma per la Libia che si sta riproducendo in tutto il mondo in un numero crescente di Paesi produttori di petrolio“.

Questo precedente è stato decisamente rovesciato dopo la scomparsa di Gheddafi. Come riportato da Declassified, dopo aver atteso il tempo necessario, i giganti petroliferi britannici BP e Shell sono tornati nei giacimenti libici lo scorso anno.

Nel 2018, l’allora ambasciatore britannico in Libia, Frank Baker, scrisse entusiasticamente di come il Regno Unito stesse “contribuendo a creare un ambiente più ammissibile per il commercio e gli investimenti, e a scoprire opportunità per le competenze britanniche per aiutare la ricostruzione della Libia“.

Questo contrasta con le precedenti mosse di Gheddafi per coltivare legami militari ed economici più stretti con la Russia e la Cina, compresa la concessione dell’accesso al porto di Bengasi per la flotta russa. In un cablogramma del 2008, si legge che Gheddafi ha “espresso la sua soddisfazione per il fatto che l’accresciuta forza della Russia possa fungere da necessario contrappeso al potere degli Stati Uniti“.

Sottomettersi o pagare

Sono stati questi fattori a far pendere l’ago della bilancia a Washington contro la permanenza di Gheddafi e a incoraggiare gli Stati Uniti a cogliere l’opportunità di spodestarlo sostenendo le forze ribelli.

L’idea che Washington o la Gran Bretagna si preoccupassero del benessere dei libici comuni è smentita da un decennio di indifferenza nei confronti della loro situazione, culminata nelle attuali sofferenze di Derna.

L’approccio dell’Occidente alla Libia, come all’Iraq, alla Siria e all’Afghanistan, è stato quello di preferire che il Paese sprofondasse in un pantano di divisione e instabilità piuttosto che permettere a un leader forte di agire con un atteggiamento di sfida, di pretendere il controllo delle risorse e di stabilire alleanze con Stati nemici, creando un precedente che altri Stati potrebbero seguire.

I piccoli Stati si trovano di fronte a una scelta cruda: sottomettersi o pagare un prezzo pesante.

Gheddafi è stato massacrato in strada, le immagini sanguinose sono state condivise in tutto il mondo. Le sofferenze dei libici comuni nell’ultimo decennio, invece, passano sotto silenzio.

Ora, con il disastro di Derna, la loro situazione è sotto i riflettori. Ma con l’aiuto dei media occidentali come la BBC, le ragioni della loro miseria rimangono oscure come le acque dell’alluvione.

Jonathan_CookJonathan Cook è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese e vincitore del Premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. Il suo sito web e il suo blog si trovano all’indirizzo www.jonathan-cook.net.

Link: https://declassifieduk.org/why-the-media-arent-telling-the-whole-story-of-libyas-floods/

Scelto e tradotto (IMC) da CptHook per ComeDonChisciotte

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