Quello che non vi racconteranno sui free party (a cominciare dal nome, rave)

di Rita Rapisardi

Dalla contestazione, alla protesta, a forme di esternazione non istituzionali, quella del rave è la maggiore. E forse l’ultima rimasta. In un mondo che vuole regolare tutto, incorniciare emozioni, dirci cosa pensare, odiare e amare, limitarci in spostamenti e azioni, imporci il confine, il documento come accredito, per accedere o restar fuori, il rave è puro nel suo essere così onesto. Un impianto per “far andare bene” il mondo deve esserci, nei secoli si sono studiate le più varie forme di governo, il diritto è venuto incontro alla necessità di giustizia. Il mondo dei rave, ha una sua giurisdizione, si può riassumere nel senso di libertà: free party, sono chiamati nel giro, free perché gratuiti, non c’è lucro. Free, non vuol dire assenza di regole o sregolatezza, come piace pensare a chi è al di là del muro di casse. è una libertà interiore, di assenza di barriere, mistica. Qualcuno penserà che queste siano parole mitizzanti o deliranti, ma fa comodo pensarla al contrario. I bias non aiutano e nemmeno non l’aver vissuto l’esperienza. In fondo il rave dall’esterno è una di quelle cose facili, per cui tutti, anche superficialmente, ci sentiamo in dovere di esprimerci, smuove impulsi voyeuristici e aiuta chi è in cerca di un capro espiatorio.

Ai rave c’è la droga, esclusivamente al singolare, perché di droghe, al plurale, in Italia non si parla. Sono tutte sullo stesso piano, fanno tutte male allo stesso modo. i danni del proibizionismo, dell’approccio San Patrignano e di leggi come la Fini-Giovanardi hanno plasmato un pensiero comune che uniforma tutte le droghe: per cui lo spinello è come una striscia di cocaina, che è come una spada di eroina. Pensiamo al rave, pensiamo alla droga, a uno spazio composto da zombi strafatti di droga. Non interessa capire di più, non serve. Fa comodo alle coscienze pensare che esista un posto così, lontano dagli occhi in cui si consumano atrocità che delineano la nostra identità: “io non sono come loro”, inconcludenti, falliti, irrealizzati.

“Animali ammazzati: l’orrore dopo il rave della follia”, “Disastro sanitario calamità ambientale”, “La danza macabra non si ferma”, “Il rave party degli orrori: donna partorisce”, “Le farmacie rimaste senza siringhe”. Sono alcuni dei titoli di giornali che nell’estate 2021 hanno fatto la peggior informazione di sempre, in realtà in linea con la narrazione di sempre. Protagonista il Teknival Space Travel, festa che si tiene ogni anno a ferragosto. Per tutti diventato “il rave di Valentano”. Sulle pagine di quei giorni, nonostante droni, elicotteri, controlli stretti si è letto di tutto: cani ammazzati, donne stuprate o partorienti in mezzo alla polvere, capre sgozzate e modi per collegare la morte di un ragazzo, avvenuta poco lontano, alla festa in questione. “Mi hanno chiesto per gli stupri, ma noi non ne avevamo conferma”, mi confessa un’operatore, “Hanno messo giù il telefono, questa risposta alla televisione nazionale non interessava”. L’immagine è quella di un buco nero, quando è molto più simile a una sagra di paese, con bancarelle, roulotte e famiglie intere al seguito. A Valentano vendevano succhi bio, pomodori, magliette e vari oggetti artigianali. C’erano giochi per bimbi e un castello gonfiabile di quelli che si trovano al luna park.

