di Marco Bersani
Dopo aver decantato per mesi la “svolta” dell’Unione Europea, che, attraverso il Recovery Fund, avrebbe abbandonato ogni relazione di tipo autoritativo nei confronti degli stati membri con un alto rapporto debito/pil per approdare a una “condivisione” dell’indebitamento, la contesa sembra essere approdata, come nel classico gioco dell’oca, al punto di partenza.
Sarà che le divergenze in merito al Recovery Fund fra i paesi cosiddetti “frugali” (con il paradiso fiscale dei Paesi Bassi in prima fila) e i paesi cosiddetti “spendaccioni” sono tutt’altro che risolte; sarà che, se anche un accordo fosse alla fine raggiunto, i soldi andrebbero ricercati sui mercati finanziari e diverrebbero spendibili non prima di un anno, sta di fatto che le pressioni affinché il nostro Paese acceda ai fondi del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per ottenere finanziamenti per la sanità si stanno moltiplicando, dentro e fuori il governo, sui media mainstream e da parte delle grandi imprese.
Un martellamento quotidiano, a cui lo stesso Presidente del Consiglio risponderebbe positivamente, se non fosse a rischio la propria maggioranza di governo, con il M5Stelle, che al momento resiste, mentre il Pd scalpita perché vi si ricorra senza ulteriori indugi.
Pare che tutti si siano accorti che i 36 miliardi di euro a cui potrebbe accedere l’Italia siano esiziali per il nostro sistema sanitario, che, nel pieno della pandemia, ha mostrato tutti i suoi limiti, con l’ex-eccellenza della Regione Lombardia in primis.
Ben svegliati, verrebbe da dire, perché sono proprio 36 i miliardi che i diversi governi di differente colore hanno sottratto al servizio sanitario pubblico nel periodo 2010-2019 (25 miliardi di tagli netti nel quinquennio 2010-2015 e quasi 12 miliardi di programmazione al ribasso del fabbisogno di finanziamento nel periodo 2015-2019).
Quindi, dopo aver distrutto in un solo decennio, in ossequio ai dettami di Maastricht e al patto di stabilità, uno dei sistemi sanitari migliori al mondo, oggi chiedono di infilare il Paese nella trappola del Mes che, aldilà delle interessate dichiarazioni rilasciate sui media, è un meccanismo di tutela dei creditori che può in ogni momento imporre le cosiddette condizionalità. Tanto più ad un paese che si presenterà all’inizio del nuovo anno con un rapporto debito/Pil vicino al 170%.
Conosco l’obiezione che molti potrebbero mettere in campo: giuste le critiche ai passati tagli, giusta l’indignazione verso l’ipocrisia delle forze politiche, sacrosante le critiche al Mes, ma dove troviamo allora i soldi?
Ovviamente le risposte sarebbero plurime (a partire dal fatto che la crisi la devono pagare i ricchi), ma ne voglio suggerire una cui forse nessuno ha sinora pensato: riguarda i derivati, ovvero quei contratti sottoscritti da molti enti pubblici con le banche, conosciuti come “titoli tossici”, perché sono scommesse truccate da assicurazioni, che favoriscono le banche e imprigionano gli enti pubblici nei debiti.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite -n. 8770/20- dando ragione al Comune di Cattolica (RI) nel contenzioso contro la banca Bnl, ha stabilito la nullità dei contratti derivati, che non avrebbero mai dovuto essere sottoscritti dagli enti pubblici.
Poiché si tratta di una sentenza che, data l’autorevolezza della Corte che l’ha pronunciata, fa giurisprudenza, perché lo Stato italiano, attraverso il Governo, non dichiara ipso facto la nullità dei contratti stipulati?
Sapete a quanto ammonta, secondo Eurostat, la perdita che incombe sui conti dello Stato e che la società indipendente di consulenza finanziaria Ifa Consulting ha stimato con probabilità altissima? 36 miliardi di euro!
Quale miglior occasione per sottrarre al sistema finanziario 36 miliardi (e recuperare anche i 37 già versati) investirli tutti e subito per un servizio sanitario pubblico, gratuito e umanizzato, lasciando a bocca asciutta i tecnocrati del Mes e la loro gabbia del debito?
“L’Italia vuole una ripartenza certa, è il momento del coraggio, tutti dobbiamo osare” ha dichiarato il premier Conte non più tardi di due giorni fa. Appunto.