Da quando è tornato in Italia, Cesare Battisti è sottoposto ad una vera e propria persecuzione. Dal 2019, quando fu estradato dal Sudamerica è praticamente in isolamento senza alcune motivazione, dopo essere stato sottoposto ad una campagna mediatica di linciaggio senza interruzioni.
Al suo arrivo all’aeroporto si presentarono i due ministri/sceriffi Bonafede e Salvini, mentre il mondo politico e, purtroppo, buona parte dell’opinione pubblica esultavano per aver messo le mani sul “mostro” di turno. Appena arrivato fu chiuso ad Oristano e dopo sei mesi di isolamento, sottoposto a regime di alta sorveglianza. Solo dopo le proteste per l’inspiegabile situazione fu trasferito a Rossano Calabro, ma si passò dalla classica padella alla brace. Lì infatti si trovano detenuti accusati di appartenere alla galassia fondamentalista islamica e, come spiega il suo avvocato Maurizio Nucci in una intervista a Radio Onda d’Urto, Battisti ha preso nettamente una posizione non contro il mondo islamico, ma contro le frange estreme e la persecuzione nei confronti delle donne; quindi in questo contesto la sua incolumità è fortemente messa a rischio.
Dal 2 giugno ha iniziato uno sciopero della fame per chiedere semplicemente di interrompere il regime speciale a cui è sottoposto. In un mese ha perso dieci chili e la deputata del Pd Enza Bruno, che lo ha visitato ieri lo ha trovato profondamente debilitato, visto che “si regge in piedi a malapena”. Cesare Battisti ha 66 anni e alcune patologie che potrebbero ulteriormente aggravarsi. C’è il forte timore che le forze possano venire meno.
Il 9 giugno ha inviato la seguente lettera ai suoi cari:
“Mi rivolgo ai miei amati figli, alla compagna di viaggi, ai fratelli e alle sorelle, ai nipoti, agli amici e ai compagni, e ai colleghi di lavoro e a tutti voi che mi avete voluto bene e sostenuto con il cuore.
Chiedo a tutti voi un ultimo sforzo, quello di comprendere le ragioni che mi spingono a lottare fino all’ultima conseguenza in nome del diritto alla dignità per ogni persona detenuta, di tutti.
La mia è una scelta radicale, se scelta si può dire, allorché resta l’unica via decente di difendere l’amor proprio, i valori umani e di giustizia che fin qui avete condiviso con me, la salvaguardia della memoria storica e di quella affettiva.
Il 2 giugno 2021 ho iniziato lo sciopero della fame sapendo che non sarei tornato indietro, perciò cosciente di recarvi un grande dolore.
Ma avendo la certezza che, il tempo alleviando il morso del dolore, voi converreste con me che questo era l’atto più degno che potessi fare per evitare di morire in ginocchio, dopo esse stato spremuto e usato per ogni scopo ignobile del potere.
Sarebbe così tradire i valori di un passato in cui ho creduto, fino alla deriva armata. Non mi sono mai sentito un criminale allora, né mi sento di esserlo oggi pur nella consapevolezza di aver sbagliato. Seguivo, come tanti altri, dei valori fondamentali di diritto per la persona, non posso permettermi di tradirli sulla linea di arrivo.
Ecco perché vi chiedo un’ultima volta di aiutarmi ad essere me stesso e di perdonarmi per il dolore che vi reco.
Voglio che abbiate chiaro che la mia è una lotta di protesta, di rivendicazione dei diritti inalienabili.
Non c’è spazio nella mia decisione per derive di ordine psicologico. Ho delle richieste oggettivamente precise, chiaramente formulate alle autorità competenti
Non ci saranno quindi smozzature di sorta, atti inconsulti, né pretesti psichiatrici. Se necessario continuerò il mio sciopero della fame fino all’ultimo respiro
Non sono un imbecille, sto lottando per la vita
Siete persone meravigliose, difendete sempre libertà e rispetto
Vivrò con voi per sempre
Il regista e attivista Umberto Baccolo e la sua compagna Elisa Torresi di Folsom Prison Blues, hanno organizzato a loro volta uno sciopero della fame a staffetta di solidarietà, iniziato il 16 giugno al quale fino ad ora hanno partecipato più di 130 persone che proseguirà fino al 30 giugno.
A questo punto la domanda è legittima: qualcuno vuole Cesare Battisti morto? Se non è così si provveda a garantire al detenuto i diritti previsti dalla Carta Costituzionale e dalla legislazione internazionale.