Molto del non vero dello Space Travel è dovuto alla presa sul serio di commenti ironici presi alla lettera, dai profili dei partecipanti, un modo che, oltre a manifestare l’incapacità giornalistica di reperire le notizie, denota anche poco senso dell’umorismo da parte della categoria. Le fake news uscite in quei giorni, tutte smentite ad acque calme, e dopo lo sgombero per via di venti blindati, come un filo rosso portano oggi al Parlamento italiano. Dalle falsità ne è uscito un testo che punta alla cancellazione delle feste libere. Il disegno di legge presentato a novembre 2021, che ha come primo firmatario Matteo Salvini, prende ispirazione dai molti che si sono susseguiti negli anni: confische obbligatorie “per esempio degli strumenti musicali a partire dalle casse”, dei risarcimenti per i “proprietari che subiscono l’invasione” e della “sospensione della patente per chi guida verso i raduni trasportando strumenti e materiale”, riferiscono dalla Lega. Infine, in “ottica di prevenzione”, si prevede di utilizzare anche agenti sotto copertura. Il comunicato del Carroccio conclude: “La Lega ritiene necessaria una stretta, anche perché i rave sono particolarmente pericolosi nell’epoca del Covid”. All’epoca la ministra degli Interni Luciana Lamorgese cavalcava l’onda repressiva in coordinamento con il ministero della Giustizia: “Potremmo introdurre la possibilità di ricorrere ad altri strumenti investigativi, come già avviene per diversi reati di particolare gravità”, dichiarava al Messaggero. Intercettare conversazioni e inviti su social e messaggistica, perché ora il ritrovarsi passa dal diffondere la localizzazione sugli smartphone, prima c’erano simboli da decifrare e passaparola complicati.

Come questo potrà essere attuato è da vedere. In passato, nel 2017, si è espressa sui freeparty persino la Cassazione, partendo proprio dalla mancanza di aspetto imprenditoriale, per concludere con l’art. 17 della Costituzione: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso”. Non è la prima volta che si invoca l’intervento del legislatore, ciclamente negli anni si sono susseguite proposte di legge dello stesso tenore, con richieste di ammenda fino a 200mila euro e carcere fino a due anni. Fanno leva sempre sui soliti argomenti: droga, violenze, chiasso, accesso a proprietà private, pericolo di sicurezza per i cittadini e l’immancabile richiamo al decoro pubblico. Una categoria che pian piano negli anni si è abilmente insinuata in molti testi comunali e statali e ha certificato provvedimenti inumani, come quelli contro i senza tetto. Quest’ultima proposta si distingue solo perché aggiunge il rischio per la salute pubblica, anche qui, senza alcun riscontro pratico da cui partire per valutare. A fronte di metropolitane piene e autobus in cui si sgomita, affollamenti ben maggiori nelle cosiddette “piazze della movida”, la macchina crea mostri non si ferma, crea un’emergenza sui rave che, di fatto, non esiste. Il ministero degli Interni ne conta una cinquantina all’anno in tutto il paese e non certo tutti come quello di Valenzano. La maggior parte hanno poche centinaia di partecipanti e si esauriscono in un week end, se non in una sera. Dovrebbe già solo far pensare che le proposte arrivano da quella parte politica che dall’inizio dell’epidemia ha sempre spinto per le aperture e a suo tempo ha strizzato l’occhio ai no-vax.

“Ciò che risulta irricevibile è il fatto che sia completamente gratuito fuori dal capitale e dai circuiti del guadagno insopportabile del sistema. Lo narrava anche Euripide ne Le Baccanti, in cui Penteo fa di tutto per ostacolare il Dioniso, dio del vino e del piacere, a cui non crede”, racconta Vanni Santoni, autore di “Muro di casse”. Lo scrittore, navigatore di rave, dopo essere stato a quello storico del 2007 a Pinerolo, alle porte di Torino, vide la discrepanza tra fatti e narrazione in un’edicola verso casa: “Titoli allarmistici ovunque. Era stata una delle settimane più belle della mia vita: mi resi conto di quanto c’era di falso in quella narrazione e quanto andasse cambiata”.

“I freeparty sono sempre visti di cattivo occhio perché sono una sacca di libertà non controllabile e da capire”, aggiunge Santoni. Una delle poche forme di aggregazione che esce dall’ideologia capitalista e che quindi risulta un’anomalia nel mondo in cui tutto è commercializzato e commercializzabile, persino un figlio. In questa persecuzione molto è riconducibile al moralismo della società: “Il fatto che il raver faccia più apertamente le cose è una colpa. Al cattolico si dice, fai il peccato, ma nasconditi, poi in privato, pentiti. I raver vanno a rompere una percezione consolidata”.

E certo che nel primo paese d’Europa per consumo di cocaina e il terzo al mondo, la contraddizione stride. L’aspetto delle droghe è uno dei richiami più comuni nell’immaginario di chi è fuori. Perché l’uso è parte della festa, non obbligatoriamente, ma è consapevole, seguito e studiato.

