Un commento del Collettivo Universitario Li.S.C di Venezia al disegno di legge che riporta le forze dell’ordine nelle università greche.
La legge del 1974 che in Grecia impedisce alle forze dell’ordine l’accesso all’università risale ai tempi della dittatura. Durante le proteste nel politecnico di Atene contro la giunta militare che governava il Paese, un carro armato sfondò le porte dell’università, uccidendo decine di studenti. La strage, ancora oggi nella memoria dei movimenti greci, ha portato all’adozione della legge che vieta l’ingresso della polizia nelle università
L’11 febbraio 2021 questa storia si rovescia: la maggioranza del governo di destra di Mitsotakis ottiene l’approvazione di un disegno di legge che istituisce un corpo speciale di polizia per le università. Nonostante le proteste e gli scontri nelle settimane precedenti ad Atene, Salonicco, Patrasso e altre città, represse duramente, la legge è stata infine approvata. In arrivo pattugliamenti 24 ore su 24 di agenti muniti di manganello, taser e gas: un tragico tuffo nel passato, capace di calpestare quanto ottenuto negli anni ‘70, nel silenzio generale di qualsiasi istituzione o accademia europea. Ronde militari nei corridoi delle università, funzionali a reprimere ogni forma di dissenso, a impedire la libertà di autorganizzazione della componente studentesca, soggetta ora al controllo diretto di uno Stato sempre più poliziesco.
Da quel 1974 l’università si era dimostrata il luogo dove la resistenza al potere si concretizzava: il legame tra sapere e resistenza si era sigillato in quella notte di strage eseguita dall’esercito dei colonnelli. Proprio dalle università era partita quella spinta a liberarsi da un regime ingiusto. Da allora i movimenti sociali trovarono terreno fertile nell’unione con i saperi dell’accademia: una sinergia che spesso ha costituito la base per momenti di rottura, conflittuali nel paese greco ma non solo.
La governance attuale, espressione della peggiore destra estrema, che fa della sicurezza la sua bandiera, non può accettare tutto ciò. E’ infatti evidente come l’obiettivo di questa legge siano proprio i gruppi politici che si organizzano all’interno dell’università, che rientrano perfettamente nel piano di criminalizzazione in cui il governo ha inserito i movimenti di sinistra. Per il premier i collettivi studenteschi sarebbero causa di anarchia e violenza, che “impedisce alle università greche di evolversi”. Che l’evoluzione significhi un salto indietro di quasi cinquant’anni? Una restrizione di libertà di pensiero e manifestazione?
Da una parte il governo sembra aver nostalgia del tempo del regime, permettendo a esercito e polizia di rientrare negli ambienti universitari. Ma la legge include anche altre premesse: fra queste, un limite di tempo per poter frequentare l’università. Fino ad ora è permesso agli studenti iscritti in un’università greca di restare tali a prescindere dal numero di anni impiegati per i propri studi, ma con la nuova legge si vorrebbe limitare questo periodo di tempo, dando un limite entro il quale completare il ciclo accademico. Un problema, dicono molti, per chi necessita di studiare mentre lavora, ma più di tutto questa iniziativa sembra un’ulteriore accelerazione verso una formazione accademica schiacciata nel dogma liberista ,che la vuole funzionale unicamente all’immissione di forza lavoro, spesso precaria e senza diritti. Il processo trasformativo che ha coinvolta buona parte degli atenei europei sta arrivando anche in Grecia, dopo essere arrivato anche in Italia. La retorica del merito, la spinta a “restare nei tempi giusti” per poi occupare il posto assegnato dal capitale nella società, la privatizzazione e aziendalizzazione dell’università sono le conseguenze tangibili di un processo che sembra inarrestabile. In Grecia, come ormai dappertutto.
