Elusione fiscale societaria oltre i livelli di guardia, forti criticità nel disegno dell’imposta minima per grandi multinazionali che ne riducono il potenziale di gettito, contribuzione fiscale irrisoria dei super-ricchi. Progressi nel contrasto all’evasione fiscale internazionale degli individui, in calo nell’ultimo decennio. Sono queste, in sintesi, le conclusioni principali della prima edizione del Global Tax Evasion Report, pubblicato dall’Osservatorio Fiscale Europeo.
Il rapporto verrà presentato in Italia il 13 novembre, in occasione del workshop “Evasione fiscale: dimensione del fenomeno e misure di contrasto”, organizzato a Roma all’Auditorium Loyola della Pontifica Università Gregoriana dall’Osservatorio, da Oxfam Italia e dal Dipartimento di Economia dell’Università di Milano-Bicocca.
«Il rapporto dell’Osservatorio Fiscale Europeo getta luce sull’occultamento della ricchezza offshore e sulle pratiche elusive delle multinazionali – ha commentato Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia – Fenomeni che interessano in larga misura i membri più facoltosi delle nostre società e i colossi corporate cui la globalizzazione ha offerto ampie opportunità di minimizzare il proprio contributo a favore della collettività. Ne risente il buon funzionamento delle nostre democrazie, perché si ampliano le disuguaglianze che indeboliscono la coesione sociale. I fenomeni di abuso non sono tuttavia inevitabili e il rapporto pone l’accento sul ruolo della politica e sulla natura delle scelte fin qui assunte o meno. Lo fa celebrando la fine formale del segreto bancario, considerata tabù solo pochi anni fa, ma valutando al contempo criticamente gli sviluppi normativi in materia di tassazione minima effettiva delle grandi multinazionali, pur a fronte di un innegabile sforzo di cooperazione internazionale nell’ultimo decennio».
Più in dettaglio il rapporto stima che:
– su scala globale, lo stock di ricchezza finanziaria offshore è cresciuto in termini nominali e reali negli ultimi vent’anni, raggiungendo nel 2022 una cifra pari a 12.000 miliardi di dollari (il 12% del PIL planetario). Poco più di un quarto (il 27%) di tale ammontare evade oggi la tassazione. Una quota calata tuttavia drasticamente nell’ultima decade (da circa il 90% nel 2013) in seguito all’implementazione dello scambio automatico di informazioni relative ai conti finanziari. Per l’Italia il valore della ricchezza finanziaria offshore è stimato nel 2022 in 198 miliardi di dollari (poco meno del 10% del PIL nazionale);
– gli utili delle multinazionali trasferiti dalle giurisdizioni a tassazione medio-alta d’impresa verso paradisi fiscali societari hanno raggiunto nel 2020 la cifra astronomica di 000 miliardi di dollari. Un ammontare equivalente a circa il 35% di tutti i profitti realizzati dai colossi corporate fuori dalle giurisdizioni delle relative imprese capogruppo. Le pratiche elusive delle multinazionali deprivano, su scala globale, gli erari dei paesi di risorse equivalenti al 10% del gettito complessivo dell’imposta sul reddito delle società. Il fenomeno è particolarmente sentito nel continente europeo. Per l’Italia l’ammanco erariale è stimato in circa 5,6 miliardi di dollari nel 2020;
– l’indebolimento del disegno della global minimum tax per le grandi multinazionali, rispetto al modello inizialmente negoziato, riduce significativamente – da 270 a 136 miliardi di dollari l’anno – gli introiti attesi, su scala globale, nel primo anno di applicazione dell’imposta. Per l’Italia il gettito atteso (che si manifesterà a partire dal 2025) dalla misura si attesta a poco meno di 500 milioni di euro all’anno a regime, nello scenario prudenziale illustrato nella relazione tecnica al decreto attuativo dell’imposta approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 ottobre scorso;
– su scala globale, i miliardari versano aliquote effettive d’imposta irrisorie (tra lo 0% e lo 0,5%), se raffrontate al valore dei loro patrimoni.
Il rapporto contiene inoltre una serie di raccomandazioni. La proposta chiave riguarda l’istituzione di un’imposta minima globale, con un’aliquota del 2%, sui patrimoni netti dei miliardari. Un tributo che graverebbe su un numero ridotto di individui (meno di 3.000), ma in grado di generare introiti per circa 250 miliardi di dollari all’anno.