(parentesi storica) Il proto-rave nasce a fine anni ’80 e ruota attorno all’acid house, non un nome a caso visto che la scena inglese è quella degli psichedelici e dei funghi. Nessuno nega la loro pericolosità — per gli effetti, non per l’uso in sé — ma sono ricercati per dei motivi: sono amplificatori, usati per raggiungere un tipo di estasi mistica. C’è molta più consapevolezza nelle feste libere, che negli affollati club del sabato sera, in cui “va bene tutto, basta che mi sballa”. Non importano le quantità o le reazioni con altre droghe, prima fra tutte l’alcool, la più pericolosa, si mischia senza paura. “Ai rave la droga che circola di più è in lattina, ed è la birra, ma forse questo non fa molto notizia”, ride Santoni. Come sono migliaia le intossicazioni da alcool o droghe nei club il sabato sera, ma anche queste non fanno notizia. Assenti nei tecknival i superalcolici, mal si combinano con le sostanze, e non permettono per questo l’alterazione sciamanica desiderata. L’eroina è altamente stigmatizzata e non se ne trova: forte dipendenza e costi alti. Contro le logiche consumistiche e di partecipazione che il freeparty intende abbattere.

Con l’avvento dell’mdma e dell’ecstasy, oggi usata per curare la sindrome da stress post traumatico nei reduci di guerra Usa, l’alcool viene accantonato, perché in contrasto con le nuove droghe. In Uk le lobby degli alcolici, si scoprirà solo dopo, spingeranno una campagna contro queste sostanze “brucia cervello”, quando oggi la medicina psichedelica è un campo di riscoperta e in grande espansione. A maggio Nature ha pubblicato i risultati della sperimentazione più avanzata mai fatta di terapia psichedelica, in cui l’mdma ha funzionato nell’88 per cento dei pazienti con l disturbo da stress post-traumatico e la ketamina come aiuto a depressione e tendenze suicidarie croniche.

L’uso continuativo delle sostanze, difficile per la bassa dipendenza che danno, porta a un reperimento di serotonina e quindi depressione, per questo non è previsto dai frequentatori di feste. Nel dibattito pubblico c’è stato poi l’avvento della “droga dei cavalli” (anche in questo caso si è cercato l’effetto wow): la ketamina. Usata come anestetico, in grandi quantità proprio per i cavalli, è in realtà presente anche nelle sale operatorie pediatriche o nei casi in cui non si conoscono le allergie dei pazienti da operare. Nei rave si trova perché capace di trasportare in una sorta di microsonno onirico.

“In termini professionali è più facile entrare in contatto nei free party. Mentre nei grandi festival organizzati, dati alla mano, il numero dei malesseri è ben più alto, così come l’uso di sostanze è sregolato. Colpa dei tabù”, racconta Elisa Fornero, assistente sociale e responsabile del progetto Neutravel, di riduzione del danno e del rischio presente a eventi di vario tipo. Dice di essere più tesa negli eventi legali perché, nonostante l’affiancamento medico, può contare meno sulle informazioni del gruppo di amici. “A Valentano eravamo ottantacinque, tra operatori e volontari da tutta Italia. Tutto il caffè che ci siamo presi per star svegli è una droga. noi lo utilizziamo tutti i giorni ed è accettato. Anche il caffè ha seguito un suo percorso di accettazione, come la cocaina, funzionale al capitalismo e alla società industriale”, aggiunge. Ci sono sostanze a cui siamo educati, secondo le cosiddette norme sociali informali, un sistema di saperi che permette alle Langhe di esistere, senza un’epidemia di alcolisti in corso. Un insieme di conoscenze, che spesso passa dalla famiglia, capace di rendere il consumo meno rischioso. Ma di educazione alle droghe non se ne fa, come lamentato dagli operatori, e come uscito durante la Conferenza Nazionale sulle Droghe di Genova, appena conclusa.

“La riduzione del danno è saper gestire, punire invece costa tantissimo, non solo in termini economici, ma anche di vite”. La possibilità di distribuire il naloxone ad esempio, il farmaco salvavita nei casi di overdose da eroina, ha risolto tante morti. Come il drug checking, il controllo della sostanza da parte del consumatore, che si vorrebbe inserire, come richiesto a Genova, tra i servizi sanitari accessibili ovunque. “Dopo vent’anni a far questo posso dire che la gente cambia di continuo e si rinnova — racconta Elisa — per la maggior parte delle persone i rave e le feste sono una fase. Da giovane sei pronto ai rischi, li valuti anche in modo diverso, è una condizione necessaria per l’evoluzione”.