Vediamo infatti come anno dopo anno le nostre università lasciano sempre meno spazio a saperi liberi e critici, alla messa in discussione dello stato di cose presenti. Welfare, diritto allo studio, diritto all’abitare sono ormai solo miraggi, fastidiosi orpelli che mandato dopo mandato ogni rettore e ogni ministro smantellano pezzo dopo pezzo. Ciò che conta è formare figure professionalizzate, senza che vengano forniti gli strumenti per leggere la realtà nella sua complessità o per metterla in discussione. Nemmeno la sindemia in corso ha arrestato questo processo, ma anzi lo ha rafforzato, pur mostrandone contraddizioni e miopie. Il mercato del lavoro di destinazione è infatti devastato dalla crisi sanitaria, economica, sociale, che porterà altra precarietà e incertezza tra i giovani e le giovani e accentuerà le disuguaglianze già presenti. Tuttavia, quello che conta è fornire mano d’opera sempre agli stessi settori produttivi, quelli che hanno causato e stanno perpetuando la crisi in atto.
Alcune università scelgono infatti, in maniera esplicita, di puntare ancora su partite ormai chiuse, che hanno dimostrato tutta la loro fragilità e impraticabilità nel lungo periodo. Emblematica in questo senso è l’università Ca’ Foscari di Venezia, che dall’anno prossimo darà il via al nuovo corso di laurea in Hospitality per creare i futuri manager del settore turistico, in una città ormai svuotata dei suoi residenti e sacrificata in ogni suo angolo alla monocoltura turistica. Dove ci porterà quindi la conoscenza, il sapere di questi futuri manager che opereranno in hotel di lusso? Come potranno contribuire alla lotta contro la devastazione che il sistema liberista porta avanti con le unghie e con i denti, se diventeranno essi stessi parte del sistema?
Le università sono o dovrebbero essere luoghi dove nascono collettivi e associazioni studentesche che mettono in dubbio questo sistema, che ne trovano le contraddizioni, che si informano e lottano perché il sapere libero e critico torni ad essere il fulcro dei dibattiti in accademia. Poi succede che si prova a zittire uno studente che esprime delle perplessità su un corso in turismo in una città come Venezia; ci prova coloro i quali hanno forti interessi economici a far partire il corso, impreparati a sentire un secco no come risposta. E l’università, che dovrebbe avere la sua indipendenza, si piega alla volontà di banche a aziende private.
Le università sono luogo di ricerca, dove la conoscenza viene sviluppata e condivisa tra studentesse e studenti, dottorande e dottorandi, ricercatrici e ricercatori, professoresse e professori. Poi succede che un ricercatore italiano decide di portare avanti i suoi studi in Egitto e poco tempo dopo viene torturato e ucciso da un regime che considerava quel ragazzo scomodo. Succede che quattro anni dopo un suo coetaneo egiziano che stava studiando in Italia viene arrestato e oggi, a un anno dal suo arresto, non si sa ancora quali sorti lo attendono.
L’11 febbraio in Grecia è successo che l’università ha perso un altro pezzo della sua libertà, della sua autonomia e indipendenza, del suo essere culla di saperi liberi. Più di mille agenti pattuglieranno i corridoi di questi luoghi, dove all’interno nuove generazioni si preparano a lottare contro chi li vorrà asserviti alla normalità del sistema liberista.
Tuttavia sappiamo che tutto ciò non fermerà chi crede nella libertà di fare ricerca, chi vuole salvare la propria città dal baratro, chi non vuole sottostare alle logiche repressive di stati autoritari, chi crede che agendo potrà dimostrare molto di più che con semplici parole. Le mobilitazioni che hanno attraversato le università greche, anche durante il lungo anno di pandemia, non si fermeranno davanti ai manganelli che troveranno nei corridori delle accademie. Se per alcuni avere la polizia in aula sarà monito a non fare passi falsi o in controtendenza con il volere dello Stato, sappiamo che per i movimenti studenteschi di Atene non sarà così. Sarà una sfida, quella di non lasciare che questi/e uomini e donne in divisa mettano un freno al potere di autorganizzazione dei collettivi studenteschi, che i/le compagni/e di Atene e di tutta la Grecia sapranno cogliere come hanno dimostrato negli anni.
Dalle università derivano nuovi saperi e forme di autorganizzazione che possono mettere in discussione lo status quo, e di certo non saranno degli agenti a impedirne la crescita e la diffusione. Come collettivo studentesco siamo a fianco dei/delle compagni/e greci/che e siamo certe che questo tentativo di repressione non arresterà la loro energia e forza nel continuare a sognare un mondo migliore e diverso, che non preveda un militare come compagno di classe.