Si va ai free party per le droghe? Non per forza, possono essere parte dell’esperienza. Le feste sono attese mesi, preparate per settimane, nascono dal basso. è incredibile credere che il rave di Valenzano, dieci soundsystem, persone, sia nato in due giorni, mentre le piazze italiane, sono inaccessibili per settimane, prese e occupate dai più svariati eventi. Mentre numerosi altri spazi, abbandonati e fatti invecchiare, tornano nel discorso pubblico, solo dopo il passaggio di un free party, che spesso lo lasciano più pulito di come era in partenza.

L’aspetto artistico dei rave non è mai riconosciuto: scenografie e spettacoli vanno avanti per giorni senza fermarsi, artisti e dj si alternano notte e giorno, attirando migliaia di persone da ogni parte d’Europa. Il valore musicale di questi eventi è altissimo nell’ambiente della musica elettronica, ma non emerge da fuori. I free party nascono come voglia di riappropriarsi degli spazi, musicali e non solo. Mentre solo i ricchi potevano andare in discoteca, il mondo rave si fa spazio e deve il suo dna a un misto di controcultura hippie — libertà sessuale, uso di sostanze e rock psichedelico — e nichilismo punk, il movimento simbolo del malcontento e la ribellione nei confronti della società. “Punk no future”, è lo slogan del movimento anarchico. Da quest’ultimo la scena rave eredità l’estetica — vestiti laceri, stivali e catene, piercing e tatuaggi. L’essere antisistema passa dal crearsi un proprio ambiente e l’accesso alla musica, senza chiedere il permesso istituzionale, è uno di questi. Il soundsystem portatile è la vera rivoluzione, concepito dalla cultura reggae, che trasforma in un dance floor il parchetto abbandonato o il capannone in disuso. Nessuna selezione alla porta, incrocia i desideri di molti e diventa l’unico spazio veramente aperto. “Non c’è più bianco o nero. è una zona grigia in cui si spaccano le barriere di ogni tipo, che la società impone, ma che il rave scioglie”, aggiunge Santoni. Un’interzona, per riprendere il titolo di una raccolta di racconti di William S. Burroughs, simbolo della Beat Generation, che scava tra gli emarginati sociali, in ciò che è troppo sporco per la società puritana e giusta.

E sempre in nome del decoro si innescano quei cortocircuiti poco chiari per cui i raver sono segnalati e multati, anche quando puliscono prima di andar via. Come successo a fine ottobre 2021 a Torino, in un free party durato tre giorni, dove molti sono stati denunciati per trasporto abusivo di rifiuti. Non considerando che l’aspetto ambientale è molto più presente di quanto si creda e rimane una sfida importante per i partecipanti. Nei rave da anni si fa la raccolta differenziata. A Torino, in un ex capannone industriale, hanno partecipato cinquemila persone, identificate tremila, anche qui le polemiche non sono mancate, ma a narrazione unica. “Mezze cariche e persone picchiate dalla polizia. Ci sono state numerose violenze da parte delle forze dell’ordine, repressioni non belle”, mi spiega un partecipante che vuole rimanere anonimo.

Oggi si guarda alla Francia, considerata il modello attuale per normative anti-rave, che ha approvato nel 2019 una normativa simile a quelle in esame in Italia. Risultato che l’anno scorso in Bretagna, un rave è stato sgomberato violentemente dalla polizia che ha circondato la festa e fatto mattanza: decine di feriti e un 22enne ha perso una mano. Per questo la scelta quell’estate di non intervenire è stata la migliore per evitare che la situazione degenerasse. Chi frequenta i rave dice che le nuove generazioni sono meno stigmatizzanti, iniziano a saltare le divisioni, merito forse dell’essere cresciuti con internet in mano, che allarga conoscenza ed evita la creazione di un nemico comune. Un raver mi dice: “La mia generazione è stata uccisa a Genova, è vero, ma credi che uno del movimento no global si sarebbe seduto con i grandi politici, così come fa Greta Thunberg?”.

Fonte

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento